Il 7 di maggio comincia il conclave per la scelta del nuovo Papa.
Il 7 di maggio su canale 5 comincia “L’isola dei famosi”, condotta per la prima volta da Veronica Gentili.
Basterebbero questi 2 appuntamenti così lontani tra di loro, che riempiono di notifiche i miei feedback sul telefono, a farmi sorridere. Visi di cardinali e pseudo vip mai stati famosi si intrecciano veloci al mio svoltare con l’indice della mano destra sullo schermo scheggiato dello smartphone. Poi mi fermo. Un volto a me noto, paciocco e sorridente, con l’occhio sornione accenna un saluto compiaciuto. Non è un cardinale straniero, non è uno sfigato di turno in costume da bagno, è il grande Pupi Avati.
Un matrimonio (2012): Pupi Avati
Pupi Avati, il 7 maggio di quest’anno, riceverà il David di Donatello alla carriera.
Non è scontato per un regista del genere di Avati ottenere (da vivo) un riconoscimento simile.
Piccola scheda del regista (per i pochi -mi auguro- che non lo conoscono):
Nome: Giuseppe Avati - detto Pupi da sempre
Nato a Bologna il 3 novembre del 1938.
Sposato con 3 figli, è il fratello maggiore di Antonio Avati-1946-, che con lui ha fondato la casa di produzione Duea. I 2 fratelli hanno molto spesso collaborato insieme anche come sceneggiatori e scrittori per i film di Pupi.
Lei mi parla ancora (2021): Pupi Avati, Antonio Avati
Perché è importante questo premio alla carriera?
Intanto la carriera del regista non volge al termine. Solo dell’anno scorso sono il bellissimo film “L’orto americano”, e il docufilm “Nato il sei ottobre”. Di entrambi i lavori è lo scrittore e il regista. Quindi mi piace pensare, e sicuramente sarà così, che questo sia un riconoscimento per tutto quello che ha fatto fino ad oggi, ma che ancora niente è terminato. Il suo merito maggiore è stato di aver creato con i suoi film un nuovo e personale linguaggio stilistico.
Se nei primi 4 film (“Balsamus, l’uomo di Satana”-1968-, “Thomas...gli indemoniati”-1970-, “La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone”-1975-, “Bordella” -1976-) non è ancora ben chiaro quale possa essere il tipo di narrazione adeguato alle capacità di Avati, influenzato sicuramente dallo spirito sperimentale degli anni ‘70 che rendeva spregiudicati i giovani talentuosi registi dell’epoca, è con “La casa dalle finestre che ridono” del 1976, che Pupi Avati ha la svolta creativa per introdurre il suo stile gotico padano che diventerà la sua peculiarità. Lo stesso regista bolognese ammette che cimentarsi con una storia di genere, gli ha imposto di doversi sottomettere ad una disciplina formale utile per poter svolgere un film compiuto e sensato.
La casa dalle finestre che ridono (1976): Lino Capolicchio
La sperimentazione dei primi film, utile per ottenere la dimestichezza necessaria, viene così “abbandonata” per poter essere finalmente creativi ai fini di una storia unica e originalissima come quella de “La casa dalle finestre che ridono”.
I vincoli del “film di genere” lo rendono libero di essere creativo e di osare un linguaggio nuovo e (ancora oggi) unico.
Cosa rende un autore, un autore unico e di genere.
Pupi Avati ha avuto il pregio di non lasciarsi però costringere in un genere horror, che negli anni ‘ 70 lo avrebbe sicuramente premiato, ma in seguito forse impedito nella carriera.
Il suo merito è stato quello di adeguare il suo stile al suo mondo di ricordi. Con gli anni ‘80 inizia a fare film poetici, intimi, le sue storie appartengono alle memorie di famiglia, che lui modella su personaggi inventati e non, circondandosi da attori a lui amici e che non abbandonerà mai negli anni.
Regalo di Natale (1986): locandina
Arrivano “Una gita scolastica” -1983-, “Impiegati” e “Festa di laurea” -1985-, e il bellissimo “Regalo di Natale” -1986, che lo consacrano ad autore di pregio. Iniziano i premi, i festival, i riconoscimenti.
Negli anni ‘90 il regista bolognese raccoglie i frutti del decennio precedente. Continuano i suoi film poetici, sognanti, di amori impossibili, con protagonisti sempre ai margini, che vivono in quell’angolo nascosto e che Avati sa così bene svelare.
Il papà di Giovanna (2008): Ezio Greggio, Pupi Avati, Silvio Orlando, Francesca Neri
Un’altra peculiarità del regista bolognese è quella di creare cast improbabili per i suoi film. Cerca attori comici che non hanno mai avuto ruoli drammatici, soubrette, attrici un po’ dimenticate ritrovano lo smalto di un tempo, riuscendo ad ottenere molto spesso un ruolo della vita. Cantanti pop, cantanti lirici, presentatori, cabarettisti, attoroni e amici di sempre continuano a susseguirsi nei film che escono con il ritmo di quasi uno all’anno.
Il cuore grande delle ragazze (2011): Cesare Cremonini, Erika Blanc, Andrea Roncato, Luciano Casaredi
Ovviamente in tutto questo gran lavoro, non sono tutti capolavori quelli che vengono fuori. Ma non c’è un film brutto, mai! Forse qualcuno non del tutto riuscito, ma sempre godibile, che strappa un sorriso e una lacrima di commozione.
Il ritorno all’horror.
Il Signor Diavolo (2019): Pupi Avati
Perdonate ora questa mia personalissima analisi, ma per quanto mi riguarda, Pupi Avati è veramente un caso del tutto unico. Dopo “La casa dalle finestre che ridono”, passano diversi anni prima che Avati torni all’horror. “L’arcano incantatore” -1996- (un vero gioiello del genere), è una punta di iceberg che si scioglie fino al 2007 con “Il nascondiglio”.
Il nascondiglio (2007): scena
Ritorna alla grande con “Il signor Diavolo” nel 2019. Oggi con “L’orto americano”. Nonostante questi lunghi intervalli, Avati riesce a mantenere uno stile che non risente minimamente il trascorrere del tempo. Il linguaggio horror di Avati ha assunto da subito un compromesso con lo spettatore, proprio come nelle narrazioni classiche. Ovviamente le tecniche cinematografiche, gli effetti speciali, i trucchi, sono le caratteristiche temporali che possono fare la differenza, ma emotivamente i film horror di Avati riescono a suscitare lo stesso senso di disagio e terrore senza nessuna differenza tra il primo film del 1976 e l’ultimo del 2024. Solo per questa grande capacità narrativa e stilistica si merita un premio.
L'orto americano (2024): scena
Quello che preferisco.
Che ve lo dico a fare? l’horror gotico padano di Avati è per me indispensabile: “La casa dalle finestre che ridono”, “L’arcano incantatore” e “Il signor Diavolo” sono sul podio. Ma adoro moltissimo alcuni suoi film, che via via mi piace rivedere per coccolarmi un po’.
“Una gita scolastica”- 1983-, “Regalo di Natale” -1985-, “Festival”-1996-, “Il papà di Giovanna”-2008-, “Il figlio più piccolo” -2010.
Il bambino cattivo (2013): Leonardo Della Bianca
Solo l’altro giorno ho scoperto su RaiPlay “Il bambino cattivo” del 2013, un film per la tv realizzato in occasione della giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Un film bellissimo, commovente e di grande livello, lo consiglio assolutamente.
Il Signor Diavolo (2019): Filippo Franchini
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta