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SERIETV E UOMINI D'ECCEZIONE. DEXTER, HOUSE, WALTER WHITE
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Marcello del Campo

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La rivista Alfabeta2” si è occupata delle serie tv dell’ultimo decennio in molti articoli che non si limitano alla banale esposizione della trama, delle attese del pubblico, del valore di ciascuna (espresso graficamente con tutta una sequela di segni grafici di gradimento, tassonomia dei generi, ecc.).

Premetto che su FilmTv non esiste (ancora?) uno spazio in cui discutere, esaminare, questo nuovo modo di fare cinema; né un database che funga da contenitore-segnaletica cui fare riferimento. Genericamente inserite nei ‘post’, alcune sparse notazioni rischiano l’invisibilità. Occorre, dunque che i gestori del sito adottino le misure giuste per portare a dignità il caleidoscopico mondo delle serietv, anche se, a ben vedere, mi sembra di rilevare un forte scetticismo nei più visitati siti di cinema e uno sconfortante provincialismo nei commenti di alcuni utenti in questo sito. Una miopia che, a quanto pare, è stata debellata solo dall’’apparir del vero’, vale a dire da True Detective di Pizzolato/Fukunaga e da Breaking Baddi Vince Gilligan/Bryan Cranston (che hanno perforato la dura scorza dei renitenti apostoli del cinema-cinema ma non l’inossidabile avversione del parterre degli apocalittici i quali cederanno, ne sono sicuro, alla miniserie televisiva di Bruno Dumont, P’tit Quinquin in arrivo sugli schermi televisivi).

 

Con questo scritto, nato come commento all’ottimo post di mck su Breaking Bad [//www.filmtv.it/post/29279/in-serie--un-mash-up--epifanie--1---vi/#rfr:nonealla playi] e a tutti i suoi interventi sulle serietv (Matteo è uno dei rari ‘investigatori’ del genere’, i suoi post fittissimi di rimandi cinefili, letterari, iconografici, ‘allargano la coscienza’ in un vortice di ‘scripta picta’), intendo riportare gran parte di un articolo, più precisamente porre l’attenzione su alcune recenti serietv in cui Giacomo Festi [vedi “Alfabeta2. N. 32, pag 17, 2013: Eccezion facta, eccezion ficta], ravvede una inversione eccentrica rispetto alla serialità intesa come “attitudine conservatrice dello status quo”. Si tratta di Doctor House, Dexter e Breaking Bad – ma includerei anche House of Cards e, per certi versi Mad Men in cui la fiction 

pare denegare se stessa, dirottando dalla ‘narrativa della ridondanza’ e dalla consumabilità seriale che fungono da modelli del rispecchiamento (le strutture dei mondi seriali riflettono pedagogicamente i valori dominanti socialmente, in una circolarità di formazioni congiunte (si educa il sociale e si dà forma sempre variata allo stesso schema narrativo soggiacente. Sotto sotto, la finzione ridondante sarebbe una forma di doping sociale, calmante o eccitante, ma propria a una versione del consumo intransitivo, incapace di portare su altro, di trasporsi su scenari identitari davvero implicativi come quelli propri alla dimensione politica. Come per le sostanze psicotrope, però, la serialità provoca assuefazione e si richiede una continua inoculazione di dosi di innovazione per rigenerare quel carattere avvincente necessario a far presa sullo sguardo spettatoriale. Da qui l’interesse a osservare da vicino il panorama contemporaneo della fìction televisiva, dato che essa si trasforma in accoppiamento con i pubblici che ne godono, indicandoci come mutano i modi di sensibilizzarsi, cosa sia in grado di avvincere ancora, e come si estenda l’orizzonte del consumabile dal punto di vista delle logiche produttive.

 

L’orizzonte narrativo seriale punta al mantenimento dello status quo: poliziotti, investigatori privati, donne in giallo, avvocati, chiaroveggenti, detective paranoidi da contatto, sceriffi, ecc. – tutti concorrono a far trionfare ‘la legge e l’ordine’ e si presentano quali garanti della legalità anche nelle serie migliori e di grande seguito. Il telespettatore può dormire sonni tranquilli, quando non si addormenta realmente.

