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Conoscere Herzog attraverso qualcuno che ci ha lavorato insieme
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Vittorio Mezzogiono che girò con Herzog "Grido di pietra", ha raccontato così l'incontro e l'esperienza. Sono pagine di un diario a mio avviso molto interessante, che ci consente di penetrare meglio l'anima e il pensiero del regista:

Ho incontrato Werner Herzog per la prima volta a Monaco nel giugno del 1990. Fu lui ad invitarmi per un colloquio proprio perchè voleva conoscermi  credo per valutare l'ipotesi di potermi impiegare sul set del film "Grido di pietra" che avrebbe dovuto girare di lì a poco, nel ruolo di un "anziano" alpinista di nome Roccia impegnato a sfidare il più giovano "concorrente" Martin (la parte corrispondente era già stata assegnata a un vero scalatore di professione come Stephan Glowatz) nella conquista del Cerro Torre, la temibile cima della Patagonia. Non so chi gli avesse fatto il mio nome o da dove nascesse l'interesse per la mia persona. La cosa però mi aveva particolarmente lusingato e affrontai così il viaggio con molte titubanze, ma anche con altrettanto interesse e preoccupazione soprattutto perchè conoscevo di fama il suo modo estremo di intendere il cinema. L'avvio fu tutt'altro che cordiale perchè con mio grande imbarazzo, sembrava quasi che lui dovesse subire la mia presenza, e che fosse addiritttura infastidito dal fatto di avermi dovuto incontrare. Compresi poi meglio che non era verso la mia persona in particolare che aveva qualche remora o peggio ancora delle riserve: il suo disagio consisteva semplicemente nel fatto (comprensibile per chi conosce il suo lavoro)  che per lui entrare in contatto con un attore, significava già penetrare nel campo del falso e questo era in un certo senso come forzare la sua natura. Mi provocò da subito in ogni modo possibile con domande sibilline soprattuto riguardo alle mie esperienze sportive, invero  abbastanza limitate e non certamente in linea con ciò che mi avrebbe dovuto aspettare sul set. Fu però così stimolante la cosa, che decisi di accettare la sfida e di fronteggiarlo con ferma semplicità, anche se con un pò di imbarazzo, evitando di raccontare fandonie e di vendermi per quel che non ero. Parlai così senza enfatizzare, delle mie esperienze di vela ("uno sport per vecchi" secondo il regista) e di ciò che avevo anche fatto nel campo della boxe, per altro evidente dalla  rotta forma del mio naso, visto che non avevo nient'altro da aggiungere a questo proposito. Ma non sembrava impressionato nè in apparenza  deluso dai mie racconti,  impassibile come una sfinge, mi congedò senza sbilanciarsi, senza proferire parola in relazione a quello che era stato lo scopo primario dell'incontro,tanto che nel viaggio di ritorno, immaginai, fra il deluso e il rinfrancato, di aver clamorosamente perso un'occasione importante per non essere stato all'altezza delle aspettative.

Herzog invece mi ha scelto, e la cosa mi ha alla fine lusingato e sorpreso parecchio: detesto la montagna, ho paura del vuoto, le inquadrature segnate sullo story board mi atterriscono, e penso nell'intimo di essere proprio l'esatto contrario di ciò di cui lui avrebbe invece avuto bisogno. Ma sono caparbio e determinato, e mi dico che forse vale la pena tentare perchè, non avrò più un'altra occasione del genere ed è alla fine anche una sfida con me stesso e verso le mie resistenze. Sono già orientato per il sì, ma prima di dare la definitiva conferma, pongo io la condizione di poter vedere dal vivo quel terribile Cerro Torre per valutare meglio la cosa. Il 18 agosto partiamo così,  per la prima volta insieme, con destinazione Patagonia: da Buenos Aires a Rio Callegos in aereo, poi in automobile fino a El Calafate. Siamo in pieno inverno australe e la tempesta di neve ci aggredisce lungo la strada sterrata sempre più impervia e scivolosa. Sembra di andare incontro a un inferno di ghiaccio e questo aumenta notevolmente le mie preoccupazioni e fa riemergere molte titubanze: incontriamo soltanto macchine che tornano indietro e che ci incitano a fare altrettanto, sconsigliandoci categoricamente di proseguire. Ma Herzog è una roccia inflessibile che non demorde, così abituato alle situazioni estreme, da costringerci a proseguire il viaggio nonostante le condizioni atmosferiche proibitive. Subisco in pieno il fascino della sua forte personalità e penso comunque di essere in buone mani. Ci fermiamo solo un attimo per rinfrancarci e prendere un caffè: c'è solo un metro dall'auto al bar, ma sotto i jeans si piantano aghi gelati che mi fanno piangere di freddo e di dolore... e non so ancora che sarò poi costretto a girare alcune scene del film, anche in parete, a 25 gradi sottozero. Ma mi fido di lui,e penso che con lui ce la potrò anche fare.

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