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Sonny

Regia di Nicolas Cage vedi scheda film

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La recensione su Sonny

di scapigliato
7 stelle

Nicolas Cage dirige un bello e impossibile James Franco come solo un attore sa dirigere un altro attore. Grandi primi piani, diverse scene madri, nudità (anche se non itegrale), personaggi borderline, e così via. Il risultato è molto buono, e forse Cage ci vuol dire di arrangiarsela meglio come regista che come attore. James Franco è semplicemente fantastico. Con un’interpretazione sopra le righe, gigionesca e volutamente piaciona, l’attore più jamesdeaniano della sua generazione sa “penetrare” nell’archetipo del bello e dannato don giovanni, sciupatore di femmine e dipendente dal sesso, ma qui in una accezione ancora più estrema del mito moderno: la prostituzione isterica.

Il Sonny di Franco sa fare una sola cosa, e la sa fare bene (così dicono le numerose femmine che ne pagano i favori). Questa macchinina del sesso, fisico definito ma gracile, esile e quindi più vicino ai segni letterali della malattia e dell’isterismo (patologia storicamente al “femminile”), compie prodezze amatorie come nelle migliori favole dove il maschio è il “fallo” centrale intorno cui tutto ruota, compreso il piacere fisico. Ma il suo personalissimo gap Sonny lo ritrova proprio nella sua eccellezza, che non è la dimensione proibitiva del membro, visto che nessuna donna manifesta stupore a vederlo nudo, bensì l’abilità performativa che  fa “urlare” al capolavoro.

Non sapendo fare altro che questo, non riesce a staccarsene e crearsi un’esistenza diversa, fondata su altro. Qui interviene a gamba tesa il moralismo tutto americano di Dio, Patria e Famiglia da cui si sviluppa poi la deformazione disfunzionale del benessere e della ricchezza materiale. Forse Sonny non lo sa ma la sua vita da gigolò vale molto di più di una casa, una moglie e dei figli che lo comprometterebbero ad un ordine ipoteticamente rifiutato fin dall’infanzia. C’è da dire che Sonny lo conosciamo appena finito il servizio militare, e non dà segno di averla odiata questa parentesi in divisa, anzi, ritorna come un piacevole ricordo tanto da condurlo a casa di un suo commilitone, Scott Caan figlio di James, per un futuro lavoro. Eppure c’è qualcosa nelle discipline ferree che Sonny non manda giù, e farebbe così la fine di Pinocchio: da una condizione speciale ed eccezionale passerebbe ad una condizione ordinaria e patetica.

A salvare il futuro di Sonny credo sia piuttosto la base etica da cui arrivano sia lui che la sua ragazza, Mena Suvari, e cioè il libertinaggio dei loro corpi, usati e consumati come natura vuole e quindi liberi da qualsiasi compromesso religioso e disciplinante. Non sappiamo cosa saranno in futuro, ma sappiamo cosa sono stati nel presente filmico e quindi ipotizziamo che i loro istinti altériti non li abbandoneranno. A condire ulteriormente l’ingarbuglio sentimentale ed emotivo del protagonista ci sono una madre possessiva e debole come Brenda Blethyn, un padre fittizio che è poi il vero padre vittima della sua stessa poverà come il sempreamato Harry Dean Stanton che dopo aver amato Billy the Kid ha amato anche questo nuovo bandito (dalle istituzioni) e infine un Nicolas Cage cocainomane e pederasta che invita alla lussuria omoerotica il bel Sonny scatenando in lui il classico complesso edipico, strisciante per tutto il film, che sarà anche il punto di non ritorno verso un’emancipazione di segno eterosessuale e monogamo, ovvero un altro complesso: quello di Pinocchio, dall’eccezionale all’ordinario.

Se è un film irrisolto basterebbe la “femminilità” isterica del personaggio protagonista a confermarlo, però Sonny sa ugualmente definire e chiudere il discorso grazie all’atipicità con cui racconta un tipo conosciuto e riciclato dall’immaginario, dotandolo di complessi esistenziali notevoli attraverso la bravura intrinseca di James Franco. Peccato che in fin dei conti pecchi di buonismo e moralismo.

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