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Do Not Disturb

Regia di Yvan Attal vedi scheda film

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La recensione su Do Not Disturb

di OGM
8 stelle

Non aspettatevi una “morale”, o, se preferite, quello che si dice il “punto”. Perché in questo film non c’è. Molti critici si sono detti delusi per non aver trovato quello che, secondo loro, avrebbe dovuto essere il succo del discorso. Ma questa è solo una commedia. Priva di costrutto, perché realisticamente impastata del nonsenso un po’ così che caratterizza le avventure della gente comune. Nelle menti delle persone qualunque nascono, a volte, idee azzardate la cui realizzazione non può corrispondere alle smisurate ambizioni da cui esse sono avventatamente scaturite. I sogni velleitari hanno le gambe corte, e sono pure zoppicanti. Due vecchi amici, due cinquantenni che non si vedono dai tempi dell’università, si rincontrano, e, nel corso di una festa, si mettono in testa di poter creare un’opera d’arte, trasgressiva e alternativa, recitando, da eterosessuali che sono, in un porno gay autoprodotto: un documentario girato con una videocamera amatoriale, davanti alla quale intendono esibirsi in un rapporto intimo. Una sfida estrema con cui vogliono celebrare la loro riunione, avvenuta, inaspettatamente, dopo tanti anni di lontananza, durante i quali le loro strade si sono separate: Ben è diventato un urbanista, si è sposato e sta cercando di avere un figlio dalla sua giovane ed avvenente moglie. Jeff, invece, è rimasto l’avventuriero che era da ragazzo, quando lui e Ben frequentavano insieme l’Accademia di Belle Arti. A colmare quell’abissale distanza interviene, improvvisamente, lo spettro di una tardiva goliardata, alla quale i due uomini si accostano con un misto di eccitazione giovanile e di matura preoccupazione per la propria inadeguatezza e le possibili conseguenze di quella sciagurata iniziativa. In entrambi, il timore di toccare parti sconosciute di sé fa a pugni con la vergogna di non sentirsi all’altezza del compito: è duro ammettere di sentirsi soggetti a vincoli ed inibizioni che l’esperienza di una vita non ha saputo cancellare. Nelle quarantotto ore che precedono quel fatidico appuntamento nella camera di un albergo parigino, tra i due si sviluppa una delicata ed ambigua schermaglia: un tira e molla con cui Ben tenta di celare la sua incapacità di gestire una situazione che rischia di mettere in crisi il suo matrimonio, mentre Jeff lascia involontariamente trapelare le insicurezze riguardanti la propria immagine virile. Entrambi si sono ormai esposti, l’uno verso l’altro, e nessuno dei due osa esplicitamente tirarsi indietro, per non sembrare pusillanime o retrogrado. Così quell’inconcludente confronto prosegue, aumentando la confusione, senza contribuire in nulla a chiarire le rispettive posizioni. Un’impresa concepita nel corso di una serata stravagante in cui si era bevuto parecchio potrebbe essere l’occasione per tastare i propri limiti e rimettersi in discussione con una salutare boccata di incoscienza: la vicenda, però, si svilupperà in tutt’altra direzione, sancendo l’irreversibilità di quel processo che, lentamente, nel corso dell’esistenza umana, cancella l’allegra apertura alla follia come terreno di libera sperimentazione.  Gli attori protagonisti, Yvan Attal (che firma anche soggetto, sceneggiatura e regia) e François Cluzet ci intrattengono con la splendida interpretazione di due esseri bloccati, in preda a un panico che cercano in ogni modo di reprimere, camuffandolo con l’impegno a fare le cose per bene,  e a esaminare la faccenda sotto tutti gli aspetti. Quella patata bollente, che nessuno dei due sa scrollarsi dalle mani, è un irrisolto da quattro soldi che vorrebbe alzarsi in volo, e invece, dentro due anime impantanate in un vile disincanto, finisce per rotolarsi per terra. Il dunque è eternamente rinviato, a furia di affannosi tentativi di renderlo innocuo, banalizzandone la portata. Il grande rischio viene tirato per i capelli, per riportarlo alle proporzioni delle consuete vicissitudini quotidiane, di fronte alle quali ci si stordisce a suon di vacue discussioni, per poi esorcizzarle con l’alibi della stanchezza. Ci si logora inutilmente per approdare sereni al nulla di fatto. E magari, mentre ci si trastulla con le parole e ci si rosola nell’indecisione, si trova il modo di divertirsi anche un po’, con una punta di goffa ironia e qualche gustosa digressione fuori luogo. Do Not Disturb. Non disturbateci, per favore, con le vostre serie intenzioni, mentre noi qui ci concediamo, di straforo, il piacere di sorridere davanti a un tipo di naufragio che ci è tanto familiare.

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