Berlino è un festival complicato. Invernale, diversamente da Cannes, Venezia, Locarno; megalopolitano, diffuso in un territorio vastissimo, labirintico nella programmazione e nella selezione dei film. È un’altra esperienza, ed è difficile. Se vuoi vedere tutto quello che ti interessa e hai il privilegio dell’accredito stampa, devi comunque fare delle corse matte e disperatissime, affidandoti a un servizio metropolitano ottimo (ma non perfetto) e sperando nella puntualità delle proiezioni (e si è arrivati ad aspettare anche 17 minuti). È un festival difficile perché puoi attraversare i climi più disparati, dall’accaldamento delle corse alle precipitazioni nevose, cercando nel frattempo di non prenderti un accidente. È difficile perché dove mangiare e quanto spendere può essere un serio problema, a seconda di quale sala stai popolando subito prima o subito dopo un pasto. È difficile per tutti questi motivi pragmatici.
Detto ciò, è forse la migliore selezione di film che ho visto in un festival del cinema da 10 anni a questa parte. Dal pagellone che riporterò alla fine, si può notare la sovrabbondanza di sufficienze; meno quantificabile è il grado di interesse, che ha investito anche molti titoli che ho gradito meno (#Manhole è un disastro eccezionale, così come Disco Boy contiene alcune delle sequenze più suggestive del festival). Questo enorme organismo che è l’esperienza della Berlinale nella mia memoria promette di restare per sempre un blob variegato e impenetrabile, un accumulo di situazioni, di corse e di difficoltà ma anche di commozioni difficili da controllare.
Per bruciarsi subito l’immancabile punto di quello che porterò sempre con me, ci sono certamente il goulasch nel sacchetto di Paula Beer in Afire (Petzold), Leonor Silveira che si dà della puttana di alta classe in Viver Mal (Canijo), la tempesta policromatica di Mad Fate (Cheang), le mani di Notre Corps (Simon), la camera termica in Disco Boy (Abbruzzese), i feticismi rivoltanti di Talk to Me (Philippou Brothers), l’abbraccio padre-figlia dietro le quinte durante lo spettacolo di pupi in Le grand chariot (Garrel). Mi ricorderò il controllore che voleva multarmi senza ragione (salvataggio in corner del suo collega più assennato), la neve e il gelo degli ultimi giorni, il fazzolettino caduto di fronte al proiettore dall’alto fino al basso dello schermo durante Someday We’ll Tell Each Other Everything (Atef), l’incomprensibile “VERGOGNA” sui titoli di coda dell’anteprima stampa di Past Lives (Song), gli esseri umani che si incrociano al Zoologischer Garten, i versi di un mio vicino di posto durante le scene con un gatto in Mad Fate. C’è poco da dire, è stato tutto sorprendente, eccitante e irripetibile.
È stato un festival sulla creazione artistica, per infiniti motivi. Praticamente tutti i film contenevano artisti: i fotografi di Afire, di The Shadowless Tower (Zhang), di All the Colours of the World Are Between Black and White (Apalowo) e di Someday We’ll Tell Each Other Everything, gli attori di Knochen und Namen (Stumm) e di Regardless of Us (Yoo), gli studenti di pittura di Art College 1994 (Liu), la scultrice di 20000 Especies de Abejas (Solaguren), i teatranti de Le grand chariot, i musicisti di Music (Schanelec) e di She Came to Me (Miller), la poetessa Ingeborg Bachmann (nel film omonimo di von Trotta), il regista di in water (Hong), la scrittrice di Past Lives ed, evidentemente, Seneca. Vari personaggi si improvvisano artisti, dalla zia di Tótem (Avilés) che dipinge una torta, ai pazienti dell’Adamant nell’Orso d’Oro di Philibert, fino al Nemo di Willem Defoe nel Robinson Crusoe per attico di grattacielo Inside (Katsoupis). E si distinguono in egual misura i doc in cui i registi compaiono nel ruolo di loro stessi, da Philibert a Simon, fino a Vincent Dieutre e, sui generis, Eduardo Williams in A Very Long GIF.
