Regia di Sameh Zoabi vedi scheda film
Venezia 75. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Chi frequenta i festival mette in conto la possibilità di prendere delle grandi fregature ogni volta che entra in sala, un po' perché i titoli e gli autori sono sconosciuti, specie nelle sezioni collaterali, un po' perché le sinossi sono piuttosto criptiche e difficilmente lasciano trapelare qualcosa. Alla ricerca di una commedia che temperasse un po' l'alone drammatico che i film del concorso principale, normalmente, emanano, mi sono imbattuto in un'opera che aveva le caratteristiche per poter essere un discreto bidone. Regista palestinese quasi esordiente, un oscuro tema bellico dallo svolgimento brillante. L'inizio di questo "Tel Aviv on Fire" è stato sconfortante. Il "bidone" sbatteva frenetico il coperchio nelle mie orecchie alla vista dei fondali palesemente falsi del set, alla percezione delle luci piatte, innaturalmente colorate, alla presenza di un'ampollosa recitazione. Fortunatamente l'arcano era destinato a svelarsi presto. "Tel Aviv on fire" altro non era che il titolo pomposo di una telenovela che trovava ambientazione nel 1967 durante la Guerra dei Sei giorni. Combattuto tra l'Alleanza Araba e Israele, il conflitto ebbe conclusione con la conquista del Golan, del Sinai, della Cis-Giordania e di Gaza da parte dell'esercito di Aryel Sharon e la disfatta della Lega Pan-araba. Le scene, appena girate, negli studi palestinesi di Ramallah erano, dunque, pronte per andare in onda ed emozionare uno stuolo di donne arabe e israeliane desiderose di dimenticare qualsivoglia conflitto e piangere lacrime amare per l'amore impossibile, tra la "femme fatale" palestinese e lo zelante generale dell'esercito israeliano, consumato tra venti di guerra a glamour.
Musiche arabe, sensualità, mistero, amori e tradimenti: devo ammetterlo, il regista Sameh Zoabi si è preso gioco di me con una sequenza da cinema di serie C. Anzi ha preso per i fondelli un po' tutti al vedere la postura più rilassata e i tratti più distesi sul viso degli altri accreditati, una volta intuito lo scampato pericolo. Dopo l'incipit iniziale "Tel Aviv on Fire" ha alternato l'aulica storia di spionaggio e amore della telenovela con la rocambolesca vicenda dello sceneggiatore, ossia lo scalcagnato e perdente Salam (Kais Nashif) assunto dallo zio produttore per occuparsi dell'allestimento scenico della soap. Per una serie di malintesi al check-point Salam era stato scambiato dal capitano Assi (Yaniv Biton) per lo scrittore dello show. Per aver libero accesso alla Cis-Giordania, mantenere il lavoro e riconquistare l'amata Mariam (Maida Abd Elhadi), Salam non aveva avuto scelta. Sotto l'egida del comandante aveva iniziato a riscrivere il copione lasciando che la storia fosse più consona alle idee del militare israeliano. Quella storia, del resto, era troppo ridicola, non rispettava le gerarchie militari e faceva passare il generale vincitore come un povero inetto alla mercé di una donna, per giunta palestinese. Affrontare tutto ciò era troppo per lo schietto e arcigno Assi. Era doveroso riscrivere il finale di quell'assurda soap opera che teneva incollata sua moglie al televisore, tutti i giorni, come se fosse una donna palestinese, in attesa di quell'ignobile matrimonio "che non s'ha da fare".
Zoabi si è prodotto in una satira politica dal tono canzonatorio ma lieve, e con intelligenza è riuscito a sdoganare una materia complessa usando un linguaggio fisico e verbale brillante che ha sedotto il pubblico presente. Complice una bella sceneggiatura il regista ha omaggiato l'amore (vero) tra lo scrittore pasticcione e la sua bella infermiera mescolando finzione e realtà. Al contempo ha scherzato con il gioco della seduzione tra la "star" franco-palestinese e l'ingenuo Salam, impegnati in una "calda" notte nella camera d'albergo di lei, tra ferormoni a rilascio istantaneo. Dal sostrato narrativo è emersa una Francia un po' sgualdrina al soldo delle potenze Occidentali e dello stato ebraico, una Palestina ingenua e priva di midollo, mentre ad Israele è toccata la peggior rappresentazione: subdolo e pronto a riscrivere, ancora una volta, le pagine della storia palestinese attraverso un (finto) rabbino (la voce più oltranzista dell'ortodossia ebraica) che sotto barba e kippah nascondeva mostrine e pistola (lo spirito conservatore e guerrafondaio dell'esercito) in un unicum esilarante di divisa e payot. La satira bipartisan ha colpito entrambe le fazioni con un finale ironico, né idilliaco né consolatorio. Una nuova stagione di "Tel Aviv on Fire" era alle porte. Una spia presa dal popolo era pronta a vendere cara la pelle e sedurre il neo generale con le armi in suo possesso. Si sarebbe fatto ammalieare dalla bellezza palestinese il neo protagonista dell'esercito invasore? La lotta tra israeliani e palestinesi continua tutt'ora. Un matrimonio d'amore tra i due popoli sembra lontano. E allora lasciamo spazio ad intrighi e colpi di scena. Se fossimo Salam saremmo sicuri di aver trovato la manna dal cielo: a 50 anni dalla II Guerra israelo-palestinese la situazione è pressoché immutata. Visto il perdurare della questione palestinese il pastrocchio televisivo che lasciava sperare in un amore definitivo e possibile, ripercorrendo gli infiniti "Sentieri" della soap opera, lascierà (forse) spazio a decadi e decadi di "Febbre d'amore" tra le fiamme di una "Tel Aviv on Fire" in attesa del bramato "Beautiful" ending. Show garantito.
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