1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie
AL CINEMA
"-Tra quanto pensi di morire?...
-...oppure mettiamola così: tra quanto vuoi morire?
-Subito....
-Subito non è possibile....
" Puoi urlare, disperarti....l'unica cosa che non puoi fare è morire. Su dai scrivi, come ti esprimi di solito...prendi in mano questa penna o ti cavo anche l'altro occhio.
...
Quante fortune abbiamo: una penna, un occhio, un foglio...
Ora basta lamentarsi...scrivi!!
Si, scrivi nel modo come scrivi tu: non parti mai dall'accaduto...inizi da te... insegnami come fai."
Prendi un assassino seriale che uccide all'impazzata firmando i suoi delitti con una prosopopea degna di un illustre romanziere.
Prendi un poliziotto, Enzo Vitello, pieno di problemi esistenziali e familiari (una figlia poco più che adolescente tossica e disagiata, molto efficacemente resa dalla giovane Carlotta Gamba), devastato da un malessere esistenziale che lo spinge spesso ad un passo dal suicidio, prima di scoprire che non può permettersi il lusso di morire e risolvere così vigliaccamente i problemi che lo devastano.
Prendi infine un presente da incubo, gatto di case abusive brutte, squallide, quasi certamente abusive, popolate da gente incarognita da un vivere che pare una lenta, inesorabile agonia.
Forse l'azione del killer, soprannominato Dostoevskij per la verve narrativa con cui firma i suoi puntuali massacri rituali, è un gesto benefico che viene incontro a tutti coloro che, esasperati dal limbo in cui sono costretti a sopravvivere, trovano finalmente la soluzione che hanno sempre sognato per sparire da tanta, troppa sciatteria e crudeltà.
Forse è anche questo che induce Vitello a considerare la fuga come la vera soluzione.
Migliore del suicidio tentato, spesso goffamente, in più soluzioni.
Dostoevskij dei gemelli D'innocenzo è un prodotto unico, rivoluzionario, intransigente, azzardato, rischiosissimo. Ma proprio per tutti questi motivi unico, eroico, meritevole di ogni rispetto.
Dopo un primo atto snervante, allucinato, descrittivo di in orrore dilagante che è più una piaga costante, che un fenomeno che prende di sorpresa, Dostoevskij prosegue nella sua agonia e giunge ad un lungo, inarrestabile epilogo esistenziale, ma anche risolutivo del mistero che porta lentamente con sé, con una rutilante serie di eventi che trasformano quel limbo statico fino a quella prima parte, in un thriller concitato, sanguigno e dai connotati persino pulp.
Con momenti, personaggi solo apparentemente di contorno, davvero eccezionali.
Uno su tutti il sole te capo della polizia, (lo interpreta uno straordinario e solo apparentemente impassibile Federico Vanni) la cui figura descrive i connotati di una persona sola anche se in realtà padre di una famiglia impassibile e asettica con cui non riesce ad instaurare un rapporto minimamente umano.
"Chiunque va a pulire una cantina ne esce sporco.
E noi siamo sporchi.
Puzziamo di sporco... e di merda".
La scena extra-cult di tutta l'opera lo vede entrare in un bar anonimo dalle luci fredde ove un giovane barista (Giulio Pranno) cerca di scambiare due parole, trasformandosi nel confidente dell'uomo, di li a poco umiliato sonoramente via sms dalla propria spietata consorte.
Vedere per credere.
Filippo Timi, da decenni la più affascinante voce del cinema italiano, rende palpabile l'orrore che tortura il suo tormentato personaggio sino al magistrale incastro finale.
"-Tu non puoi essere me, certe cose non si decidono. Tu credi di sapere chi sono...ma sbagli..
-La morte non andrebbe cercata....scrivi.... La morte non andrebbe cercata... è qualcosa che circonda ogni nostro gesto, ogni nostro pensiero, ogni nostro errore...ogni cosa giusta....."
Nei suoi lunghi, torbidi due atti, Dostoevskij irritante nella sua incontenibile sgradevolezza, urtica, disorienta repelle fino a risultare più che ostico... e quindi nel contempo meraviglioso, puro, unico... Il gioiello sporco e insanguinato dei fratelli D'Innocenzo.
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