È stato un festival sul creare: percorsi (There is a Stone), identità (Perpetrator, Mutt, 20000 especies de abejas, El rostro de la medusa), adattamenti (Where God Is Not, Reality), rivendicazioni (sia sane come in Vergiss Meyn Nicht sia insane come in Manodrome). Un gruppo di film che è un film solo, sull’urgenza di trovarsi nell’arte e nell’espressione formale, anche nelle possibilità più oscure e imprevedibili. Per rileggere se stessi (Orlando, ma biographie politique) o la Storia (El juicio, La bête dans la jungle), in un Cinema di generale sfiducia nelle grandi narrazioni, disperso nelle autoriflessioni e nei doppi. La grande eccezione di Laggiù qualcuno mi ama (Martone), che consacra l’icona divina di Massimo Troisi pur raccontando le sue debolezze, è una riconferma della regola: Dio è ferito, è morto (come viene detto in Art College 1994), sta altrove (nella capacità di controllare il reale nel piccolo universo caotico di João Canijo, ipertesto resnaisiano di giochi e rimandi interni), è inconoscibile (il mistero di Limbo di Ivan Sen), è il caso beffardo (The Adults) o i futuri dei mondi paralleli (Kill Boksoon). La realtà è dunque altrettanto frantumata: il Cinema è la sede giusta per accogliere il miracolo di ricreare una realtà, o può al massimo validare il fallimento della nostra percezione?
Di seguito il pagellone completo, senza Grazuole di Arunas Zebriunas (7/10) che è un classico del 1969 che è stato selezionato in Berlinale classici da Sergei Loznitsa.
MAL VIVER/VIVER MAL (Canijo) 8.5/10
MAD FATE (Cheang) 8/10
NOTRE CORPS (Simon) 8/10
LE GRAND CHARIOT (Garrel) 7.5/10
AFIRE (Petzold) 7.5/10
A VERY LONG GIF (Williams) [installazione] 7/10
IN WATER (Hong) 7/10
LA BÊTE DANS LA JUNGLE (Chiha) 7/10
THE SHADOWLESS TOWER (Zhang) 7/10
MUSIC (Schanelec) 7/10
THERE IS A STONE (Ota) 7/10
TÓTEM (Avilés) 6.5/10
LAGGIÙ QUALCUNO MI AMA (Martone) 6.5/10
ALLENSWORTH (Benning) 6.5/10
REALITY (Satter) 6.5/10
WHERE GOD IS NOT (Tamadon) 6.5/10
EL ROSTRO DE LA MEDUSA (Liebenthal) 6.5/10
SUR L’ADAMANT (Philibert) 6/10
EL JUICIO (de la Orden) 6/10
PAST LIVES (Song) 6/10
BLACKBERRY (Johnson) 6/10
ORLANDO: MA BIOGRAPHIE POLITIQUE (Preciado) 6/10
SUZUME (Shinkai) 6/10
TILL THE END OF THE NIGHT (Hochhäusler) 6/10
INGEBORG BACHMANN - JOURNEY INTO THE DESERT (von Trotta) 6/10
REMEMBERING EVERY NIGHT (Kiyohara) 5.5/10
SOMEDAY WE’LL TELL EACH OTHER EVERYTHING (Atef) 5.5/10
DISCO BOY (Abbruzzese) 5/10
L’ULTIMA NOTTE DI AMORE (Di Stefano) 5/10
KNOCHEN UND NAMEN (Stumm) 5/10
REGARDLESS OF US (Yoo) 5/10
INFINITY POOL (Cronenberg) 5/10
20000 ESPECIES DE ABEJAS (Solaguren) 5/10
IN UKRAINE (Wolski, Pawlus) 5/10
LONELY OAKS (Fragale et al.) 5/10
TALK TO ME (Philippou Bros) 4.5/10
DRIFTER (Hirsch) 4.5/10
LIMBO (Sen) 4.5/10
ART COLLEGE 1994 (Liu) 4.5/10
INSIDE (Katsoupis) 4/10
KILL BOKSOON (Byun) 4/10
MUTT (Lungulov-Klotz) 4/10
THE ADULTS (Guy Defa) 4/10
ALL THE COLOURS OF THE WORLD ARE BETWEEN BLACK AND WHITE (Apalowo) 4/10
ABSENCE (Wu) 4/10
THIS IS THE END… (Dieutre) 4/10
LE MURA DI BERGAMO (Savona) 3.5/10
SHE CAME TO ME (Miller) 3/10
THE SURVIVAL OF KINDNESS (de Heer) 3/10
MAMMALIA (Mihailescu) 2.5/10
#MANHOLE (Kumakiri) 2.5/10
PERPETRATOR (Reeder) 2.5/10
MANODROME (Trengove) 2/10
SENECA - ON THE CREATION OF EARTHQUAKES (Schwentke) 2/10
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