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La mamma di Tarantino
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Sto leggendo Cinema Speculation, il nuovo libro di Quentin Tarantino edito in italiano da La nave di Teseo. Me lo sono portato in viaggio e in una tratta aerea di soli 45 minuti ho divorato le prime 60 pagine. Che non sono abbastanza per tirare le somme sul libro nella sua interezza ma sono state sufficienti per scatenare molte emozioni e alcune riflessioni sul cinema di cui Quentin parla con amore, dal quale proviene e di cui si trovano così tante tracce nelle sue opere.

Per prima cosa dovete fare uno sforzo, sebbene piuttosto modesto: immaginare Quentin da piccolo. Non è difficile perché a me Tarantino è sempre sembrato un bambino in un corpo troppo grande, quindi l'operazione che mi è venuta molto semplice è stata quella di ridurre le dimensioni dell'attuale Quentin fino a raffigurare un nanerottolo di 8 anni che ha praticamente la stessa faccia di oggi e un atteggiamento solo un pochino più circospetto. Fatto? Ecco, ora posizionate questo oggettino a El Segundo, zona sud di Los Angeles: grandi viali, moltissima gente in giro a qualsiasi ora del giorno e della notte. Della notte, soprattutto.

Erano anni molto vivaci, controcultura piena, hippie, figli dei fiori, musica e cinema. È lì, a El Segundo, che il piccolo Quentin ha vissuto dal 1971 insieme a Connie, sua mamma. Che, quando è nato Quentin, aveva 16 anni e una gran voglia di vivere, in anni in cui vivere doveva essere piuttosto divertente. Del padre, musicista e attore che gli ha dato il cognome di origine italiana, non si sa molto ma quando Quentin nacque, mamma Connie era il suo unico punto di riferimento. Spirito libero, Connie si portava dietro il figlio in ogni occasione possibile. Ed è così che inizia il libro di Tarantino, con i ricordi vividi e limpidissimi delle numerose proiezioni alle quali ha assistito. Film di tutti i generi, anche vietati ai minori. Ma prima di parlare dei film, l'autore si prende tutto il tempo necessario per raccontare l'ambiente in cui i film venivano proiettati, quello che era il Cinema, a Los Angeles, in quegli anni. Quello che rappresentavano le sale cinematografiche per chi aveva tra i venti e i trent'anni. Con grande maestria e arte del raccontare, Quentin muove la sua telecamera (sono solo parole, ma le parole di Tarantino sono cinema allo stato primordiale) tra dentro e fuori, tra cinema e contesto culturale, tra famiglia e strade, le strade di Los Angeles, le strade di Hollywood, anzi di una Nuova Hollywood.

E in un attimo, una volta interiorizzati il suo schema e il suo ritmo, che sono poi gli stessi dei suoi film, la scrittura di Tarantino diventa irresistibile, ne vuoi sempre di più. E lui te lo dà, quel di più. Incredibile come riesca ad andare all'osso, al nocciolo di certe cose, stringendo il fuoco, lo zoom, e poi decida di dilungarsi tantissimo in altre. Eppure, esattamente come nei suoi film, nulla è gratuito, nulla è inutile, e tutto è connesso ad una visione d'insieme. Se decide di attardarsi su un dettaglio è quasi sempre perché quel dettaglio è importante per costruire un registro e senza quella costruzione nessun elemento di mero racconto, o trama, avrebbe l'effetto desiderato. Da lui, ovviamente. Il Tarantino scrittore funziona esattamente come il Tarantino regista: bisogna essere disposti a lasciarsi trascinare nel suo flusso, sapendo che è molto difficile che Quentin perda il fuoco e che prima o poi arriverà il colpaccio, il capovolgimento, il twist. Proprio parlando di twist Tarantino dice una cosa molto interessante che apre diverse finestre rivelatrici sia del suo concetto di cinema che di quello che era il cinema, una volta.

