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Dizionario del Turismo Cinematografico : Il castello di Speltara a Gualdo Cattaneo ( PG ) location di MAGNIFICAT di Pupi Avati
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Nella settimana santa del 926 A.D., alla fine del l'alto Medioevo, Pupi Avati colloca, intrecciandole, diverse storie degli abitanti ( nobili, religiosi e popolani ) che risiedono in un piccolo feudo dell'Italia centrale.

Il regista bolognese destina nelle location dell'Umbria campestre le riprese del film Magnificat, terre ancor oggi non troppo cambiate dalla mano dell'uomo nell'evoluzione sociale morfologica del territorio, dove natura, arte religiosa, architettonica e urbanistica, si fondono in un tutt'uno.

 

Il contesto storico era dominato nella mentalità e nella vita quotidiana comune di allora da religiosità, superstizione, misticismo e ignoranza. Si pensi che in quei momenti erano ancora poche le città sorte o risorte dopo la caduta dell'Impero Romano, viste le continue invasioni barbariche che per i secoli successivi alla caduta, misero a ferro e fuoco, saccheggio dopo saccheggio, sterminio dopo sterminio, intere regioni e popolazioni italiane. Questo portava al ritiro progressivo ma inesorabile degli abitanti, dalle coste marine e dai fiumi alle colline e alle montagne, con annesso un calo demografico consistente.

La cultura ( intesa come saper leggere e scrivere ) era quasi esclusivamente appannaggio dei monaci benedettini, colti al punto da tradurre antichi testi in lingue orientali magari dimenticate da secoli, nel latino, lingua ufficiale per clero e nobiltà dell'epoca.

Detti monaci edificavano i loro monasteri nelle zone più impervie ed inaccessibili dell'entroterra italico, per sfuggire alle continue e devastanti invasioni .

 

In questo contesto Pupi Avati ha voluto fornire , con la sua opera, uno specchio piuttosto fedele di come si viveva allora, ( e in tempo di pace : non v'è infatti, a parte un breve addestramento alle armi da offesa , spade, e difesa, scudo, in nessuna scena del film uno scontro vero e proprio in armi ), dove in ogni feudo v'erano leggi differenti con relative condanne per i reati commessi o presunti tali, dove il giudizio di Dio era imperante ( vedi ordalia del ferro nella scena del poi condannato allo squartamento ) ma sempre per il volere dell'uomo, che si faceva scudo e paladino delle decisioni di N.S., dette ordalie, anche le più crudeli ed efferate.

Il boia Folco e l'aiutante Baino eseguono nel film anche un'altra condanna, affogando nel fiume una giovane sposa.

Il nobile di turno si forniva così, tramite la superstizione religiosa, per volere divino ( ordalia nelle sue varie forme : del ferro, dell'acqua e del fuoco ), la legittimazione ad applicare leggi che portavano ad esecuzioni che a definerle barbare ed aberranti è eufemistico.

Secondo il mio modesto parere il regista ci ha voluto dare la trasposizione cinematografica della definizione “ epoca buia “, per fortuna, in parte, storicamente limitata nel secolo successivo con la nascita dei Comuni, prima forma rudimentale di un abbozzo di democrazia nella vita sociale.

 

 

L'imponente castello di Speltara, le cui prime notizie risalgono alla fine del XIII sec. , quando Speltara era sotto la giurisdizione di S.Terenziano, preserva una pianta quadrata con unica torre angolare, molto alta, circondato da una massiccia cinta muraria ancora visibile. Pare che il suo nome risalga alla coltivazione della spelta, pianta della famiglia delle graminacee, simile al grano e in seguito denominata farro ( Triticum spelta ).

Speltara seguì le vicende storiche di Gualdo Cattaneo e dei territori limitrofi, diventando alternativamente feudo perugino, avamposto di Braccio Fortebracci.

Il castello, alto e robusto, dalle notevoli dimensioni, racchiude un vasto cortile interno dove si apre la corte, le abitazioni riservate alla servitù e la stalla. Completamente abbandonato dai primi del 900, continua ad evocare sentori di fascino e mistero nonostante l'abbandono.

Purtroppo il castello non versa in buone condizioni ma è visitabile.

 

Il castello presta lo sfondo alla scena in cui il figlio prediletto del Conte di Malfole, cerca conforto e forza all'interno del maniero per la successione imminente, riportandone le sensazioni e gli odori delle piante presenti al padre ormai morente, visto che lì venne al mondo il nobile capostipite.

Venicevenne di Malfole, erede del casato, vi ritorna dopo la morte del padre investito da cavaliere e nuovo nobile tenutario, cercando in un dialogo mistico una corresponsione con il padre che gli promise agonizzante di inviargli un segno dall'aldilà della sua ulteriore benevolenza.

Molte altre scene del film sono state girate a Todi e dintorni, posti di cui Pupi Avati si è innamorato, tanto da comprarsi una casa.

Da una sua intervista : “ Nel 1989 ho comperato una torre mozza del 1100 che nessuno voleva, aveva un neo più che attraente per me: è vicina a un cimiterino. Uno campestre, sereno e senza paure. A Cecanibbi, poche case ai piedi di Todi, faccio lunghe passeggiate e incrocio facce di chi non ha mai pensato di villeggiare ad Antigua. Di sera mi godo il vero buio, di campagna. ”

 

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