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Sicilia Queer FilmFest. 5° e 6° giorno: Queer Short, Panorama Queer, Carte Postale a Serge Daney
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Venerdì

 

La seconda tornata dei Queer Short appare dall’esito più felice rispetto alla mediocre media del primo gruppo di otto, benché, per chi scrive, il premio toccherebbe al corto più bello che stava proprio fra quei otto, cioè a dire Queer di Canecapovolto.

 

scena

Monster Mash (2014): scena

 

A giungere per primo alle 16,30 è Monster Mash, di Mark Pariselli, un filmetto cinefilo pieno di citazioni orrorifiche che mostra un’ambientazione risaputa (la notte di Halloween con travestimenti annessi) per raccontare una piccola storia d’amore omosessuale. Scongiurando il luogo comune della promiscuità che contraddistinguerebbe il “tipo omosessuale”, Pariselli illustra le chiacchierate fra due ragazzi appena conosciutisi che trascorrono un’intera notte a porsi quesiti e a stilare piccole classifiche sulle loro preferenze in materia di cinema horror. Oltre all’immancabile perla del travestimento alla Divine watersiana, si distinguono anche Carrie, L’esorcista, The Amityville Horror e molti altri citati a parole (tra cui anche rarità di cui mai, almeno da noi, si è sentito parlare). Curioso, a suo modo efficace, ma niente che resti davvero.

Voto: ***

 

scena

I Love Hooligans (2013): scena

 

Subito dopo si nutre grande speranza per il corto d’animazione I love hooligans, di Jan-Dirk Bouw, che utilizza una tecnica formale particolare per tracciare i contorni di una storia di auto-accettazione di un ultra che non sa dire ai suoi compagni di tifoseria di essere gay ed è convinto che se lo venissero a sapere lo ucciderebbero senza problemi. Laccato, pedante, addirittura noioso, trattato come un finto documentario in cui il protagonista viene intervistato, un piccolo cartoon serio(so) di poco impatto e dalle facili conclusioni.

Voto: **

 

Eleanore Pienta, Joanna Arnow, Keith Poulson

Bad at Dancing (2015): Eleanore Pienta, Joanna Arnow, Keith Poulson

 

Più interessante lo statunitense Bad at Dancing di Joanna Arnow, girato in un bianco e nero pastoso (che rimanda stranamente al Blomkamp di Frances Ha), incentrato sul bizzarro comportamento di una ragazza, Joanna, per nulla preoccupata di infilarsi nella stanza della compagna di affitto mentre questa fa sesso con il fidanzato e di mettersi a parlare dei suoi problemi e delle sue difficoltà a relazionarsi. Incapace di farsi accettare, e insicura sul modo di flirtare con gli uomini (da qui il titolo), tenta di avvicinare sia Isabel, la compagna di stanza, che il fidanzato di questa, senza successo. Sottile malinconia si mescola a esilaranti sequenze di ostentata freddezza (si sente Baby’s on Fire dei Die Antwoord nella scena forse più bella), per uno dei cortometraggi più belli e più semplici (ma non per questo più innocui) del Queer di quest’anno.

Voto: ***1/2

 

Ulrik Windfeldt-Schmidt, Jacob Ottensten

An Afternoon (2014): Ulrik Windfeldt-Schmidt, Jacob Ottensten

 

Insignificante invece En eftermidagg, firmato Soren Green, la piccola storiella non troppo appassionante di una coppia di ragazzini che si scoprono reciprocamente attratti ma sono incapaci di superare gli ostacoli della vergogna e della timidezza. Delicato, sì, ma in sé e per sé non riesce a ricoprire, a livello di interesse, neanche materia per un cortometraggio. È poi pieno di product placement, dall’iPhone alla Coca Cola (per non parlare di YouTube), tanto che viene qualche dubbio.

Voto: **

 

scena

Ameisenpakt (2014): scena

 

Tra i più belli c’è proprio il tedesco Ameisenpakt, di certo il corto con la migliore regia tra i film in concorso (regia di Benjamin Martins). Tra momenti lirici inattesi e cadute di tono pseudo-documentaristiche, il film cambia rotta continuamente, tracciando le fila per un drammatico twist finale che riesce comunque ad evitare un effetto eccessivamente patinato tramite fluide carrellate che rovinosamente narrano i fallimenti del giovane protagonista. Sembra una versione breve del Something Must Break visto al Queer l’anno scorso, diretto da Ester Martin Bergsmarck. Solo, con un tocco di maledettismo in più, e di originalità in meno.

Voto: ***1/2

 

scena

Dancers (2014): scena

 

Dancers è invece il corto più divertente (e allucinante). Diretto da Antonio da Silva, si tratta di un film portoghese dalla tematica fortemente queer, nel quale un gruppo di uomini vengono alternativamente ripresi nell’atto di compiere uno spogliarello. E il ballo non finisce mai, finché i corpi non sono completamente nudi, atti a ballare in maniere normalmente associate alle lap dancing femminili, e il tutto si conclude in una “danza di peni” che svolazzando e rimbalzando qui e lì portano infine a un amplesso collettivo. Divertente, debordante, spiritoso, talmente sopra le righe da non infastidire con la sua evidente invadenza.

Voto: ***

 

scena

Trémulo (2015): scena

 

L’ultimo corto, infine, è Tremulo. Stesso discorso già fatto per En eftermiddag, un film di unica insignificanza, una storiella d’amore ambientata in Messico che non cattura proprio, e che rischia più volte il ridicolo involontario. Rispetto al precedente corto, però, non c’è neanche una vera regia.

