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Una ragazza a Las Vegas

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su Una ragazza a Las Vegas

di M Valdemar
4 stelle

Benché ispirato ad una storia vera, alla base del romanzo di memorie Lay the Favorite della stessa protagonista, Beth Raymer, l’ultimo lavoro di Stephen Frears, trasposizione cinematografica del suddetto libro, è un’opera sconclusionata e futile, che non prende, non appassiona mai.
Si tratta in sostanza di una commedia dagli scarsi frutti e di modesto appeal; scivola - non tanto rapidamente quanto si spererebbe - nel dimenticatoio appena si palesano - finalmente - i titoli di coda, lasciando unicamente quella malcelata sensazione di aver buttato via simpaticamente un’oretta e mezzo di tempo.
Non si comprende bene cosa Una ragazza a Las Vegas (la solita stupida “traduzione” italiana) voglia dire o raccontare, si trascina in stato confusionale tra tanti luoghi del genere incespicando ogni due secondi, mortificando la pazienza dello spettatore, finanche il più bendisposto.
Se la storiella è giù banale, insipida, per nulla interessante di suo - e certo rimane un mistero perché ne abbiano voluto trarre un film - il prodotto finito s’adagia sullo scadente standard di calma piatta/morta: non brilla, non punge, non graffia, non suscita nulla se non noia e apatia.
Poi, detto in maniera sintetica e brutale, delle sorti della protagonista non ce ne può fregare alcunché; ed allora, se l’obiettivo (minimo) di creare empatia con il personaggio principale - classicamente catturato nel momento in cui è alle prese con varie (dis)avventure prima di trovare la  propria strada - fallisce, il film stesso fa crac sotto la morsa della evidente (colpevole) incapacità.
Dati gli scenari stravisti e abusati - Las Vegas, il sottobosco delle scommesse più o meno legali, poveracci e poveracce d’ogni specie ed estrazione - la possibilità di avere per le mani una vicenda incentrata su una donna era in pratica la sola carta (con)vincente per imbastire, o almeno provarci, qualcosa di decente. Possibilità, come detto, miseramente sprecata (lo spreco è parimenti tale per colei che interpreta il ruolo, ovvero Rebecca Hall).
La gestione delle (poche) risorse segna altri punti a sfavore: i comprimari sono mal introdotti e mal raffigurati (vedasi Joshua Jackson o Vince Vaughn), il ritmo è altalenante/alticcio, la narrazione non decolla mai (l’impressione è di un collage di frammenti attaccati a caso e aggiustati alla bell’e meglio in post produzione), la messa in scena scema velocemente in un teatrino incolore e assurdo.
Superfluo dire che per Stephen Frears - non esattamente un tizio qualunque che passa per caso - si tratta di una sciagurata battuta d’arresto dopo che con il precedente Tamara Drewe aveva mostrato di essere ancora in buona forma.
Il problema è che nella bislacca “impresa” trascina con sé un Bruce Willis mai così smarrito e sottotono (e sì che i toni da commedia lui sa come farli suonare a meraviglia) ma soprattutto Rebecca Hall, a cui vengono chiesti vani sforzi per dare una personalità vagamente sensata alla sua Beth (cosa francamente impossibile) senza tralasciare il fatto che ne viene smorzata la naturale notevole sensualità “vestendola” in abiti succinti e facendola esibire in pose solari e “sexy“ che non le si addicono granché (non che non se ne apprezzi la prorompente bellezza, comunque).
Insomma, un film completamente sbagliato e sballato.

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