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Quando non erano famosi (40) - István Szabó
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Ci sono artisti la cui vita attraversa le epoche assorbendone lo spirito di declino e rinascita, di distruzione e ripensamento, e che sanno convertire quel senso di crisi e di irrequietezza in una creatività indipendente: l’espressione di una libertà che rompe con le ideologie, ma non per questo rinuncia alla riflessione esistenziale e alla denuncia dei mali della società.    

La storia del più  noto regista ungherese vivente – fondatore della nouvelle vague magiara - nasce all’insegna del cambiamento. Inizia con un’infanzia funestata dalle persecuzioni naziste, prosegue con un’adolescenza rigidamente inquadrata nel regime comunista, e infine fiorisce, nell’età adulta, con il nuovo corso filooccidentale inaugurato dal primo ministro Janós Kádár, aprendosi al linguaggio universale delle emozioni umane, che rivendicano la loro natura autonoma rispetto alle logiche della politica.    Appartenente ad una famiglia di ebrei convertitisi al cattolicesimo, István Szabó fu il primo ad interrompere una lunga tradizione, tramandata di padre in figlio, in base alla quale avrebbe dovuto diventare un medico. Quando era ancora un ragazzo, la lettura di un libro del teorico del cinema Béla Balász lo indirizzò verso una scelta ben diversa: subito dopo la maturità, István si iscrisse all’Accademia di Cinema e Teatro di Budapest. Qui divenne allievo di Félix Máriássy e nel 1959, all’età di ventuno anni, realizzò il suo primo cortometraggio, A Hedetik Napon (Il settimo giorno). Il filmato, muto e in bianco nero, narra la breve (dis)avventura occorsa ad un sacerdote che, recatosi dal barbiere per una rasatura, viene inaspettatamente servito da un’avvenente signorina. Un piccolo capolavoro di sensualità, che denota già  una notevole padronanza della macchina da presa.

La figura femminile tornerà protagonista in Te (1961), il ritratto, quasi completamente privo di dialoghi, di una ragazza che percorre le vie della città camminando con movenze da ballerina, mentre, con un misto di civetteria e autoironia, mette pubblicamente in mostra la sua bellezza.  

 Allo stesso anno risale Koncert, il lavoro di diploma di Szabó, nel quale si narra la storia, con accenti surreali e spunti comici, di uno specchio vagante e di un pianoforte abbandonato  sulla riva di un fiume.

Queste due opere apriranno al giovane István la strada della fama mondiale, aggiudicandosi, rispettivamente, una menzione speciale al Festival di Cannes, e varie nominations in Europa e negli Stati Uniti (tra cui una candidatura all’Oscar per il soggetto, firmato da Ezra R. Baker). Il successo internazionale proseguirà quattro anni dopo con L’età delle illusioni (1965), il suo  lungometraggio d’esordio, che risulterà vincitore della Vela d’argento per la migliore opera prima al Festival di Locarno.  Un inizio più che promettente per una carriera destinata a culminare, nel 1982, con il trionfo agli Academy Awards per il film Mephisto.

 "Non credo che si possa separare l'arte dalla politica, perché la politica è vita, e se la si separa dall'arte, ciò significa che l'arte non ha nulla a che vedere con la vita." (István Szabó, in un'intervista pubblicata su Euroscreenwriters).

 

 La precedente puntata di Quando non erano famosi:

(39) Jacques Tati

 

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