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Paura, eh?
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La casa di distribuzione Lucky Red cavalca uno dei trend di questa stagione cinematografica annunciando il ritorno in sala di Alien di Ridley Scott e Aliens - Scontro finale di James Cameron, in un evento che si svilupperà nell'arco di tre giorni tra il 29 e il 31 maggio. La lista dei film dal glorioso passato riportati in sala nella stagione 2022/2023 è davvero lunga (e vedrete cosa succederà nei prossimi mesi) e, giustamente, i commentatori più attenti e critici verso il sistema attribuiscono questa ridondanza di riedizioni a un cinema che si nutre sempre più di se stesso. Un cinema che, insistendo sulle saghe e sui franchise, mutuando meccanismi di fidelizzazione dello spettatore seriale e serializzato, denota una certa mancanza di idee e, incidentalmente, specula anche sul fattore nostalgia. Sono tutte critiche valide e centrate ma, a volte, può essere utile valutare caso per caso perché a fronte di un discorso corretto generalizzato poi si rischia di non considerare adeguatamente il valore delle opere che sono oggetto delle riedizioni: i film che ci vengono (ri)proposti non sono tutti uguali.

Anche io, appena letta la notizia che riguarda Alien, mi son detto "Ci risiamo". Poi però ho anche realizzato di non aver mai visto il film di Ridley Scott in sala, di non averlo rivisto da parecchi anni e mi è venuto un irrefrenabile desiderio di guardarlo con gli occhi di oggi, anche alla luce di questa sovrabbondanza di titoli del passato rispolverati dalla distribuzione italiana. E quindi Alien night, casalinga, sia. Ci assestiamo sul divano, accediamo a Disney+ e, per una volta, andiamo a colpo sicuro risparmiandoci lo sfibrante girovagare alimentato dall'inerzia. E già questo è un colpaccio.

Poi il film inizia e rimango subito a bocca aperta per la meraviglia grafica dei titoli di testa sulla prima sequenza. Sarà che sono diventato più sensibile agli incipit dei film, è colpa di Aurora ovviamente, ma quei primi tre minuti - ideati dai designer Richard Greenberg e Steve Frankfurt (rispondendo ad una visione molto precisa di Scott) - che centellinano le lettere che compongono il titolo del film, facendole apparire su uno sfondo spaziale e giocando in perfetta sintonia con un soundscape disturbante, sono già un capolavoro di semplicità ed efficacia. E dimostrano come, per costruire un registro di un film, può essere sufficiente una manciata di secondi. Non mi viene in mente nulla di più ferocemente minaccioso del modo in cui appare agli spettatori la scritta A L I E N. Una semplice parola, resa graficamente con uno dei font più abusati al mondo (un Futura spaziato e lievemente corretto), che diventa da subito il veicolo per presentare il carattere, umanamente inconcepibile, dell'alieno xenomorfo disegnato da  H.R. Giger. Una creatura che percepiamo dal primo secondo ma che non vediamo fino al minuto 40. Un terrore che cresce ed avviene sotto alla superficie del consapevole, del visibile, ad un livello completamente inconscio.

Dopodiché sullo schermo arriva lei: la Nostromo. E la seconda cosa che mi colpisce è la precisione, la pulizia, l'eleganza con cui la camera di Ridley Scott scivola tra gli interni deserti, tra corridoi e sale macchine, tra plancia di comando e computer di bordo, con quel refolo di corrente che fa smuovere i camici bianchi appesi e la macchina da presa che procede fino alle bare criogeniche e filma il risveglio dell'equipaggio messo in moto da Mother, l'intelligenza che governa la Nostromo.

E infatti, al di là dell'eleganza dell'aspetto visuale del film, del suo posizionarsi in un validissimo (e commercialmente redditizio) incrocio tra horror e fantascienza, è nel soggetto e nella sceneggiatura che Alien colpisce ancora nel segno. Per come rappresenta e stigmatizza il passaggio dall'epoca delle spedizioni spaziali istituzionali - come mezzo, ossia, per affermare il dominio di una nazione su un'altra - a quella delle spedizioni con fini commerciali e industriali. Nel 1979 non c'erano né Elon Musk né Jeff Bezos e anche se le multinazionali esistevano già ed erano anche potenti, non era facilmente immaginabile che ci sarebbero state aziende in grado di dedicare risorse infinite alla conquista, anzi allo sfruttamento, dello spazio.

In Alien l'equipaggio si muove all'interno di un sistema rigidissimo, deve seguire le regole del sistema operativo Mother e deve sottostare alle scelte imposte dall'azienda. È con Alien che le ragioni del commercio prendono il sopravvento anche lassù, dove nessuno può sentirti urlare. Un elemento di sceneggiatura fondamentale, raccontato con grande sapienza e scandito da tempi narrativi perfetti, che raggiunge l'apice con la definitiva rivelazione che persino Ash, il responsabile scientifico della missione, è solo un robot piazzato sulla Nostromo a estrema difesa degli interessi della corporation: portare indietro, sulla terra, lo xenomorfo. Un'arma letale, libera dai vincoli della coscienza, da qualsiasi forma di rimorso o da tutti i condizionamenti e le frustrazioni morali tipiche dell'essere umano. Che viene così ridimensionato a mero ospite, veicolo, mezzo. E che solo grazie alla lucidità e alla resilienza del tenente Ellen Ripley torna, momentaneamente, in controllo del proprio ruolo nel mondo.

Alien ha retto benissimo al passare del tempo anche nella versione casalinga, moderatamente HD, proposta da Disney+, ma pensate ai brividi che potrebbero regalarci quei titoli di testa, al buio di una grande sala cinematografica, con un audio potente e avvolgente. Lasciateci lì, a guardarli in loop, in una specie di sonno criogenico ad occhi aperti, per sempre.

Quindi, cortesemente, dateci (almeno) lo stesso numero di schermi di Titanic, grazie.

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