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Patriot

2 stagioni - 18 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 1

  • 2015-2017
  • 10 episodi

L'autore

supadany

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La recensione su Patriot

di supadany
9 stelle

Appurato che è già difficile gestire la propria vita, figuriamoci cosa possa comportare fare i conti con tre distinte identità, tra le quali una ad alto rischio e un’altra per la quale non si possiedono le competenze necessarie, senza scordare frammenti che riaffiorano da pagine accantonate da tempo, per giunta nei momenti meno indicati.

Un caos personale, quello che attanaglia il protagonista, attorno al quale si sviluppa con classe e autonomia Patriot, tra fatalità e incredibili coincidenze, con un plot portato per natura a regalare sempre qualche sorpresa e inserire nuovi elementi, destinati a ravvivare un componimento che preferisce di gran lunga la ramificazione all’approdo definitivo.

Sarà che in fondo, trovare un senso compiuto all’esistenza è più complicato che sfatare una maledizione centenaria.

Sotto il comando del padre (Terry O’Quinn), un pezzo grosso dell’intelligence americana, John (Michael Dorman) ha una nuova missione da affrontare, senza poter contare su una copertura ufficiale. Deve farsi assumere come ingegnere da un’azienda di tubazioni per volare in Lussemburgo e consegnare una grossa somma di denaro, con l’obiettivo di aiutare un candidato alle elezioni presidenziali iraniane e quindi contrastare lo sviluppo del progetto nucleare.

La sua missione conosce subito un intoppo e ogni successiva azione intrapresa non fa che peggiorare ulteriormente le cose, inchiodando John in una posizione sempre più scomoda, strangolato tra l’indagine di una volitiva detective (Aliette Opheim) e un datore di lavoro (Kurtwood Smith) che lo considera - giustamente - un inetto, con l'aggiunta della nostalgia per la moglie, che non può vedere per motivi di reciproca sicurezza.

In mezzo a cotanta confusione, senza avere alcun supporto se non dal mite fratello (Michael Cernus), John non può permettersi di rimanere tagliato fuori, visto che il destino della sua famiglia è nelle sue mani.

 

Michael Dorman

Patriot (2017) (2017): Michael Dorman

 

La prima stagione di Patriot è passata in sordina ma a tutti gli effetti merita di figurare tra le migliori produzioni seriali del 2017. I motivi della bontà di questa produzione sono molteplici e coinvolgono svariati fattori, costituendo un’identità assolutamente personale pur facendo ricorso anche a modelli noti, mescolando un innato gusto per l’assurdo con tracce di nero, un intrigo internazionale consono ai tempi che stiamo vivendo con il disagio esistenziale, la commedia con il dramma umano, lo spiazzamento con le calde note del folk.

Grazie a queste tracce, niente può essere dato per scontato, mai commettere l’errore di pensare di aver già visto tutto in questo rebus ingarbugliato, che accosta con disinvoltura componenti distanti, permettendosi di passare agilmente da un’azione in incognito all’esecuzione di una canzone in pubblico che spiattella impunemente quelle verità che non si possono dire in altro modo, dalla cupa cattiveria di scopo ai più improbabili dei sorrisi, con incroci pericolosi e sfioramenti millimetrici. 

Questa disposizione è scandita da una dialettica vivace, accompagnata dalla cura per le immagini, che si giovano di location europee e americane, con ampio ricorso ai paradossi che possono racchiudere in un ascensore tre vite di John e un’accusa sottile alle organizzazioni governative. In un ambiente che dovrebbe pullulare di professionalità, s’incappa invece in inefficienze, superficialità e mancanza di cooperazione (quando anche richiedere una sedia è considerato troppo), ma anche nel lavoro più comune conta di più amare la birra e avere una bella mira, che consenta di uccidere le anatre durante la caccia aziendale, delle qualità operative, all’interno di un sistema corrotto che non condanna mai i veri colpevoli.

In più, l’ideatore e sceneggiatore Steve Conrad (fin qui noto per le sceneggiature di La ricerca della felicità e I sogni segreti di Walter Mitty) sfodera salti temporali per riempire i personaggi, smanioso di staccare, riprendere, compensare e completare, cospargendo la sua creatura di bonus sfiziosi, suddivisi in suppellettili saporiti – come un furto di protesi, sfide interminabili a morra cinese, stringhe di liquerizia usate come frustini - contorni stravaganti, come il collega Dennis McClaren smanioso di entrare in azione, il sinistro Peter Icabod e il musicista di strada Rob Saperstein, e veri numeri da giocoliere, come nel caso di un cliffhanger che successivamente si rivela essere un bluff, uno specchio per le allodole.

Anche a livello di regia, curata in sei episodi dallo stesso Steve Conrad, fanno capolino parecchie soluzioni brillanti, su tutte nell’ottavo episodio assistiamo a una processione che porta uno a uno quasi tutti i personaggi al cospetto di John, seduto e attonito ad osservare una successione riassuntiva che esplicita il caos, con una finezza espositiva semplicemente mirabile.

Insomma, il materiale è realmente abbondante, per un’offerta spronata ad arricchirsi, con parecchi influssi a confluire sul protagonista, una maschera sempre più malinconica e alienata che ha in Michael Dorman un interprete sorprendente, un’autentica rivelazione da appuntarsi a parte (recuperabile in Sleeping Beauty), mentre nel florido contorno spiccano l’esperto Kurtwood Smith (un volto ricorrente, rintracciabile in decine di pellicole, tra le altre 2013 – La fortezza e Robocop), anch’esso proprietario di un personaggio costruito senza ritrarre la mano, e un'indefesso Michael Chernus (visto in Orange is the new black e Spider-man homecoming), altro volto più che azzeccato.

 

Michael Dorman

Patriot (2017) (2017): Michael Dorman

 

Ogni aspetto, dal più importante a ciò che è poco più di un ornamento, serve a completare il mosaico, con un andamento qualitativo costante, in intensificazione verso la conclusione, rivelazioni continue, ribaltamenti sostenuti, sempre circostanziati, e sorrisi a denti rigorosamente serrati, rappresentando l’insondabilità del reale, laddove i no sono trasformati in , con un finale di stagione che, come in Sneaky Pete, giusto per rimanere in casa Amazon, lascia lo spettatore con il cerino in mano, riuscendo ancora una volta a rimescolare le carte in tavola all’ultimo fotogramma.

Un vero pezzo da manuale, che si estende guardando oltre, senza mai perdere il baricentro, pur perseverando nell’introduzione di elementi che modificano il funzionamento dell’ingranaggio.     

Squisito.

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