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My Home Village
di AndreaVenuti
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My Home Village, Kang Hong-sik, 1949

Nell’agosto del 1945 con la sconfitta definitiva dei giapponesi, americani e sovietici si spartiscono in due la penisola coreana; Gli yankee posizionano le loro truppe al Sud mentre i sovietici vanno a Nord. Nel luglio del 1946 nasce così il Partito dei lavoratori nord-coreani con la presidenza di Kim Tu-bong, aiutato da Kim Il-sung (vice-presidente) fortemente appoggiato dai sovietici (ricordo il passato di Kim Il-sung in veste di capitano dell’armata rossa) . In questo periodo i sovietici inondano il Nord con film (russi) di propaganda atti a celebrare Stalin e l’eroismo dell’armata rossa, il tutto seguendo i cosiddetti modelli del “Realismo Socialista”.
 
Il combattivo Kim Il-sung pur avendo massimo riguardo degli amici sovietici e del loro “realismo Socialista” ha un’idea di cinema leggermente diversa e non appena riesce a scalare le gerarchie , diventando nel 1948 il “leader supremo della Repubblica Popolare Democratica di Corea”, prende in mano le redini della nascente industria cinematografica locale mettendo subito in chiaro una cosa: nel Nord il cinema è una cosa seria e deve assolutamente basarsi sulla teoria del Juche (dottrina emanata dal partito). Certo il modello sovietico è in parte rielaborato ma sotto una luce “coreana” dettata proprio dal grande leader.
Nel 1949 il noto Kang Hong-sik (regista e cantante del Sud trasferitosi al Nord) firma il primo lungometraggio nord-coreano: My Home Village.
 
L’opera segue le vicissitudini di Gwan Pil, un contadino oppresso da un maligno latifondista costretto pertanto a reagire ai continui soprusi finendo però in una prigione gestita dai giapponesi. Il nostro simpatico eroe, in gatta buia conosce un combattente dell’Esercito rivoluzionario del popolo coreano ed ammaliato dal suo spirito e dal suo ideale politico decide di seguirlo evadendo così di prigione e diventando un eroico combattente della nazione contro gli invasori giapponesi.
 
Il film stravolge volutamente i reali fatti storici e mostra i nord-coreani, guidati da Kim Il-sung, come i veri liberatori della patria (non menzionati i sovietici o gli americani). La pellicola
quindi vuole sconfessare innanzitutto il governo sud-coreano ed il suo presidente Syngham Rhee, giustificando pertanto la successione della Corea del Nord nella linea legittima della storia nazionale e soprattutto iniziare a glorificare la figura del grande leader Kim Il-sung (operazione poi perseguita in pompa magna dal figlio Kim Jong-il, figura illustre del cinema nord-coreano).
 
La parte iniziale del film mostra poi un altro aspetto chiave del cinema nord-coreano ossia la totale riluttanza ad un sistema classista, sistema da combattere con ogni mezzo possibile ed ecco che vediamo una certa presa di coscienza socio-politica del protagonista che si ribella al latifondista. Interessante notare come il suo attacco sia quasi tutto in ellissi e fuori campo e non perché il gesto sia da condannare ma solamente perché il ragazzo non ha ancora del tutto compreso il suo ruolo all’interno della nascente Corea del Nord (quindi ancora non ha senso esaltarlo) e solamente quando conoscerà il rivoluzionario e quindi apprenderà il pensiero politico del grande leader allora potrà dirsi realizzato ed il tutto verrà confermato dalle immagini.
Kang Hong-sik sfodera pertanto una regia politica altamente simbolica, non a caso Kim Il-sung ha sempre ripetuto quanto sia importante il cinema nell’istruire le masse, e l’inizio orami è storia (almeno dalle parti di Pyongyang).
 
