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Le ragazze del centralino

6 stagioni - 49 episodi vedi scheda serie

Serie TV Recensione

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La recensione su Le ragazze del centralino

di scapigliato
8 stelle

Tre tra i migliori attori di Spagna, tra l’altro tra i meno e peggio utilizzati dello stesso decennio, ridestano l’affetto scatenato all’epoca de El Internado (2007-2010), infatti, proprio come Francisco e Alba, Yon González, Martiño Rivas e Blanca Suárez si trovano nuovamente sul set insieme dopo dieci anni.

Las chicas del cable, ovvero la prima serie spagnola di Netflix, punta su due elementi precisi: da un lato, la riunione tra gli attori protagonisti, González, Rivas e Suárez, dall’altro gioca sul trend delle fiction in costume ben rodate da Atresmedia, ispirandosi sia a Gran Hotel, di cui recupera Yon González e Concha Velasco, oltre che alla trama crime, qui un po’ meno coraggiosa e dalle tinte noir, sia a Velvet, di cui riprende quasi tutto, dal sistema dei personaggi – quattro ragazze protagoniste e le loro storie di amori e segreti con i direttori della loro azienda; una coppia, Marga e Pablo, che come Rita e Pedro, rappresentano l’amore innocente, ingenuo, popolare; due personaggi maschili amici e forse poi nemici, qui con l’aggravante di amare la stessa donna, cosa che in Velvet non accadeva – al principale scenario delle vicende che in Velvet era una galleria di abiti di classe con annessa sartoria, mentre in Las chicas del cable è una azienda di telecomunicazioni. Anche lo schema narrativo ricorda abbastanza da vicino Velvet, con un amore impossibile tra la protagonista e il protagonista, la differenza di classe a interferire nel loro amore, gli interessi della propria azienda a innescare dinamiche di conflitto, segreti e verità nascoste e così via.

Interessante in Las chicas del cable è il plot spionistico, che però non viene affrontato con serietà e chiarezza. Innanzitutto, siamo nel 1928, sotto la dittatura militare di Primo de Rivera, ma nei primi otto episodi non viene mai fatto il nome del dittatore, mentre interviene pure come personaggio il re Alfonso XIII: curioso. Un altro aspetto che trovo poco chiaro e ambiguo è il fatto che la nuova compagnia di telecomunicazioni lavori per il governo spagnolo spiando, per conto del re e non del dittatore, le telefonate degli abbonati tra cui si nasconderebbero anche alcuni personaggi che stanno pianificando un colpo di stato – e nel gennaio del 1929 c’è stato davvero un tentativo di colpo di stato per abbattere la dittatura di Primo de Rivera. Ora, se chi organizza un golpe per abbattere un precedente golpe di estrema destra, può ben essere percepito come positivo, non si capisce perché nella serie vengano percepiti come personaggi oscuri e negativi, su tutti il padre padrone di Carlota, colonnello dell’esercito e vera carogna. Inoltre, il personaggio di Yon González, non necessariamente un personaggio positivo – mancano ancora due stagioni per capirlo realmente – collabora affinché si scoprano questi golpisti. E collabora pure con entusiasmo anche il personaggio di Ana Polvorosa, suffragetta lesbica che partecipa a incontri politici clandestini. Il che cozza con l’idea di boicottare un golpe contro il dittatore Primo de Rivera – anche se va detto che il tentativo civico-militare del 1929 coinvolgeva forze conservatrici e liberiste capitanate da José Sánchez Guerra, quindi nulla di così tanto differente dalla dittatura di Primo de Rivera.

Spiace contraddire Alessandra Coiro di Nocturno quando dice: «Il consiglio è, per chiunque conoscesse lo spagnolo, di optare per la versione doppiata: le già scarse interpretazioni di alcuni attori, senza il supporto del doppiaggio, sovente vanificano gli sforzi del regista». Gli attori e le attrici spagnole, soprattutto alcuni dei nomi di questa serie sono tra i migliori in Spagna, come in Europa e nel mondo. Se la saccente critica parla di “scarse interpretazioni” bisognerebbe verificare qual è il suo background e cosa intenda per recitazione. Il consiglio invece, è proprio quello di vedere e godersi la versione spagnola, per apprezzare il grande lavoro degli attori, benché né González né Rivas né Suárez siano qui al loro meglio, ma zavorrati da un'intelaiatura - vedi alla voce testo - che non permette loro di brillare come d'abitudine, castrando gesti, pose e improvvisazioni a beneficio di un prodotto internazionale di solida base produttiva.

Una svolta positiva nella narrazione arriva con la terza stagione. Dalla trama spionistica si passa al puro feuilleton ottocentesco con un matrimonio impedito proprio sull’altare con tanto di incendio in chiesa, morte di personaggi chiave e sequestro della figlia appena nata della protagonista, interpretata da Blanca Suárez. La sua storia diventa così predominante rispetto alle altre vicende, come l’emancipazione lesbica di Carlota e Sara che dovranno vedersela anche con il machismo di un gruppo di politici conservatori o come la storia d’amore di Marga con Pablo alla quale si aggiunge, come terzo incomodo, il di lui fratello gemello, sempre interpretato da Nico Romero. La traiettoria di Lydia invece affonda nel più oscuro melodramma. Non solo morti e sparizioni, ma anche la rivalità con la madre di suo marito Carlos/Martiño Rivas, Concha Velasco, decana delle attrice spagnole che si destreggia sapientemente in una spregevole interpretazione che, se non supera né uguaglia quella di Adriana Ozores in Gran Hotel (Campos/Neira, 2011-2013), è sicuramente apprezzabile quanto raggelante. Siamo nei dintorni delle tragedie naturalistiche dove ai poveri disgraziati accadeva di tutto, soltanto che qui la produzione preferisce il pathos del melodramma alla Eugène Sue piuttosto che la secca crudezza di Zola, non solo a livello narrativo, ma anche estetico, con grande sfoggio di costumi, oggetti di scena, mobili, luci, esterni d’epoca ricreati perfettamente. Un’immagine quindi fortemente ancorata a un immaginario voluttuoso, caldo, fumoso, teatrale se vogliamo, invece che distaccata, realista o finanche naturalista. Ciò che quindi cambia, e in meglio, nonostante appunto il taglio melodrammatico, è una maggiore convinzione del ritmo e dei colpi di scena. Questi ultimi non sono più classici cliffhanger feiulletoneschi – c’è il binge watching oggi a rivoluzionare l’idea stessa di serialità – ma veri moduli narrativi strutturati e motivati. Le ottime interpretazioni dell’intero cast, e pure il sequestro del re Alfonso XIII, completano l’ottima terza stagione.

Un’ultima curiosità è la scelta della colonna sonora. Invece di inserire nella diegesi musiche attinenti l’epoca como il jazz o lo swing, la produzione ha optato con coraggio per Lana del Rey, Jes Hudak & George Krikes, Lemaitre, En-viro e Sweet California tra i tanti. Un’operazione questa che ricorda da vicino certe scelte estetico-musicali che hanno fatto la felicità di film di anima postmoderna come Romeo + Juliet (1996), Moulin Rouge! (2001), Il destino di un cavaliere (2001), Marie Antoinette (2006) e The Great Gatsby (2013).

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