Immaginate questo piccolo Quentin che insieme alla madre frequenta tutte le sale possibili (incluse quelle che proiettavano tutti i film cardine della blaxploitation in cui si ritrovava ad essere praticamente l'unico bianco, per di più molto piccolo) e poi candidamente ti dice che il colpo più duro che ha ricevuto da un film è stata la morte della mamma di Bambi. Con tutto quello che Tarantino ha visto è un film pensato per i bambini che ha provocato una vera e propria bomba emotiva. Ma il twist, dice, è molto legato a quello che ti aspetti da un film, non solo a quello che vedi DURANTE il film. E quello che ti aspetti è legato alle informazioni che ti vengono passate prima che il film inizi. E lui dice, giustamente, che da nessuna parte, in nessun trailer, in nessun poster o immagine del film, era possibile intuire la reale portata, il vero impatto, della morte della mamma di Bambi. Quindi quando quella cosa accade è portatrice di una violenza che lascia tramortiti.

Sembra una affermazione paradossale, detta da un autore che ha questa grande familiarità con la "violenza". Da colui che, nel suo film d'esordio, ha mostrato la brutalità di un orecchio tagliato al ritmo di Stuck in The Middle With You degli Stealers Wheel. Ma in un altro aneddoto rivelatore, Tarantino racconta che proprio la madre Connie ha chiarito in maniera semplice ed efficace la questione "violenza nei film", quando una sera lo lasciò a casa con la babysitter per andare a vedere Melinda (se vi state chiedendo che film sia, sono con voi, io ho sofferto tantissimo perché ero in aereo e avrei voluto cercare decine e decine di titoli di film e non potevo. Ma è stato istruttivo...). Alla domanda del piccolo Quentin sul perché quella volta non sarebbe stato possibile andare al cinema con gli adulti, la madre gli rispose che si trattava di un film molto violento di cui non avrebbe avuto gli strumenti per comprendere il contesto e così avrebbe finito per guardare violenza fine a se stessa e quella era una cosa che lei non avrebbe voluto. Un'affermazione che spiega molto bene l'attenzione che il Tarantino regista pone nella costruzione delle premesse e dei registri nei suoi film. In fondo sta ancora seguendo la regola di mamma Connie: fornire tutti gli accessi possibili al contesto in cui la violenza si esprime.

L'osservazione di Tarantino sulla modalità con cui ci si informava negli anni d'oro del cinema in sala, mi ha fatto riflettere anche sul fatto che quel dialogo tra le aspettative e il film era possibile in un'epoca in cui la nostra attenzione non era ancora materia così pregiata. Se leggevi il giornale, leggevi il giornale. Poi, vabbè, me lo vedo il piccolo Quentin che guarda con la lente di ingrandimento tutti i flani dei film in uscita al cinema nella pagina degli spettacoli del Los Angeles Times alla ricerca di indizi e, pur facendo la tara al fatto che i bambini della sua età non erano tutti come lui, vedo chiaramente tutte le differenze con la nostra epoca. Il livello di attenzione che possiamo rivolgere alle cose, oggi, è infinitamente più basso: ci sono troppi stimoli sui device che usiamo per informarci. Ecco anche perché, quando le case di produzione azzeccano un filone, sia esso un universo espanso o una serie tv, lo sfruttano fino allo sfinimento. Perché mollarlo significa anche dover riconquistare la nostra attenzione da zero in un mercato dove tutto è in competizione con tutto.

A Tarantino, invece, non piace ripetersi e il suo cinema ha bisogno di tutta la nostra attenzione. Basta pensare alla quantità di sottigliezze, anche linguistiche, nella scena di apertura di Bastardi senza gloria, nel confronto tra il colonnello Hans Landa e Perrier LaPadite che termina con il massacro degli ebrei nascosti proprio sotto al pavimento sul quale si svolge. Altro che Bambi. Oppure no, aveva ragione mamma Connie?

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