 

La fiction, insomma, è una frontiera del consumo grazie alla propria capacità di costruire mondi narrativi e laboratori identitari. Proprio per questo, si direbbe, essa paga oggi lo stallo e la crisi: la carenza di un immaginario dell’avvenire, l’assenza di nuovi assi valoriali portanti. lo sfibramento delle logiche di genere (science-fiction, western ecc.). Di qui i processi di estremizzazione o di contaminazione dell’esistente e il tentativo di reperire sfondi narrativi relativamente vergini.

[…] Ma c’è qualcosa d’altro, recentemente, che pare indicare un salto qualitativo nell’offerta della fiction e, quindi, nel rapporto con il pubblico. Ci riferiamo a House M.D., Dexter’, Breaking Bad, a Bones, a Lie to Me, per citare le principali. Fiction non più interessate a mettere in  scena una coralità collettiva, ma centrate su un unico personaggio, spesso urtante, difficilmente accettabile socialmente, financo riprovevole. Insomma. si scalza la figura dell’eroe modello per sostituirlo con alcuni personaggi che qui proponiamo di leggere sotto la chiave dell’eccezione. Il personaggio dell’eccezione è l’esito della ricerca di uno stralcio di identità ancora consumabile da uno spettatore sempre più avveduto. Non ci sono più nuove fondazioni come per l’eroe del mito, non ci sono nuovi orizzonti valoriali da far traspirare, incarnandoli, solo l’infittirsi di una complessità senza scampo che si intreccia con le rovine dei mondi passati.

 

Chi sono i ‘personaggi d’eccezione’, quale il loro habitus, dove l’erosione della normativa, quali le implicazioni del loro deragliare?

 

DEXTER, WHITE, HOUSE

 

 

L’eccezione implica innanzitutto un chiamarsi fuori. House è insofferente a regole e protocolli. non indossa il camice, è malato come i suoi pazienti, si sottrae al rispetto comunicativo dell’altro esibendo nelle relazioni interpersonali il cinismo corrosivo e un’insensibilità programmatica. Dexter e White si chiamano entrambi fuori dalla legge e dalla morale, con una differenza. Dexter é già quello che è, avendo inventato un suo codice  penale, di cui è il tribuno e il boia, mentre Walter White (Breaking Bad) scopre pian piano di cosa è capace sul versante del socialmente ripugnante pur di racimolare qualche soldo, spacciando, uccidendo, fingendo e mentendo [qui Festi non è del tutto preciso, probabilmente quando ha scritto l’articolo non aveva visto l’ultima serie di B.B. in cui l’agire di Walter White non è assolutamente motivato dal ‘racimolare qualche soldo’ ma riguarda la sfera del profondo-esistenziale che qui non intendo spoilerare].

L’eccezione, in secondo luogo, elabora un pensiero del resto e della marginalità. Il destino identitario dei protagonisti è esso stesso un resto di vita. La solitudine senza scampo di House un rigurgito di significatività nella sfida diagnostica, il resto è noia. A Dexter non rimane che elaborare il mascheramento sociale del normale perfetto, per coltivare il suo impulso assassino come unico motore d’iniziativa. A White diagnosticano un resto di vita, che vorrebbe chiudere con un lascito, se non altro economico. Ma ogni progettualità che mette in campo produce eccedenze e imprevisti che lo trascinano in circuito infernale di abbrutimento del sé, fino farlo diventare davvero un antieroe, in una sorta di chiusura del cerchio. L’eccezione, infine, funziona come squarcio sulle cornici costruite del sociale, grazie anche a quel ricordo d’eroe che è il barlume dell’intelligenza. Il personaggio d’eccezione è tanto irrisolto sul piano affettivo quanto capace di una cognizione d’eccezione. House, ad esempio, da un lato spoglia le interazioni dalla comodità dei giochi di faccia e dall’altro getta luce, grazie ai pazienti che gli arrivano in ospedale, su alcune tensioni che attraversano i domini sociali. Giochi di potere, difficili convivenze di medicina e religione, imprevisti risvolti legali ecc.: ogni puntata riannoda a suo modo plausibili pezzi di società contemporanea.

