1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie
Non poteva essere uno sceneggiato Rai, tantomeno un’opera ponderata e sentita alla Bellocchio (come lo fu Vincere) o didattica anni settanta. La trilogia M di Antonio Scurati è diventata best-seller, un’opera letteraria ammirevole e accattivante. Non un’opera prettamente storica come quelle di De Felice ed Emilio Gentile, comunque un caso che ha saputo trovare una chiave di accessibilità per tutti attraverso la spettacolarizzazione degli eventi che portarono Benito Mussolini a conquistare il potere e a restarvi per vent’anni fino alla tragica conclusione in cui travolse l’Italia e gli italiani nella seconda guerra mondiale. Di Lui se ne parla ancora perché le destre sono al potere da un po’ di tempo a questa parte con il partito politico erede del PNF, cioè il Movimento Sociale Italiano, poi Alleanza Nazionale e infine Fratelli d’Italia con la fiamma missina del repubblichino Almirante. Testi nati come monito quelli di Scurati, per riaccendere la memoria su un periodo su cui francamente pensavamo si fosse posta una pietra tombale. Tale progetto, che si concluderà con l’ultimo volume il 25 aprile, ha ispirato una serie diretta dal regista inglese Joe Wright e interpretato da Luca Marinelli. Essendo un prodotto per piattaforme il linguaggio non poteva che rifarsi agli stilemi seriali e indirizzato verso la platea millennials e successivi. Il taglio è comico-grottesco-tragico - iperrealistico. Musiche elettroniche e techno di Tom Rowlands. Può piacere o meno, non lascia indifferenti e ha suscitato polemiche e recensioni da chiunque. Perché esimersi?
Dei romanzi storici romanzati e (sia chiaro) superiori alla serie sono rimasti due elementi primordiali: la violenza squadrista e l’ambizione sfrenata del futuro Duce. M. Il figlio del secolo serie, preferisce semplificare molti passaggi, enfatizzare alcuni aspetti a discapito di altri facendo storcere il naso.
Benito Amilcare Andrea morde il freno della rivoluzione. Non avendola ottenuta quando era socialista (“l’eterna attesa del socialismo alla rivoluzione”) e direttore dell’Avanti. Da pacifista a interventista nella prima guerra mondiale, conclusa con la vittoria mutilata, annusa l’aria del malcontento, si erge a paladino degli smobilitati, degli arditi, degli ex combattenti senza speranze. Si incontrano il poeta guerriero d’Annunzio, il futurista Marinetti, l’amante colta e raffinata “l’unica donna che ascolto” Margherita Sarfatti (mente e plasmatrice di M. per Scurati), la “roccia” Rachele (quintessenza della donna sottomessa angelo del focolare), Cesarino Rossi e poi i futuri ras dello squadrismo spinto e feroce.
Wright segue la strategia politica mussoliniana impregnata dalla capacità di assorbimento delle idee e dei motti altrui. Vedasi il superuomo d’Annunzio dal quale prese o copiò frasi e slogan. E queste mutuazioni sono rappresentate con abilità. Tutto ruota intorno al protagonista che introduce, seduce, ammicca, cerca la complicità dello spettatore come l’originale la trovava con gli “itagliani”. Il comunicatore, l’uomo solo al comando che senza sparare una pallottola ma per mano della teppaglia fascista spaccò teste, bruciò aziende e camere del lavoro socialiste, mortificò gli odiati ex compagni mettendo in naftalina i vecchi liberali alla Nitti, Facta e persino l’austero e temuto Giolitti. “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”, sintesi lucida di Antonio Gramsci. Tenuto conto della natura grottesca della forma filmica prescelta da Wright, la prova di Luca Marinelli è animalesca e caricata senza essere troppo caricaturale. “Un guitto sbracato ed eccessivo”, disse lo storico Nicola Caracciolo. Epperò la dizione dell’attore ricorda l’emiliano Vinicio Capossela, mentre il dinamismo frenetico rasenta spesso il Lino Banfi delle commedie di Sergio Martino. C’è da solidarizzare (altro che facili strumentalizzazioni) con il Marinelli uomo che per mesi ha dovuto riproporre questo pesantissimo accento e un tono recitativo da erezione continua. Si è scomodati il defunto Rod Steiger e persino Claudio Spadaro. Interpretare il duce per una serie logorerebbe chiunque. Al di là di queste polemiche, abbastanza sterili, la prova dell’attore si può davvero apprezzare nelle ultime tre puntate. Non convincono il d’Annunzio di Paolo Pierobon (si è abbonato al ruolo?), il Re tentenna Vittorio Emanuele III è una macchietta piemontese, lo stesso il futurista Marinetti, sbagliati gli interpreti della Sarfatti (recita con una patata in bocca?) e Giacomo Matteotti (non era un oppositore così invasato), sopra le righe o fugaci gli altri. Bravo Maurizio Lombardi nei panni del generale De Bono.
Nel sesto episodio la serie riesce a mettere a fuoco il punto di svolta del fascismo politico e parlamentare. Con i voltagabbana, gli opportunisti, su questa tragedia, costruisce il suo trionfo. Gli esseri umani sono tristi, più affezionati alle cose che al proprio sangue, pronti a cambiare sentimenti e passioni. Mussolini cita Machiavelli per interpretare il futuro dei fasci e degli italiani. Se non mi salvo io non si salva nessuno. Altro punto di svolta personale: i sansepolcrini lo seguiranno comunque. E Lui, dopo il bordello sull’onorevole socialista Matteotti, sacrifica gli esecutori materiali del delitto e Cesarino Rossi. Il celebre discorso autoassolutorio chiude la serie e un capitolo. L’Italia volta pagina e il duce diventa il figlio del secolo. Nelle ultime tre, dicevo, si riesce ad avvertire la solitudine del protagonista che si specchia in quella del potere rinchiuso nelle ampie sale di Palazzo Chigi: il fantasma della vedova Matteotti, la segretaria del Popolo d’Italia, le fitte ulcerine. Al termine del discorso di cui sopra, nessuno osò intervenire perché ormai il fascismo, seguendo ancora una volta il pensiero di Gramsci, era diventato il servo degli interessi delle élite. Un’arma creata dalla borghesia per spezzare le aspirazioni rivoluzionarie delle classi subalterne. Una controrivoluzione preventiva per soffocare anche con la violenza, la sopraffazione, nessuna mediazione, la possibilità di una trasformazione sociale autentica. E per concludere, sempre Gramsci, definiva Mussolini non un “uomo forte” ma il burattino delle élite economiche, disposto a usare la violenza e la menzogna, la propaganda per manipolare le masse, per mantenere il dominio di pochi privilegiati.
M. Il figlio del secolo (2025): Luca Marinelli
M. Il figlio del secolo (2025): locandina
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