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The Affair

5 stagioni - 53 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 1

  • 2014-2014
  • 10 episodi

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mck

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La recensione su The Affair

di mck
8 stelle

Meet me in Montauk.

 

The Affair” - creata da Sarah Treem (In treatment, How to Make It in America e House of Cards, mentre non ho idea a che punto sia la serie dedicata a Hedy Lamarr interpretata da Gal Gadot), anche showrunner) e Hagai Levi sviluppandola lungo 5 stagioni da circa una decina di episodi l’una, per un totale di 53, dal 2014 al 2019 - è la versione adulta di una soap opera nella quale le molteplici scene di sesso, riproposte sino alla “nausea”, a modo d’intermezzo, quasi come una punteggiatura (se fosse un’opera di fantascienza, sarebbero le battaglie fra astronavi, se si trattasse di un horror, sarebbero i jump scare, eccetera, e invece è, in parte, un poliziesco, anche, e quindi a fare da controcanto e contraltare agli amplessi vi sono gli interrogatori, per lo più informali almeno sino a quando...) oltre al valore diegetico del cementare i rapporti fra gli amanti adulterini rappresenta quello “extra”-diegetico del reiteratamente confermare passo passo, via via e di volta in volta il significato del titolo.

Questa prima stagione di “the Affair”, 10 episodi rilasciati settimanalmente da ShowTime sul finire del 2014, inizia dall’anonimità e dalla sconosciutezza di “Ultimo Tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci e Franco Arcalli (in cui la miccia è la morte della moglie per un marito, mentre qui è quella di un figlio per una madre) e di “Intimacy” di Patrice Chéreau e Hanif Kureishi (senza raggiungere quel livello di carnale audacia raffigurativa) per sfociare poi in un profondamente radicato rapporto d’amore parallelo ai due principali, paradossalmente molto se non del tutto simile, questa relazione extra coniugale, ad un matrimonio vero, reale, concreto, intenso, vivo.

A Ruth Wilson (Alison Bailey-Lockart) spettano due devastanti scene madri, una nei panni di nipote e soprattutto di figlia, rispetto alla morte della nonna, che le ha fatto in tutto e per tutto da madre, e una nei panni di madre, rispetto alla morte del figlioletto. (Eternal SunShine of the SpotLess Mind.)
Ma è Maura Tierney (Helen Butler-Solloway), tenera e forte, buffa e imbronciata, a cesellare con complessa grazia un personaggio principale & secondario, né “buono” né cattivo, come tutti, in maniera fenomenale (e quando ad un certo punto, verso la fine, sbotta contro la “rivale” con “E tu smettila di fissare mio marito! Quale cazzo è il tuo problema?”, scatta l’applauso).
Dominic West (Noah Solloway) e Joshua Jackson (Cole Lockhart) sono le controparti maschili: bravi, ma certamente molto meno incisivi. Chiudono l’ottimo cast principale Mare Winningham (la matriarca Lockhart), Julia Goldani Telles (la filgia di Helen e Noah), Victor Wiliams (il detective Jeffries), Darren Goldstein (Oscar, un “amico” di Alison e Cole), Josh Stamberg (un amico di Noah), John Donam (il padre di Helen), Kathleen Chalfant (la madre di Helen) e Colin Donnell (fratello di Cole). E poi, fra i secondari, Kaija Matiss, che spicca.

La rashomonica narrazione (ambientata nel corso di un anno fra New York e Montauk) è - con particolare riferimento al film di Ned Benson uscito appena un anno prima, nel 2013, “the Disappearance of Eleanor Rigby: Him, Her, Them” - bipartita (“tri” se si considera anche il PdV esterno del detective, e “tetra” se si include anche quello ricostruttivo/onnisciente dello spettatore): ogni ep. è costituito da due linee narrative “differenti” e parallele, con la seconda storia che riprende, reiniziandolo, il percorso effettuato dalla prima, però da un’altra, diversa prospettiva, così per com’è stata vissuta e, soprattutto, ricordata, da uno dei due protagonisti, Noah ed Alison: in 8 occasioni viene presentata prima quella di Lui e poi, ricominciando da capo, quella di Lei, e in 2 avviene il contrario (il 5° e il 9°), mentre il 4°, ambientato a Block Island, esprime una particolarità non conforme: le due prospettive non sono del tutto parallele, ma in parte (complice anche le divergenze fra le due memorie, a volte, come in questo caso, molto evidenti) consequenziali l’una all’altra: prima quella di Lui e poi quella di Lei che riprende il racconto quasi là dove si era interrotto.

Il pilot è diretto da Mark Mylod, 5 ep. da Jeffrey Reiner e 2, rispettivamente, da Carl Franklyn e Ryan Fleck. Gli sceneggiatori, oltre a Sarah Treem (pilot e final season), sono Melanie Marnich, Kate Robin, Dan LeFranc ed Eric Overmyer.

Le musiche sono di Marcelo Zarvos, mentre la canzone a cappella della sigla di testa è l'inedita "Container" di Fiona Apple, fra "the Idler Wheel..." e "Fetch the Bolt Cutters" (col senno di poi, alla luce della 5ª ed ultima stagione, illuminante).
Un momento da rimarcare, collaterale e improvviso, nel corso dell’ep. 9, è il suicidio di uno sconosciuto, in secondo piano, sullo sfondo, à la “Mad Men”.

Meet me in Montauk.

* * * ¾ - 7½       

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