Regia di Nacho Cerdà vedi scheda film
Se in The Awakening, primo suo corto, Nacho Cerda usava in punta di fioretto l'arma della suggestione, in Aftermath, corto a colori di 32 minuti circa, senza dialoghi, usa decisamente la sciabola. O meglio il bisturi.
Nulla o quasi è lasciato all'immaginazione nella visualizzazione del lavoro in una sala autoptica. All'inizio tutto normale , si fa per dire, poi quando uno degli operatori rimane solo con un ultimo cadavere da dissezionare, quello di una giovane donna, è un crescendo di aberrazione fino ad arrivare alla necrofilia.
La cinepresa di Nacho Cerdà infrange ogni tabù, uno dietro l'altro e anche nel finale c'è una volontà assoluta di creare shock e disgusto.
Il regista ci parla della sua visione della vita attraverso la morte, i cadaveri che sono distesi su quei freddi tavoli metallici stanno per essere tagliati in tutti i modi ( quando va bene) o addirittura profanati con crudeltà assoluta. Quei corpi indifesi, inermi, nudi , in cui non circola più l'afflato vitale sembrano lo stesso così vulnerabili. Anche se biologicamente non più vivi.
Si rimane impietriti a guardare Aftermath perchè è praticamente impossibile pensare a qualcuno che possa arrivare a tale grado di abiezione e di psicopatologia.
Oltre a farci ritornare in mente che alla fine forse è meglio ritornare alla polvere da dove siamo venuti.
C'è una componente che manca a questo corto per renderlo "definitivo", ma non è colpa di Nacho Cerdà, il cinema è inadatto a fornire un'esperienza di questo tipo: manca l'odore.
Chi è entrato in una sala autopsie sa di che cosa parlo: l'odore di morte ti accoglie e ti si avvolge intorno come un indesiderato sudario.E' qualcosa di indescrivibile ma di ben palpabile, qualcosa che non ti abbandona neanche a tanti anni di distanza.
(bradipofilms.blogspot.it )
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