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Vittorio Mezzogiono e Werner Herzog
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 Terza parte

Il 12 settembre, di nuovo a El Chalten, inizia la lavorazione e sono eccitato e impaurito  come un bambino, ma allo stesso tempo anche protetto dalla forza granita e inossidabile di Herzog... tanto che il 16 settembre mi trovo ad annotare sul mio taccuino di viaggio la testimonianza diretta del mio primo vero "impatto" con la cima con amore e riverenza: "Oggi sono stato sul Cerro Torre. Con Herzog e Osvaldo Santin, la mia controfigura  assunta più per rassicurarmi che con la volontà certa di impiegarla davvero: Herzog me lo ha detto e ripetuto, vuole me lassù, non la mia controfigura. Siamo saliti in elicottero ad osservare da vicino il fungo di ghiaccio. Terrore, sudore freddo: questo è ciò che ho provato e avvertito, mentre una parte inascoltata di me, mi esortava a tornare casa. La cima cambia spesso, contro questa montagna si spezzano tutti i venti del Pacifico. In alto, quasi alla sommità, scorgo una lunga crepa che mi spaventa. Quelli che 'sanno come vanno le cose sulle montagne' comunque mi rassicurano affermando che non c'è alcun effettivo pericolo, perchè il crollo  può avvenire solo dalla parte opposta al punto in cui è previsto l'atterraggio. Io sono ormai completamente nelle mani di Herzog, e so che sarà dura: spero solo di avere una resistenza adeguata ".

Gli alpinisti hanno scavato una grotta con i viveri lassù in alto, caso mai l'elicottero (a volte succede) non potesse tornarci a prendere per un improvviso cambio  metereologico, assicurandoci così per lo meno la sopravvivenza, e sono tanto incosciente, da sentirmi eccitato per questo. La vera paura la provo invece la seconda volta che atterriamo sulla cima: la crepa si è allargata notevolmente e il ghiaccio è crollato nell'abisso. E naturalmente, è caduta proprio la parte che non si sarebbe dovuta muovere, alla barba delle certezze e delle conoscenze. I piloti dell'elicottero prestati dall'esercito spesso non vogliono saperne di salire verso la cima, tanto è rischioso, e questo è uno di q ei giorni, anche se a Herzog sembra non importi, nemmeno quando - ed è il più delle volte - la potenza del vento è inimmaginabile e così impetuosa, da creare un turbinio costante molto doloroso. Un giorno, tornando a piedi dentro la tormenta, ho visto la faccia di Bubu, l'operatore, ridotta a una maschera di sangue: il volteggiare turbinoso sollevava i sassi contro di lui, ed era impossibile ripararsi. Ma Herzog non si è arreso nemmeno questa volta, e l'avventura  è continuata,  con una troupe che finisce per assomigliare  sempre più ad una vera e propria spedizione anzichè a un set cinematografico.

Per la prima volta, dopo la separazione da Klaus Kinski, Werner si trova di nuovo a lavorare con degli attori. In genere, come si sa, non gradisce questa ipotesi e ne ha persino un pò paura, credo: non ama il falso, come non ama le controfigure, e gli ripugna confrontarsi con le  pretese anche bizzose dei professionisti della scena. E' straordinario Herzog: un eccentrico estremo, ma pieno di sensibilità, uno insomma  che vuole conoscere perfettamente quelli con i quali ha deciso di lavorare così da poterli impiegare al meglio e ottenere i migliori risultati possibili. Per quanto mi riguarda, capisco adesso le ragioni di una scelta: ha avvertito le mie paure e le sta utilizzando per mettere a fuoco il personaggio di Roccia. Paura dell'eta, della montagna, della donna, perchè anche qui c'è una storia di rivalità amorosa. Roccia è un coraggioso proprio perchè ha paura in ogni attimo della sua vita. E questa paura la combatte diventando ardimentoso e temerario (e non è forse proprio quello che sto facendo io  in questa circostanza?).Ogni giorno l'elicottero ci lascia sul ghiacciaio, ma poi dobbiamo camminare a lungo a piedi prima di raggiungere campo Maestri. Durante la marcia, ho sentito spesso Donald Sutherland, mio compagno di viaggio, borbottare improperi e lamentarsi per il mancato rispetto dei limiti imposti dal contratto. Ma è come se anche a lui alla fine non gli importasse molto della cosa, quasi che avesse messo in conto che sarebbe andata proprio così con Herzog, e non ne fa alla fine un dramma. Duttile, mai rigido, pronto a improvvisare pur rimanendo nei limiti del personaggio, è un perfetto compagno di lavoro e d'avventura.

18 ottobre: il vento si è incattivito e siamo stati costretti a rientrare dal ghiacciaio a piedi, camminando nel buio e nel freddo per oltre sette ore e mezzo perchè l'elicottero non era riuscito a raggiungerci. Arriviamo stremati: chusi nella baracca, quasi congelati, aspettiamo che il vento scenda ed è difficile persino riposare. Finalmente il cielo si apre. Werner Herzog,n l'operatore di parete Fulvio Mariani e il più esperto Stephan Glowatz decidono insieme di approfittarne per raggiungere di nuovo in volo una delle cime. Ma appena arrivati sulla montagna e ripartito l'elicottero, una immensa mano bianca si è levata  dallo Jelo Continental, l'oceano di ghiaccio che sta alle spalle del Cerro Torre, fino a ghermire completamente i tre e a cancellarli del tutto dalla nostra vista: in totale balia degli elementi, senza viveri, scavandosi una grotta con le piccozze per non congelare e resistere al freddo estremo delle notti, rimarranno isolati per ben tre lunghissimi, interminabili giorni che ci fanno temere il peggio. Siamo preocucpati e atterriti. A El Chalten aspettiamo con ansia e apprensione notizie via radio che non arrvano. Solo nella mia capanna, quando ancora non so che l'incidente si risolverà con molto spavento ma senza troppe conseguenze, ripenso amaro a quello che proprio Stephan mi ha detto pochi giorni prima e ci rifletto un poco con rinnovata preoccupazione: "Alpinismo significa fare qualcosa dove non c'è nessuno a dirti come devi fare. Fai il passo giusto e hai superato l'ostacolo, lo sbagli e sei morto. Scalare montagne mette alla prova la tua capacità di imparare strade nuove, ti fa crescere e maturare, essere più uomo insomma." Come Herzog, appunto. (Vittorio Mezzogiorno)

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