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Il delitto di Via Poma: Roberto Faenza racconta l'omicidio di Simonetta Cesaroni, stasera su Canale 5
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Dopo numerosi rinvii legati alle beghe legali che ne hanno accompagnato la produzione, arriva stasera in tv alle 21:10 su Canale 5 Il delitto di Via Poma, ricostruzione a metà strada tra il reale e l'immaginario del misterioso delitto di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto nel 1990 a Roma, nel quartiere Prati, diretta da Roberto Faenza e prodotta dalla Taodue di Pietro Valsecchi.

 

A guidare la storia che non tenta di fornire una risposte alle mille domande che ancora rendono il caso irrisolto è la figura mai esistita del commissario Niccolò Montella, interpretato in maniera magistrale da un Silvio Orlando in ottima forma, attorno al quale ruotano le vicende di personaggi realmente esistiti e coinvolti in maniera diversa nel delitto di Simonetta (Astrid Meloni), dalla sorella della vittima Paola Cesaroni (che ha i connotati di Giulia Bevilacqua) al principale sospettato Raniero Busco (Fabrizio Traversa) il cui processo d'appello alla Corte di Assise è ancora in corso, dal portiere dello stabile in cui si è consumato l'orrendo omicidio Pietrino Vanacore (Giorgio Colangeli) ai genitori di Simonetta (Imma Piro e Alessio Caruso).

 

Per preparaci alla visione del tv movie , nato inizialmente come fiction breve di due puntate e poi ridotto a un unico episodio da 100 minuti in fase di realizzazione, ecco quanto diramato dall'ufficio stampa Mediaset nei giorni scorsi e le parole pronunciate dal cast in occasione della presentazione ai giornali di qualche giorno fa. Ad accompagnare il tutto, il trailer e i primi tre minuti in anteprima.

 

 

PRESENTAZIONE

 

Il 7 Agosto del 1990 in un condominio del quartiere Prati, a Roma, in Via Poma 2, al terzo piano nell'ufficio dell'Aiag, una ragazza veniva assassinata con 29 colpi inferti da un arma a doppio taglio. Quella ragazza si chiamava Simonetta Cesaroni. E da quel momento la cronaca, i giornali e le televisioni si occuparono del caso chiamandolo " il giallo di Via Poma"

Oggi, a 21 anni di distanza, la III corte d'Assise di Roma ha condannato il fidanzato della Cesaroni, Raniero Busco, a 24 anni di carcere e al pagamento delle spese processuali. Ma inquirenti, criminologi, giornalisti, pm e giudici aspettano con ansia il risultato della corte d'Appello. Perché le prove che inchioderebbero Raniero Busco per molti sono insufficienti.

 

"Il delitto di Via Poma" è il racconto romanzato di quei fatti. Le vicende, le testimonianze, le verità e le bugie che in questi anni hanno riempito le aule dei tribunali, i giornali, i programmi televisivi. E chi prova a districarsi in questa matassa ingarbugliata è un umile ispettore capo della polizia di Roma. Un signor nessuno, un uomo che non ha mai fatto carriera grazie al suo carattere un po' burbero e soprattutto poco incline alle piaggerie. Niccolò Montella, si chiama. E il caso di Via Poma entrerà prepotentemente nella sua vita diventando la sua ossessione, il suo chiodo fisso,  anche dopo il raggiungimento della pensione. E' un uomo normale, e si fa domande normali, le stesse che tutti si sono posti, senza trovare però risposte adeguate. Niccolò Montella è un eroe grigio e silenzioso, ma ha uno scopo: mettere le mani sull'assassino, sull'autore di quell' efferato delitto, di quel massacro compiuto sul corpo di una bella ragazza poco più che ventenne.

Insieme all'ispettore capo vedremo sfilare i fatti e i protagonisti di quella orribile vicenda. Il portiere, Pietrino Vanacore, morto suicida nel 2010 in circostanze ancora da chiarire ma sicuramente soffocato dal peso di questa vicenda. Sua moglie, Giuseppa De Luca, e suo figlio Mario. Vedremo gli alibi di Raniero Busco, le intercettazioni per arrivare alla verità, gli interrogatori agli impiegati dell'ufficio, ai suoi direttori, alle persone che abitavano in quello stabile.  Federico Valle, il nipote dell'ottuagenario architetto che nel '92 fu pretestuosamente indicato da un presunto testimone a conoscenza dei fatti, il pluri-truffatore austriaco Roland Voeller, come il possibile assassino di Simonetta, e che dopo il processo fu scagionato da quell'accusa infamante. Il mistero dell'arma del delitto, il famoso tagliacarte della segretaria Maria Luisa Sibilia, scomparso giorni prima e riapparso magicamente sul suo mobiletto la notte del delitto.

