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IL NUOVO CINEMA DEL PICCOLO SCHERMO - BREVI RECENSIONI DI DUE GRANDI SERIE TELEVISIVE
di NOODLES98 ultimo aggiornamento
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IL POST CONTIENE MOLTEPLICI SPOILER SU "BREAKING BAD" E "IL TRONO DI SPADE"

 

Non ho mai considerato più di tanto le serie televisive. Quelle italiane (che non sono neanche degne di essere chiamate serie, ma semplicemente, soap) non meritano l'attenzione di nessuno, a mio parere (nonostante molte siano già state rinnovate per ben otto anni...), mentre quelle americane, fino a poco tempo fa, non le consideravo. Non ho mai visto Lost, né Fringe né nessuna serie di Abrams. Ho provato a vedere The Walking Dead, ma neanche gli zombie sono riusciti ad appassionarmi, essendo la serie una soap opera con qualche morto vivente ogni tanto, parafrasando un certo Romero, che di cadaveri che camminano se ne intende parecchio. Mi è capitato di guardare qualche puntata di CSI, ma ogni volta non resistivo fino alla fine, con la sua fotografia sgargiante e la regia pessima (per non parlare della trama). Ma ormai è parere comune che le serie tv americane abbiano surclassato il cinema dello stesso paese. Ero scettico finché non sono incappato in due serie: Breaking Bad e Il Trono Di Spade. La prima si è conclusa qualche mese fa, mentre la quarta stagione della seconda è cominciata da tre settimane. Questi due telefilm mi hanno fatto cambiare il mio modo di vedere la televisione. Perché, senza ombra di dubbio, entrambe superano di gran lunga i prodotti cinematografici del loro stesso genere. Due serie così diverse, ma ugualmente eccelse e le uniche che sono riuscite a coinvolgermi.

 

 

Cominciata come una commedia nera a sfondo criminale, Breaking Bad ha sempre più affondato le sue radici nell'odio e nel male che ci circonda e che, a volte, vive dentro di noi. Per questo le tanto discusse puntate introspettive e prive di conclusione acquistano un senso: attraverso le cinque stagioni che compongono la serie, veniamo a scoprire praticamente ogni cosa dei nostri protagonisti, ne conosciamo ogni aspetto più recondito e misterioso, siamo come dei loro vecchi amici, o come dei voyeur che hanno solamente spiato quei segreti di cui siamo a conoscenza. Sappiamo proprio tutto, anche cose totalmente inutili, come la cleptomania del personaggio di Marie, cose forse non necessarie. Ma, soprattutto nell'ultima, fenomenale, stagione, il carattere dei personaggi viene prima dei personaggi stessi: ognuno ha davanti a sé una scelta, un'opportunità, e noi riusciamo così a immedesimarci con loro, riuscendo a vivere i loro molteplici dilemmi. Molti avevano già gridato al miracolo dopo le prime due stagioni, probabilmente persone più lungimiranti di me, poiché all'epoca non ero ancora totalmente coinvolto dalla vicenda...perché Breaking Bad è fatto così. E' una serie lenta e, a tratti, quasi contemplativa, ma che si fa strada nei meandri della nostra mente e, prima che ce ne accorgessimo, ne diventiamo dipendenti: vogliamo sapere qualcosina in più, continuamente, se sia questa la morte di un personaggio principale o semplicemente un altro particolare da aggiungere alle nostre biografie dei protagonisti. Ciò che colpisce delle ultime due stagioni di Breaking Bad (senza ombra di dubbio, le migliori) è la trasformazione da divertente commedia nera ispirata a Tarantino (non sono sicuro, ma la scelta dei cognomi dei protagonisti -White e Pinkman- mi sembra una spiccata citazione a Le Iene) e al "new-noir" a tragedia Shakespeariana, che ha come risulato il decadimento fisico e morale di Walter White: il cancro che lo divora dall'interno si fa specchio del suo abbruttimento psicologico che lo porterà ad essere odiato dalla sua stessa famiglia (la cosa che considerava più preziosa al mondo e che utilizzava come capro espiatorio delle sue azioni) e alla morte nel laboratorio di metanfetamina dove si trovava così in pace. Da contraltare a questo personaggio, c'è quello di Jesse Pinkman, interpretato da un magistrale Aaron Paul: il ragazzo disilluso che si vede schiacciato dalla vita, dalle sue fiduce mal riposte e dalle persone malvage che lo circondano, ne patisce di ogni, ma gli sceneggiatori/ideatori della serie non hanno avuto (a mio parere, giustamente) il coraggio di ucciderlo. E così, il finale più classico che si potesse pensare riesce a diventare imprevedibile e perfetto, come la regia dell'intera serie, che, nonostante il cambio di registi, ha mantenuto un tratto distintivo per tutte le stagioni.

 

 

Un discorso diverso va fatto per Game Of Thrones, partendo dal genere: il fantasy. Ma non è il fantastico infantile di Harry Potter e neanche quello epico e pesante del Signore Degli Anelli. E' un fantasy più umano, più sporco, più violento e più intricato. E' una sorta di hard-boiled fantasy. La trama non è elementare come quella di Tolkien, ma è piuttosto una serie di intrighi e cospirazioni, di tradimenti e incesti, stupri e massacri. L'epico è lasciato da parte, come l'eroico: non c'è più nessun discorso memorabile d'incoraggiamento e, se presente, è interrotto da un colpo alla testa (come nel caso di quello di Theon Greyjoy). In questo senso, Il Trono Di Spade (sia libro che telefilm) è molto innovativo: non si fa problemi a mostrare atti osceni, a mostrare violenza e, soprattutto, a uccidere i personaggi principali con un coraggio e una cattiveria rari. In quasi ogni stagione, uno dei molteplici protagonisti ci rimette la pelle, anche nei momenti più inaspettati (vedere la penultima puntata della terza stagione per credere). Al contrario di Breaking Bad, le puntate prettamente introspettive sono rare (anche a causa dell'immensa quantità dei personaggi), e invece si preferiscono gli eventi, che non per forza devono corrispondere con una battaglia (questo è un caso avvenuto una sola volta, nella seconda stagione), come da tradizione nel fantasy. Dopo la morte di Eddard Stark, i personaggi completamente positivi cessano di esistere. Nessuno è una persona totalmente buona o totalmeente pura, nella guerra per il Trono, neanche la piccola Arya (come dimostra il finale della prima puntata di questa nuova stagione). E, a questo punto, è lo spettatore a decidere per chi tifare: la scelta è ampia, tra le moltissime ed enormi casate che abitano i Sette Regni, e il vero protagonista, il vero motivo di interesse varia da spettatore a spettatore, come succedeva con la suddivisione in capitoli dei libri di Martin (in ogni capitolo si segue un personaggio diverso, il cui nome è anche il titolo del capitolo). 

Quale delle due sia la migliore serie non posso ancora dirlo (bisogna che Il Trono Di Spade giunga a conclusione, e la diversità di generi è abissale), ma posso dire che entrambe battono a mani basse la maggior parte dei film che escono dalle grandi major hollywoodiane per cura della regia, della storia e della recitazione. Siamo davanti a un'opera introspettiva, interpretata alla perfezione, scritta e girata ancora meglio e ad una monumentale, complessa ed epica nella sua anti-epicità portata all'estremo. Ed entrambe, visto i tempi che corrono, DEVONO essere viste.

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