Voto: *1/2

 

 

Alle 18,30 non ci si sposta dalla De Seta perché viene proiettato Genealogia di un crimine di Raoul Ruiz. Molta critica si è soffermata sull’estetica del film, che sarebbe piena di riferimenti tardo-surrealisti: ma è un discorso di trama quello che sembra fondamentale per Ruiz. Non tanto una riflessione che traspare dai contenuti, ma una ricerca che si traduce nella creazione di una trama complessa e intrecciata, ai limiti dell’incomprensibile, in cui la psicanalisi diventa chiave di lettura fasulla per un misterioso omicidio e per strampalati metodi terapeutici. Ritorna, così come in L’hypothèse du tablé volé, l’ossessione per l’arte pittorica e per la sua riproduzione tramite corpi umani: Ruiz costruisce una tela metatestuale che vive dei suoi rimandi e dei suoi sottotesti, ed esplode in un grottesco che lascia esterrefatti e inqueti.

Voto: ***1/2

 

scena

Rough Road Ahead (2014): scena

 

Meno entusiasmante è invece Von Jetzt Ain Kein Zuruck, attesissimo lavoro di Christian Frosch ambientato negli anni Sessanta, quando i due giovani Ruby e Martin si innamorano, ma sono costretti a non vedersi per anni a causa delle limitatezze di vedute delle rispettive famiglie, che conducono la prima in un collegio di suore, il secondo ai lavori forzati. L’utilizzo di un bianco e nero non distante da un’eleganza visiva riscontrabile in Ida di Pawel Pawlikowski, e l’alternanza didascalica con il colore, nel finale, che diminuisce il fascino dell’intera pellicola, rendono Rough Road Ahead un progetto discontinuo in cui i ruoli dei personaggi sono sempre ben precisi, e non si desta granché problematicità, quanto più che altro facile indignazione e risaputo rancore nei confronti di ciò che in qualunque forma azzera la libertà degli individui. Curioso però il ruolo che viene dato alla religione: Ruby appare generalmente credente, nonostante siano i rappresentati della chiesa cattolica a rovinarle la vita.

Voto: ***

 

Astrid Adverbe, Pascal Cervo

White Nights On The Pier (2014): Astrid Adverbe, Pascal Cervo

 

E per concludere la giornata di venerdì, viene mostrato l’adattamento dostoevskijano delle Notti bianche ad opera di Paul Vecchiali, Nuits blanches sur la jetée. L’ambientazione nel nostro presente non comporta gravi rinunce al testo di partenza, che viene rappresentato  con discreta fedeltà nei termini del rapporto che si instaura fra i due personaggi. L’unità di luogo rende il film statico, e nonostante l’eleganza di certe sequenze comunque verboso e inefficace nel sapere avvincere pienamente lo spettatore: spogliandosi di qualunque discorso teorico, l’intento di Vecchiali è proprio quello di far identificare con i propri protagonisti, soprattutto con l’uomo (che si chiama Fjodor!), e l’intento funziona solo a metà. Apparte la bellissima sequenza del ballo, il film appare povero di idee visive, possibili anche nelle ristrettezze delle unità di luogo come ci hanno insegnato molti grandi maestri della Settima Arte. E basterebbe aggiungere lo scherzo del destino finale, qui enfatizzato un po’ troppo, a rendere le dinamiche umane del film addirittura elementari. L’unico aspetto formale però che risulta interessante, e centrale non si sa in che misura, è che nella maggior parte delle inquadrature le figure umane non sporgono mai fuori dal bordo, e se si trovano fuori vengono presto ricacciate dentro tramite gesti molto scenografici, o momenti ben evidenziati, come se salissero su un piccolo palco in cui devono recitare. Il rapporto fra dentro e fuori campo però non viene sfruttato come si sarebbe potuto. Ottimo Pascal Cervo (da ricordare in Dernier Séance di Laurent Achard), meno in parte Astrid Adverbe.

Voto: ***

 

Sabato

 

Gaspard Ulliel

Saint Laurent (2014): Gaspard Ulliel

 

Dopo le repliche dei primi cortometraggi in concorso, e del bellissimo Eisenstein in Guanajuato (qui la recensione), si passa alle 20,15 alla proiezione dello splendido Saint Laurent, che merita certo più parole di approfondimento (qui l’altra recensione).

 

Sigrid ten Napel

Summer (2014): Sigrid ten Napel

 

Alle 22,45 (in realtà un po’ più tardi, visti i tempi tecnici e il lungo minutaggio del film di Bonello) si è passati a Zomer di Colette Bothof, delicato incrocio di Fucking Amal di Lukas Moodyson e di My Summer of Love di Pawel Pawlikowski. Capace di mischiare diversi toni, andando in qualche modo a riflettere i turbamenti interiori tipici di una giovane adolescente, il film della Bothof non offre effettivamente una nuova chiave di lettura per ciò che riguarda i limiti imposti alla libertà dell’individuo, però certo merita un plauso per la maniera in cui l’interiorità della protagonista viene raccontata. Con grande delicatezza, a discapito di alcuni ritratti caratteriali un po’ frettolosi, come quello della ragazza Lena, Zomer osserva all’ordinario e allo stereotipo come modello accattivante da seguire, ma effettivamente castrante e frustrante (vedasi la protagonista Anne che prova ad avere un rapporto con un ragazzo, ma si innamora di Lena).  E questo contraddittorio e falso desiderio di conformismo finisce per diventare un ripiego per riempire la propria esistenza vuota. Un po’ in più la parte di storia riguardante la migliore amica di Anne, che viene brutalmente violentata da un trattorista. Però questo capitolo permette di introdurre in Zomer un tocco di cupezza e di inquietudine che non abbandona mai l’intero lungometraggio, e lo rende solo apparentemente leggero. Coerente con l’assunto finale il risvolto tragico conclusivo. Molto, ma molto grazioso.

Voto: ***1/2

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