La voice over di Dexter, invece, ci fa vivere quasi da fuori, in osservazione di secondo ordine, tutte le situazioni che lo vedono recitare sul palco del sociale, denunciando una dimensione affettiva programmaticamente inaccettata. White, infine, è una figura dì frontiera che riannoda la facciata da salvare dei rapporti inter e intrafamiliari al rimosso di ogni possibile abiezione, mostrandoci il lato nero della società americana.

Se il personaggio d’eccezione non è più, quindi, un modello mitizzabile, preserva tuttavia un tratto portante del concetto antropologico di mito (leggi Lévi-Strauss), invitando a chiedersi se oggi non sia demandato proprio alla fìction il compito di costruire narrativamente qualcosa di simile ai miti antichi. Egli è infatti un trickster che incarna contraddizioni, traduce tensioni culturali senza risolverle davvero. Volendo riassumerle nel loro scheletro strutturale: House sperimenta la dialettica tra volontà di sapere e guarigione. Assorto interamente dall’interesse per la scoperta di una verità della malattia, cinicamente indifferente alle sorti del paziente, incontra nonostante tutto l’efficacia curativa. Dexter è invece un giustiziere che fa sparire i portatori di morte della società, i serial killer, ma lo fa uccidendoli, non chiamandosi fuori dallo stesso insieme. La serialità si confronta qui con il proprio doppio fantasma, la serialità assassina. In Breaking Bad” il sacrificio personale per la famiglia (concedersi al narcotraffìco per garantire una sopravvivenza economica alla propria famiglia) travolge e sacrifica tutto il senso dell’agire.

Tali fiction in sostanza sfruttano l’architettura narrativa e semantica identitaria. Mentre da un lato preservano nella sintassi degli episodi un orizzonte minimamente socializzabile e apprezzabile (una guarigione, la neutralizzazione di un serial killer, il futuro di una buona famiglia americana. si addentrano nell’oceano del riprovevole, dell’inganno, del negativo, elaborando una sofisticata semantica delle identità in gioco. L’ambiente interno dei personaggi d’eccezione, come esemplificano i dilemmi etici di White o i paesaggi interiori disegnati dalla voce di Dexter, pareggia i conti con l’ambiente esterno. Il personaggio d’eccezione ci attrae come una voragine di senso pronta a implodere.

Il paradosso apparente è che qui la fìction sembra persino denegare se stessa: Breaking Bad è caso limite, saga quasi cinematografica in cui l’episodio singolo non lascia più intravedere alcuno schema ripetitivo. Tali esperimenti si sottraggono, in fondo, al patinato, alle passioni spettatoriali del monitoraggio, recuperando una schiettezza e una durezza nel mettere al centro la morte, la violenza ingiustificata, l’abbruttimento morale. È un sociale, insomma, di cui si mostra la carne viva, e l’effetto vividezza dipende proprio dall’impressione di una complessità di scrittura analoga a quella dei mondi extratestuali, laddove il carattere securizzato di altre serialità imita fin da subito a una distanza critica. Qui noi spettatori consumiamo il consumarsi dei personaggi d’eccezione, in una vertigine di combustioni incrociate, dissolvenza incrociata del senso. Non rimane allora che una domanda: ci sarà un dopo?

 

 

 

Sullo stesso numero di Alfabeta2:

 

Effetti di carisma. Nelle Fiction di Conservazione di Pierluigi Basso Fossali

Lo specchio di Calibano. Sulle soglie dell’identificazione di Valentina Carrubba

 

Sul numero 24, novembre 2012:

 

Il significante al quadrato. Le frontiere del documentario e del serial di Mario Sesti

The Whire. “Cinema espanso” e nuovo realismo sociale di Christian Caliandro

 

 

Post sulle serietv:  //www.filmtv.it/post/29214/recensione-true-detective-perche-l-italia-non-investe-nelle/#rfr:none

 

 

 

 

 

 

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