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Lezione di cinema di Jonathan Demme: qualcosa di travolgente
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 Il Milano Film Festival, giunto alla 16° edizione e diretto per il primo anno dai giovanissimi Alessandro Beretta (33 anni) e Vincenzo Rossini (27 anni), è un appuntamento che merita sempre più attenzioni e lodi. Quest’anno, tra gli appuntamenti immancabili, la retrospettiva completa dedicata a Jonathan Demme e curata da Alice Arecco. Occasione unica per rivedere molti film dell’immenso regista di “Beloved” (ho scoperto che ha pure diretto un episodio della serie “Colombo” e più precisamente “Vino d’annata” del 1977) e constatare come troppi, soprattutto tra i primi lavori di Demme (penso al quasi struggente “Una volta ho incontrato un miliardario” a “Handle with car”, conosciuto anche come “Citizens band”, o a “Fighting mad” con Peter Fonda), manchino ancora all’appello in Italia, almeno per un’edizione in dvd. Ciliegina della rassegna la lezione di cinema tenuta al teatro Strehler dallo stesso regista sabato 17 settembre e moderata da Luca Guadagnino, davvero ottimo (per le domande sempre puntuali, competenti ed intelligenti, il che è tutt’altro che scontato, soprattutto di questi tempi).

Questa vuole essere una sintesi, spero piuttosto completa, di quanto Jonathan Demme ha detto nella sua lezione, per rendere partecipi anche gli amici di Cinerepublic e Film Tv di un incontro per me davvero speciale ed unico.

 

Demme e il suo atteggiamento verso la regia nel corso degli anni

Il filo conduttore è l’entusiasmo: noi possiamo fare il meglio solo se ci entusiasmiamo nel e del nostro lavoro, sperando che poi si entusiasmino anche gli altri. Io ho sempre avuto entusiasmo sia che facessi un film sia che girassi un documentario.

Demme il cinema e la musica

Ero agli inizi e stavo assistendo ad una scena girata in uno studio televisivo, incentrata su alcuni cowboys che si sparavano tra le rocce. Nello stesso tempo ho sentito una canzone di Nat King Cole: la sensazione immediata è stata una folgorazione. Ecco perché la mia ossessione per il cinema e la musica è stata simultanea e continuano ad andare di pari passo nella mia carriera.

Demme e i generi cinematografici

Con tutti i miei film non ho mai ragionato per generi: mi concentro sui personaggi e sulla sceneggiatura. Prendiamo “Qualcosa di travolgente”: inizia come una commedia romantica, poi si fa dark, quindi cambia ancora registro. “Il silenzio degli innocenti” può davvero definirsi solo thriller? In realtà credo che i miei film riflettano le variazioni di toni che si hanno abitualmente nella vita, anche nel corso della stessa giornata.

Jonathan, Michelle e Jodie

Avevo lavorato due anni prima con Michelle Pfeiffer in “Una vedova allegra ma non troppo”. A me piace tornare a lavorare con i miei attori e volevo fortemente Michelle per il ruolo di Clarice. Michelle però riteneva il film troppo dark e cupo e non se la sentiva di interpretare un personaggio così forte. Mi ha quindi contattato Jodie Foster per vedermi. Sapeva che stavo cercando altre attrici. Lei aveva appena vinto l’Oscar per “Sotto accusa”. Conoscevo poco dei suoi film ma non ero molto convinto su di lei, secondo me non era abbastanza forte per essere Clarice, ci tenevo che il personaggio fosse credibile. Jodie mi incontra, mi ringrazia per avere accettato di vederla e mi dice che sa che sto vedendo altre attrici. Mi parla di Clarice, si vede che ci tiene molto alla parte e mi descrive questa donna coraggiosa e determinata con una tale passione che mi sorprende. Aveva una motivazione davvero speciale: l’ho scelta subito e si è dimostrata fantastica.

Demme e le donne

Nel mio cinema ci sono tante donne. Sono onesto: ho adorato mia madre, era fantastica (grande risata della platea). Da bambino era sempre alcolizzata. Poi quando avevo quattro anni e lei era incinta di nuovo, ha smesso di bere ed è diventata bravissima. Con noi viveva anche mia nonna, altra personalità straordinaria. Questo spiega la mia passione per le donne: sono avido di vedere film sulle donne, incentrati sulle donne. Mi spiace che le donne di fatto ancora oggi abbiano nella società una considerazione non all’altezza del loro valore: per loro è sempre difficile ottenere quello che vogliono.