 

Le telefonate fantasma partite da quell'ufficio alle 8  e alle 11 di sera, cinque ore dopo che Simonetta era stata uccisa e abbandonata nuda sul pavimento. Le tracce di sangue. Il sangue della vittima asciugato da un misterioso pulitore. E poi il ritrovamento avvenuto anni dopo, inspiegabilmente, del reggiseno, dei calzini e del top che il cadavere aveva indosso, repertati dall'anatomopatologo prima della autopsia e mai richiesti da giudici e avvocati durante i processi. Quei pezzi di stoffa che forse avrebbero potuto parlare, muti testimoni di quell'orrendo delitto, e che invece sono rimasti chiusi in una scrivania dell'istituto di anatomia per anni a impolverarsi e a tacere laddove c'era bisogno invece di tante, tante parole!

 

 

Un dedalo fatto di verità, omissioni, insabbiamenti, errori di detection che lasciarono, e forse lasciano ancora oggi, un'ombra indelebile sulla vera identità di chi, nel pomeriggio caldo e afoso di un sonnolento 7 Agosto romano, tolse la vita in maniera così brutale a Simonetta.

 

Ma il nostro "romanzo" vuole essere anche un modo di raccontare il dolore di una famiglia, la disperazione della sorella Paola, la co-protagonista della storia, che aiuterà il nostro ispettore capo a condurre un'inchiesta complessa, se non quasi impossibile, fin dove potrà, con i suoi mezzi e le sue possibilità.

 

"Il delitto di Via Poma" non da risposte certe, non potremmo assumercene la responsabilità. "Il delitto di Via Poma" mostra invece un'umanità reticente, bugiarda, connivente, collusa, se non addirittura colpevole, uno spaccato sociale e tristemente tipico di questo paese dove la legge da rispettare è quella della convenienza, e non della verità. La verità. Il pallino del nostro piccolo eroe schiacciato da una Storia più grossa di lui, che non verrà mai a galla. Perché chi sa non parla. Perché chi sa inquina. Perché far luce sul vero assassino di Simonetta, forse, non è mai convenuto a nessuno.

 

 

 

ROBERTO FAENZA

«C’è un altro paese al mondo dove dopo vent’anni ancora si cerca il responsabile di un delitto? Dopo 21 anni dal massacro di Simonetta Cesaroni, si riaprono le aule del tribunale per il processo d’appello che vede un unico imputato, quel Raniero Busco, sospettato poche ore all’indomani del delitto e subito prosciolto perché ritenuto estraneo, ovvero innocente. Che la vicenda sia tutt’oggi di cocente attualità lo dimostrano le diffide legali che si oppongono alla messa in onda del film, come pure l’intervento di un alto magistrato che ha impedito di girare le scene nel condominio romano di Via Poma, teatro del delitto, solo perchè il figlio, che abitava lì, è stato a suo tempo sospettato. Certo colpisce che un tutore della legge si opponga aprioristicamente a un lavoro che mira a dare un contributo alla ricerca della verità.

 

Comunque finisca il nuovo processo, di Simonetta sentiremo parlare ancora a lungo. Dopo l’appello verrà la Cassazione e dopo la sentenza definitiva resterà per sempre un diffuso sentimento popolare, fondato sul dubbio che giustizia non sia stata fatta. Perché, come dice il commissario Montella, il protagonista di Il delitto di  Via Poma interpretato da Silvio Orlando, siamo un paese di bugiardi. E  a fare le spese di un mare di menzogne resterà solo e per sempre quella povera ragazza, mandata a morte da 29 coltellate inferte con una brutalità mostruosa.

 

Il film è l’agghiacciante radiografia di un clamoroso esempio di malagiustizia all’italiana, dove non c’è un solo personaggio, all’interno della galleria di 31 sospettati, che dica la verità. Sorprendente è l’incredibile somiglianza con l’assassinio di Meredith Kercher, che ha mandato assolti Amanda Knox e il fidanzato. Anche lì, come nel delitto Cesaroni, la prova sovrana portata davanti ai giudici è il reggiseno della vittima. In entrambi i casi le perizie dicono tutto e il contrario di tutto. Prima le tracce biologiche trovate sulla scena del crimine valgono come prova di accusa, poi di colpo si trasformano in prove in mano alla difesa.

