1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie
-- "Qualcuno chiamerebbe quel che vi è successo un miracolo, essere trovato vivo tra i ghiacci dentro il corpo di un orso morto." -- "Io non lo chiamerei così." -- "Come lo chiamereste?" -- "Forse bisognerebbe chiederlo all'orso."
Come la “Volunteer”, la baleniera trialberi a scafo rinforzato sul cui ponte e dentro il cui ventre si svolge più della metà del racconto, “the North Water” (5 ep., BBC, 2021) s’ingavona, ma (al netto d’alcuni elementi e passaggi di raccordo mancanti per cause di forza maggiore, e del fatto che sia il capitano ad accorgersi dell’odontogenica cisti infiammata di Drax, rivelatrice delle sue colpe, e non il dottore) non si spezza, ed è l’esempio perfetto di cosa significhi trasposizione letterale (o quasi: si considerino ad esempio le sorti dell’armatore Baxter), ma non pedissequa: “Guardate quell’uomo”, ci dice Ian McGuire (1964; “Incredible Bodies”, “the Abstainer” e “White River Crossing”) dal 2016 (“le Acque del Nord”, Einaudi, 2018) nella prima riga del suo romanzo omonimo da cui la miniserie è tratta, riferendosi proprio ad Henry Drax, l’arpionatore/fiocinatore/ramponiere, il demonio dei ghiacci, dei mari e di Kingston upon Hull, tra il sud dello Yorkshire e il nord delle East Midlands, ed ecco che Andrew Haigh (1973; “WeekEnd”, “Looking - la Serie”, “45 Years”, “Looking - il Film”, “Lean on Pete”, “the OA”, “All of Us Strangers”), un lustro dopo, sceneggiando e dirigendo, ce lo mostra in carne ed ossa impersonato da un autenticamente mostruoso (prima di “the Batman” & “the Penguin”) Colin Farrell (the New World, Miami Vice, In Bruges, the Way Back, Seven Psychopaths, the Lobster, True Detective, the Killing of a Sacred Deer, the Beguiled, After Yang, the Banshees of Inisherin, Sugar, A Big Bold Beautiful Journey) restituentene l’orrore e il disgusto in affascinante mimesi suprema.
“Tutte le spedizioni cominciano con una tazza di tè”, scrive Iida Turpeinen (1987) in “Elolliset” (2023; “l’Ultima Sirena”, Neri Pozza, 2024), mentre questa storia principia, “ovviamente”, da un bicchiere di rum (in realtà da una scopata clandestina, ma va beh). E saccheggiando ancora l’autrice finlandese, ma questa volta, scavallando il Polo Nord dal Pacifico (il Mare di Bering, ultimo rifugio della ritina di Steller, Hydrodamalis gigas, prima dell’estinzione) all’Atlantico, parafrasandola: “Immaginate il Mar Glaciale Artico. L’oceanica massa d’acqua sempre meno perennemente ghiacciata che si estende attorno al Polo Nord circondata da Groenlandia, Canada, Alaska, Russia e Norvegia. Immaginate il Mar Glaciale Artico nel 1859.”
E per l’appunto navigando verso una delle parti del mondo là dove è bianco la Volunteer, armata da Baxter (Tom Courtenay: “the Loneliness of the Long Distance Runner”, “Billy Liar”, “King and Country” e “Doctor Zhivago”, così, per dire, e già con Haigh in “45 Years”) per affondarla in combutta col capitano Brownlee (Stephen Graham, e ho detto tutto), col suo vice Cavendish (Sam Spruell: “the Hurt Locker”, “the Counselor”, “Fargo 5”), sodomizzator-stupratore e, di sguincio, lo stesso Drax, assassino per tutte le stagioni, e intascare di conseguenza il risarcimento dell’assicurazione, raggiunge la Polinia delle Acque Nordiche (North Water Polynya), nel nord della Baia di Baffin, tra Canada (Isola di Devon e Terra di Ellesmere) e Groenlandia, ultima propaggine dell’Atlantico Settentrionale che s’insinua “controcorrente” in direzione nord, attraversando le Isole della Regina Elisabetta e l’Ultima Thule, sino a toccare l’Oceano Artico, contribuendo a rinnovarne (alimentandole ed alimentandosene) le acque ed entrando così in comunicazione col Pacifico attraverso lo stretto di Bering: e giù a squartar balene come si squarta la torba e a picconar le foche come si picconano i vitelli.
“The North Water” non termina “dentro, più dentro dove il mare è mare” (“Horcynus Orca”, un altro romanzo di reduci e di nostos), ma allo zoo di Berlino, e il protagonista Sumner (Jack O’Connell; “This Is England”, “Skins”, “Godless”, “Little Fish”, “28 Years Later”) condivide con Ishmael la condizione di reduce/superstite, ma non quella di narratore in prima persona della propria avventura (i suoi pensieri a volte vengono veicolati/chiariti dai flashback onirico-iperrealistici dell’Assedio di Dehli da parte della Compagnia Britannica delle Indie Orientali durante la Prima Guerra di Liberazione e Indipendenza Indiana), e però quello che attraversa la sua mente durante il finale, muso a muso con l’Ursus maritimus ingabbiato in quel della mestizia brandeburghese, può davvero rassomigliare – a proposito di “trasposizione letterale” - alla “fitta inaspettata di solitudine e necessità” di cui McGuire scrive nell’ultima riga del suo romanzo, e tanto l’opera cinematografica quanto, per quel che ne ho sfogliato, quella letteraria, possono entrare di diritto nell’Olimpo delle Storie di Mare, pur senza possedere ed esprimere la forza, anche recente, di un “Master & Commander”, ma rivaleggiando con, fatta la tara “fantasy”, qui del tutto assente (a parte forse per quanto riguarda, prima con i prodromi e poi con l’evento in sé, il momento “Ian Solo salva Luke Skywalker usandola come farcitura per il rayharryhauseniano tauntaun morto di morte naturale” di “the Empire Strikes Back”, già “riproposto” ad esempio in “the Revenant”, durante i quali vi è comunque solo del delirio ipotermico, non certo misticanza folklorica), “the Terror”.
Completa il cast principale Peter Mullan (per dire, eh). Fotografia di Nicolas Bolduc (“Next Floor”, “Enemy”), montaggio di Jonathan Alberts e Matthew Hannam e musiche ben funzionali di Tim Hecker (“the Free World”, “Infinity Pool”). Le Svalbard (tra il Mar di Groenlandia e il Mare di Barents) interpretano, alla stessa latitudine, la Baia di Baffin.
«Il mondo non è che l'inferno, e gli uomini che lo abitano sono, da un lato, le anime dannate, dall'altro, i diavoli.» – Arthur Schopenhauer, “Senilia”, 1852-1860. (In esergo al pilot.)
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