Da giovane cercavo molti film con donne soprattutto per una pulsione sessuale (ricordo ancora quando a 7 anni vedevo “King Kong” aspettando avidamente la sequenza in cui Fay Wray esce dall’acqua con il vestito attillato). Ho adorato i film con la Bardot, la Loren, la Lollobrigida, Marilyn. Il desiderio fisico delle donne si è trasformato in una passione cinematografica.

Demme e “Una volta ho incontrato un miliardario”

Amo oggi questo film quanto l’ho amato allora. Tra l’altro lo portai per la prima volta in Italia al Festival del cinema di Venezia. E’ la prima volta che ho lavorato su una sceneggiatura (di Bo Goldman, poi premiata con l’Oscar) come la volevo io, con un cast tecnico ed artistico come li volevo io. Niente richieste o imposizioni da parte dei produttori. Questo film ha permesso di affermare la mia identità cinematografica. In realtà doveva dirigerlo Mike Nichols. Suo è stato il colpo di genio di incentrare la sceneggiatura sull’uomo qualunque Melvin Dummar anziché sul miliardario celebre Howard Hughes. Siccome però il film rappresentava un rischio commerciale per la Universal, Nichols che non era nemmeno riuscito ad ottenere il cast che desiderava si è tirato indietro. Io volevo Teri Garr per il ruolo di Lynda, mentre la produzione Theresa Russell. Poi si è aggiunta Mary Steenburgen. Theresa ha fatto un provino eccezionale tanto che i produttori gongolavano perché vedevano confermate le loro idee. Teri invece era molto nervosa e non è riuscita a colpire. Mary invece ha dato vita al suo personaggio in un attimo e ha conquistato la parte meritatamente. Un regista deve rendersi conto quando questo accade: bisogna essere pronti a cambiare idea, riconoscendo i propri errori. Fatto il film l’ho quindi visionato con un produttore dello studio, giovane quasi quanto me che lo ha apprezzato parecchio. Siamo quindi andata da Bob Wilkinson, detto Cowboy, responsabile vendite (è incredibile il ruolo di questi responsabili vendite nella vita di un film, io all’epoca ne ero del tutto ignaro). Dopo aver visto il film Bob commenta: “Jonathan se pensi di vendere questo film, stai davvero pisciando contro vento!” Bob non aveva tutti i torti: il film è infatti andato maluccio commercialmente ma ha vinto due Oscar (sceneggiatura ed attrice non protagonista). Però il fatto che a distanza di anni a Milano ci sia qualcuno che abbia ancora voglia di vederlo è un buon segno. Tra l’altro il film attraverso il personaggio di Melvin portava alla luce lo stato di una nazione, gli States di allora, la difficoltà di vivere quotidianamente, di tenere la testa sopra il livello dell’acqua. La difficoltà di un uomo di trovare il suo posto nella società. Credo che non molto sia cambiato oggi.

Demme e il cambiamento, tema ricorrente dei suoi film

Il cambiamento è uno degli strumenti drammatici e vitali di ogni storia: se nulla cambia non c’è storia. Lo stesso discorso vale per i documentari. Abbiamo sete di cambiamento.

Demme e Haiti

Haiti mi ha rivoluzionato la vita. Ho visto tutto da una prospettiva diversa. E’ stato un grande carburante per me.

Demme e il primo piano

E’ una marchio di fabbrica del mio cinema. Credo che amplifichi la portata di un dato momento. Ne “Il silenzio degli innocenti” accompagna gli spettatori con i personaggi. L’attore guarda l’obbiettivo, in questo modo credo che sia più potente la trasmissione dell’emozione. Certo per l’attore è più difficile, ma i bravi attori riescono a liberarsi e costruire prove magnifiche.

Demme e i suoi attori

Mi piace lavorare spesso con i miei attori, soprattutto per i ruoli secondari. All’inizio avevamo budget ridottissimi e si utilizzavano per forza di cose attori che costavano poco. Con “Citizens band” ho conosciuto tanti bravi attori. Ci tenevo ad avere una squadra con cui lavorare, un po’ come Preston Sturges e Martin Scorsese. E’ importante avere dei bravi attori, anche perché di fatto il film è sulle loro spalle. Ho un rispetto ed un amore profondo per gli attori, ma amo quelli che si assumono le responsabilità del ruolo. Devono essere propositivi, sperimentatori, non posso essere uno psicologo per l’attore che non riesce ad entrare nella parte e va in crisi. Se hai letto la sceneggiatura devi capire come muoverti. Per fortuna che mi è capitato un problema del genere una sola volta, sul set di “Citizens Band”. Io penso che la sceneggiatura sia da un lato una Bibbia, ma dall’altro non deve essere una gabbia, una prigione: per questo amo quando i miei attori mi chiedono di improvvisare.

