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Venezia 80 - Venice Immersive (1)
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La possibile pausa “produttiva” dalla sala cinematografica, alla Mostra del Cinema di Venezia, è fare una visitina al Venice Immersive dell’Isola del Lazzaretto Vecchio, raggiungibile con tre minuti di navetta a un passo dal Lido. Una gita fuori porta, per la sezione del Festival dedicata alle esperienze tridimensionali di realtà virtuale. Non più certo il semplice VR che avevo visto nel 2017 in occasione della presentazione di The Deserted di Tsai Ming-liang, un classico film sullo stile del regista taiwanese ma anche più sprofondante e avvolgente del solito per ovvi motivi: questa volta Venice Immersive, dopo 6 anni, è totalmente cambiata. Sicuramente gradualmente in 6 anni, per me invece improvvisamente e radicalmente.

Perché lo spazio dedicato non è più una singola sala con delle poltrone bianche che ruotano su se stesse, ma è una selva di singoli stand, ognuno dedicato a una diversa opera in competizione. E molti di questi stand mettono a disposizione oggetti reali che la realtà virtuale ricontestualizza, rifonda nel loro significato empirico, costringendo a rimettere in discussione i limiti apparentemente più ovvi della nostra percezione. Una nuova idea di hardware? 

I due corti che ho “visitato” fisicamente, interagendo con tutto il corpo, sono stati Gaudi - L’atelier du divin di Stéphane Landowski e Gaël Cabouat, e Jim Henson’s The Storyteller: The Seven Ravens di Félix Lajeunesse e Paul Raphaël. Il primo fuori concorso, il secondo in concorso.

 

Jim Henson’s è una piccola storia di una famiglia, di sette fratelli e della loro sorella malata. Una favola cupa, che i due autori sviluppano tutta a partire da un libro: ad ogni pagina un nuovo piccolo mondo si dischiude dinanzi al lettore, fuoriuscendo dalle pagine e promettendo un’interazione tridimensionale con l’universo narrato. Per chi è appassionato di cinema tout court, la sfida più suggestiva è cambiare l’inquadratura secondo il proprio desiderio, piegando il libro in tutte le direzioni dello spazio. Una pagina va addirittura liberata alla vista scrollando via delle piume! 

Ancora più suggestivo il corto documentario su Gaudì: siamo sul suo letto di morte, ad ascoltare i segreti della sua arte. I suoi palazzi, le sue sculture, e la Sagrada Familia. Tutto nelle vesti di manichini, che si muovono in una stanza che cambia dimensioni continuamente, aprendosi allo spazio irripetibile della grande magnifica chiesa di Barcellona. Ogni utente diventa effettivamente un manichino, e nella realtà virtuale è possibile identificarlo per non scontrarsi. Si propone così la possibilità della condivisione dell’esperienza, finora per i miei risicati precedenti del VR limitata ad un solipsismo un po’ alienante, e qui invece devota a riscrivere gli spazi della realtà in compagnia di altre persone.

Certamente una sfida suggestiva di portare oltre le chance delle narrazioni per immagine audiovisiva. Sempre più vicine all’interazione videoludica, ma ancora spiccatamente osservative e contemplative. Hardware più, hardware meno. 

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