 

Per non parlare della conflittualità tra le varie perizie. I medici dell’istituto di medicina legale dell’università Cattolica di Roma “giurano” che le macchie di sangue dell’assassino di Simonetta non possono essere quelle del fidanzato, condannato dalla Corte di Assise. I RIS invece sostengono l’esatto contrario e adducono come prova inconfutabile la saliva trovata sul reggiseno di Simonetta, che è certamente del fidanzato. Con loro l’impostazione accusatoria vira di 360 gradi e il fidanzato, che agli stessi familiari della vittima era apparso in tutti quegli anni sicuramente innocente, cambia volto e si trasforma in sicuramente colpevole.  Ma quanto possono essere al di sopra di ogni sospetto le analisi dei RIS, che sono pur sempre dei militari, sospettati a loro volta di oscuri collegamenti con i servizi segreti, collegati a torbidi personaggi tirati in ballo per il delitto di Simonetta?
 

 

La realtà è che ci troviamo di fronte a un caso esemplare di groviglio giudiziario, che andrebbe studiato nelle scuole. Per questi motivi, il film si presenta come una impietosa controinchiesta sul malaffare gestito da investigatori imbelli e magistrati a senso unico. Descrive senza fronzoli gli errori, gli equivoci, le sviste sconcertanti, le dimenticanze clamorose, i depistaggi e anche l’idiozia di certi meccanismi di indagine. Risponde bene l’ispettore protagonista, quando il pm di turno confessa l’ennesimo fallimento: “dovevamo pretendere la verità, non la verità a ogni costo. Qui tutti si sono comportati da innocenti. E invece sono tutti colpevoli, soprattutto noi”.

 

Nel film c’è una parte “umana” non meno importante dell’intrigo. E’ data dal dolore della famiglia della vittima. Qui, la sorella di Simonetta, Paola, interpretata da Giulia Bevilacqua, racconta quello che i media in genere non raccontano mai, perché non fa notizia o non appaga istinti morbosi: la vita quotidiana di chi resta senza parole per la perdita della persona amata e per la rabbia di non incontrare mai la giustizia. Gli esperti dell’Istituto di medicina legale, da noi interpellati alla vigilia del processo d’appello, ripetono che le loro analisi sui referti ematici sono tuttora “dirimenti” rispetto a quelle dell’accusa. In questa disputa, che può mandare in carcere il colpevole come pure rovinare la vita a un innocente, nessuno è in grado di avanzare certezze.

 

Del resto che spesso facciano acqua le indagini “scientifiche”, pur sofisticatissime grazie alle innovazioni tecnologiche, è sotto gli occhi di tutti. Vedi la perizia sui dna che a Perugia ha mandato assolti Amanda e Raffaele, perché scrivono gli esperti: “sul coltello non c’è sangue e il dna di Raffaele sul gancetto del reggiseno è frutto di contaminazione”. Sembra un film dentro il film pensare che reggiseno e sangue sono protagonisti anche nel caso di Simonetta Cesaroni. Come l’assurdo che proprio il reggiseno di Simonetta è stato abbandonato per oltre quindici anni in un cassetto impolverato, senza la garanzia della catena di custodia. Insomma, davvero c’è d’aver paura».

 

 

PIETRO VALSECCHI, produttore

“La verità è molto scomoda, da Ustica a Piazza Fontana, in Italia non ci sono mai colpevoli”. “Tutti mentono anche per motivi che non c’ entrano niente con il delitto: una sorta di piccolo Peyton Place in cui l’ unica a farne le spese è Simonetta”. [Ansa]

 


 

SILVIO ORLANDO, commissario Montella

“Io mi sono sempre trovato al centro di grandi casini, dal Portaborse ad oggi. Apprezzo il coraggio di Faenza di sputtanare tutti. Io da piccolo ho fatto l’errore di leggere Kafka, ho sempre paura di trovarmi in una galera senza poterne più uscire, è una paura da piccolo borghese“. [Ansa]

 

GIULIA BEVILACQUA, Paola Cesaroni

“Paola ha creduto in noi e nella nostra buona fede. Ci ha raccontato il dolore della famiglia, le telefonate anonime spaventose che ha ricevuto. L’aspetto umano della storia è stato praticamente scritto da lei”. [Ansa] 

 


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