Jonathan e Bernardo

Adoro “Il conformista”. Ero amico di Claire People, moglie di Bernardo e negli anni settanta ci vedevamo spesso a Londra. Prima di girare il mio primo film incontro Bernardo che, a proposito delle riprese, mi domanda se pensavo di fare dei campi lunghi. Io ero terrorizzato. Non gli ho risposto, credo forse di avergli detto timidamente un sì, ma in realtà non sapevo bene neanche di cosa stesse parlando. Mi ha fatto molto riflettere sul girato e montare il meno possibile, fare soprattutto piani sequenza. Una volta volevo mostrargli una scena cui tenevo molto di “Una volta ho incontrato un miliardario” (quella in cui Melvin, al distributore di benzina che gestisce con la moglie, riceve la busta che lo indica tra gli eredi di Howard Hughes). Ero particolarmente orgoglioso di quella scena. Bernardo guarda il film, lo apprezza molto ma mi dice che quella scena è troppo lunga e devo tagliarla un po’. Uno smacco. Con lui ho lavorato fianco a fianco per 6 mesi a metà anni ottanta sulla sceneggiatura di “Red Harvest”, di cui poi non si è fatto nulla. Bernardo è brillante, un essere umano straordinario, mi sono divertito molto con lui. Sono contento che stia per girare un nuovo film.

Jonathan e Carolyn Parker

Con Carolyn ho stretto un’amicizia molto profonda. Il mio problema, quasi paradossale, è che adesso quando vado a trovarla ho il bisogno fisico della telecamera. Abbiamo costruito il nostro rapporto attraverso la telecamera, senza di questa c’è quasi imbarazzo nel frequentarci. E’ stato difficile rivederla dopo le riprese. Spero che questo film sia il primo di una quadrilogia. Ho infatti ripreso altre tre persone e c’è materiale sufficiente per altri tre film.

Demme e la TV

Ho girato l’episodio pilota di “A gifted man” su una gran bella sceneggiatura di Susannah Grant (“Erin Brokovich”). Andrà in onda sulla CBS il 23 settembre. E’ la storia di un neurochirurgo brillante ed egocentrico la cui vita cambia radicalmente con la morte della ex moglie. Mi sono divertito da morire: sono anche produttore esecutivo. Adoro la tv come mezzo di espressione e comunicazione. Mi sento completo ora che ho partecipato ad una serie tv.

Demme e i progetti futuri

Mi sono innamorato di “Zeitoun” di Dave Eggers (da noi pubblicato per Mondadori). La storia è quello di un musulmano che, dopo l’uragano Katrina, decide di rimanere a New Orleans e con la sua canoa percorre le strade allagate della città per soccorrere tante persone, creando così una formidabile rete di amici e collaboratori. Improvvisamente l’uomo scompare e viene condotto in un penitenziario simile a Guantanamo. La sua storia è straordinaria e d’accordo con Dave ho deciso di realizzarla attraverso un film d’animazione. Stiamo ancora cercando i finanziamenti.

Sto inoltre lavorando con Jenny Lumet: ha scritto una nuova bellissima sceneggiatura e mi piacerebbe se esordisse alla regia.

Jonathan e Neil Young

Credo che a Toronto, dove è stato presentato l’ultimo film che gli ho dedicato (“Neil Young Journeys”) Neil abbia espresso con una sintesi perfetta il nostro rapporto: “Ci rispettiamo: lui ama la musica ed io amo il cinema!” Mi piacerebbe ancora lavorare con lui. Ha un talento innato per il cinema. Forse farò un film su una delle sue canzoni, devo studiarmi bene i testi.

 

Un solo commento: è stato sorprendente vedere l’umiltà e la semplicità con cui Jonathan Demme si è relazionato con il suo pubblico per “imparare reciprocamente qualcosa sul cinema”. Gentile e disponibile, in apparenza quasi timido ma loquace, per nulla pesante, ricco di aneddoti e con un entusiasmo contagioso per il suo lavoro e per il lavoro degli altri. Una persona veramente di spessore, genuina e schietta che ai tanti aspiranti e/o giovani registi presenti in sala ha detto: trovate un soggetto valido e girate il vostro film e chissà magari che dopo 10 anni non vi troviate a girare un film come “Io sono l’amore” (chiaro riferimento a Luca Guadagnino che in precedenza aveva raccontato il suo esordio nella regia, a metà anni novanta, incentrato su un operaio della Fiat visto a “Samarcanda” e poi cercato per mari e per monti pur di realizzare con la sua telecamera un film su di lui).

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