La prima immagine di My Home Village è una sorta di establishment-shot sul Monte Paektu (è un modellino in scala) ripreso mentre ruota su sè stesso; il regista propone subito una doppia metafora. Il cerchio è simbolo di “inizio”, di quello che è vita e di ogni cosa, è lo schema della genesi in cui tutto c’è e da cui tutto parte. Stesso identico discorso per Monte Paektu, montagna iconica del Paese, da cui ha origine tutto ciò che è autenticamente coreano (leggenda vuole che il primo re di Corea sia nato proprio su questo monte 5000 anni fa).
 
È scontato quindi che la liberazione dai giapponesi ed il centro nevralgico dell'esercito di Kim Il-Sung non potessero che avere luogo proprio dalle sacre pendici del monte Paektu (dopo l’evasione dal carcere Gwan Pil ed il soldato rivoluzionario si dirigono sul monte Paektu dove ad aspettarli troveranno altri guerriglieri, armati fino ai denti).
Kang Hong-sik continuerà con una regia a falde a scopo politico-didattico spesso interessante, altre volte assai ripetitiva e didascalica.
Pensiamo al frangente in cui Gwan Pil è in carcere; Kang Hong-sik piazza un long take con carrellata laterale che riprende una serie di celle piene zeppe di coreani, ripresi di spalle con la testa china.
Carrellata ripetuta poco dopo ma questa volta con la camera al di là delle sbarre e quindi enfatizzando ancora di più la loro condizione di oppressione ma appena ascoltano le parole del rivoluzionario (che cita il grande leader) sembrano quasi rinati ed iniziano a ribellarsi urlando a squarciagola (significativi i dettagli sulle loro bocche urlanti).
Il messaggio del regista è lampante: i coreani potranno salvarsi solo se ascolteranno un grande leader come Kim Il-Sung.
 
Pochi minuti dopo il film cerca di incanalarsi verso i lidi del war-movie ed ecco che emerge l’esperienza del cineasta nel rimescolare alcuni stilemi tipici dei film d’azione tra cui un fulmineo assalto al treno senza però dimenticare di inserire i fini ideologici: i giapponesi sono cattivi quindi brandiamo i fucili e sotto la guida del grande leader attacchiamo a più non posso.
Questo momento è sicuramente il più interessante e scorrevole preceduto da sparatorie ed incalzanti inseguimenti.
 
Non si può dire lo stesso della parte centrale, molto noiosa e “convenzionale”, con l’attenzione che torna sul villaggio di provincia oppresso dalla presenza giapponese.
Sempre sul discorso tecnico, il regista ricorre spesso a movimenti selettivi e zoomate verso i volti degli attori con funzione tensiva/comunicativa, enfatizzando o la loro malvagità (giapponesi) oppure il loro valore ed l’eroismo (i coreani dopo aver compreso l’importanza del leader e della lotta di classe).
 
Nel finale invece Kang Hong-sik prova ad imitare, molto alla buona, un certo stile magniloquente tipico Leni Riefenstahl proponendoci inquadrature dall’alto con migliaia di coreani in riga e con le bandiere issate, il tutto alternato a primi piani sui volti sorridenti e fieri dei vincitori) oppure filmati d’archivio che riprendono un giovane Kim Il-sung.

Prima di terminare l’analisi due chicche:
 
1)La madre del protagonista è Mun Ye-bong (attrice del Sud trasferitasi al Nord).
 
2) Il partito ha di fatto redatto una scansione temporale per cercare di catalogare e studiare la propria storia del cinema e questo film rientra nel cosiddetto periodo della “costruzione pacifica” che va dal l’agosto del 1945 al giugno del 1950.
Concludo riportandovi un estratto raro di un testo ufficiale nord-coreano che presentava il film ai telespettatori (qui si ringrazia Dario Tomasi):
 
«Il film mostra l'infinita gioia ed emozione del popolo nordcoreano liberato dal giogo dell'imperialismo giapponese grazie alla lotta del glorioso esercito creato e guidato dal grande leader e compagno Kim Il Sung».

Ultimo ma non ultimo My Home Village in patria è stato insignito con il Premio del popolo, assegnato alle pellicole che soddisfacevano ai requisiti di un “eccellente libro di testo” del partito.
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