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Mai più violenza contro le donne
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L’ho fatto perché l’amavo. È la frase che spesso, come un mantra, si sente ripetere nei commissariati delle forze dell’ordine o nelle aule di tribunale. A pronunciarla sono ex mariti, compagni, fidanzati, padri, amanti o figli. In comune, hanno il genere: sono tutti uomini. Incapaci di lasciare andare colei che ha deciso di dare un taglio netto al passato, che ha voluto riprendere in mano la sua vita, che ha rifiutato un’avance, che ha detto no a un rapporto sessuale, una donna. Le spiegazioni rasentano talvolta l’inverosimile così come i moventi, tutti dettati dal troppo amore.

Eros e Thanatos, secondo la mitologia greca, sono facce della stessa medaglia. Amor e mors, un prefisso e un suffisso secondo i latini facevano la differenza. Follia pure se invece si analizzano gli sconcertanti dati messi a disposizione dalla Direzione centrale della polizia criminale. 89 casi al giorno: questa è la cruda fotografia della situazione italiana. Se l’omicidio appare come l’atto estremo, non meno gravi sono gli altri tipi di abusi che si verificano tra le pareti domestiche, negli ambienti di lavoro e nei contesti familiari allargati. I soli femminicidi, alla data del 26 ottobre 2021 fanno segnare un +7,5% rispetto al 2020: un dato allarmante che, da solo, deve indurre a una più netta presa di posizione. Lombardia, Veneto e Lazio, le regioni che tristemente hanno la percentuale più alta: un primato che sorprende e preoccupa. e da questo dato manca la percentuale dei casi di stalking, stupro e violenza verbale o fisica. Non è il contesto, come erroneamente si può pensare, a portare gli uomini a spingersi oltre il limite della ragione. È l’idea di possesso che invece dovrebbe far ragionare. Tu sei mia, una delle frasi che banalmente ci si scambia tra innamorati, si trasforma irrevocabilmente in una condanna a morte solo perché la destinataria ha deciso di riprendere in mano la sua vita, stanca di qualcosa che amore non è.

Il 25 novembre è la Giornata contro la violenza sulle donne. Cinema e televisione se ne ricordano con proposte diverse tra loro. Mentre in sala approdano Beginning e La festa silenziosa e Sky propone la docuserie Sarah. La ragazza di Avetrana, Rai Play mette a disposizione una puntata molto particolare di Ossi di seppia, quello che ricordiamo dedicata a Sara Di Pietrantonio, uccisa a 22 anni. Per chi non la conoscesse, Ossi di seppia, quello che ricordiamo, prima serie Tv non fiction dell’era post pandemia prodotta da 42° Parallelo, è una esplorazione emozionale del passato che, in ventisei puntate e altrettanti eventi (che si avvalgono del repertorio tratto dalle Teche Rai e dagli archivi fotografici) ripercorre quei fatti che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese, che hanno segnato le nostre vite e che rimarranno appunto… quello che ricordiamo.

L’episodio Sara Di Pietrantonio, un femminicidio racconta di quella notte, fra il 28 e il 29 maggio del 2016, nel quartiere della Magliana a Roma, quando la ragazza di soli ventidue anni viene uccisa e poi bruciata dall’ex fidanzato. A rendere ancora più drammatici gli eventi è il fatto che a rinvenire il corpo carbonizzato della giovane è la mamma. Quella mamma che, ascoltata in Questura dalla Polizia, ha fatto per prima il nome di Vincenzo Paduano, allora ventisettenne. Per lui, nei mesi scorsi, la Suprema Corte di Cassazione ha emesso la condanna più severa, il carcere a vita, ritenendolo colpevole dei reati di omicidio pluriaggravato e stalking.

È un sabato sera come tanti altri. Sara sta tornando a casa, ma non sa che il suo ex fidanzato la sta pedinando. Il ragazzo, una guardia giurata, è morbosamente geloso e non accetta di essere stato lasciato. Ha programmato quella macabra fine portando con sé l’alcool per appiccare il rogo e ucciderla. Mentre Sara percorre via della Magliana viene quindi speronata da un’altra auto ed è costretta a fermarsi.

Dall’altra auto scende proprio Vincenzo Paduano che sale nella sua macchina. I due presumibilmente discutono. Lui le versa addosso il liquido infiammabile. Sara scende dall’auto, si sbraccia, cerca di sfuggire al suo destino. Ma nessuno si ferma. Vincenzo la raggiunge e si scaglia su di lei con una violenza inaudita. Sara perde i sensi e lui la accatasta sotto alcune foglie, al bordo della strada, e le dà fuoco.

In questura, agli agenti, Paduano confessa l’omicidio solo dopo estenuanti ore di interrogatorio, di fronte a prove schiaccianti. “Le stava addosso sempre. Ovunque c’era Sara c’era lui. E questo dal primo giorno… E non si può parlare di amore, amore malato, amore morboso, amore geloso. Perché la parola amore non può essere accostata alla parola assassino”, racconta Maurizia Quattrone, vice questore aggiunto della Polizia di Stato, fra le prime a giungere sul luogo del delitto e voce narrante della puntata.

Frame dalla puntata di Ossi di seppia.

 

Sulla questione sarebbe interessante, alla luce di recentissimi fatti, aprire una parentesi sulle disposizioni del nostro ordinamento giudiziario. È arrivato il momento di inasprire le pene e di non lasciare all’interpretazione dei singoli giudici l’analisi dei casi. È arrivata l’ora di chiedere alle forze dell’ordine di intervenire tempestivamente in caso di denuncia: è inammissibile che una minaccia, uno schiaffo o una frase, si trasformino in una condanna a morte solo perché le parole di una donna rimangono inascoltate o sottovalutate. È arrivato per tutti noi l’istante in cui dobbiamo fermarci a osservare chi ci sta intorno: non si può rimanere inermi di fronte a comportamenti che nell’ottica comune non ci appartengono. Il femminicida è il padre di famiglia della porta accanto, è il fratello che ha ridotto in sudditanza psicologica la moglie, è il marito che all’apparenza è “tanto un brav’uomo”, è il figlio che non ci ha mai deluso. Dobbiamo tutti alzare la voce e dire “basta!”, anche quando quel basta non ci tocca o comporta violenza. Chi ti ama non ti picchia non è solo uno slogan da Barbara d’Urso o da mille altri salotti televisivi: deve sostituire quel tu sei mia, quel malsano concetto di amore, per trasformarsi in nuova coscienza collettiva.

1522 è il numero di telefono a cui le donne possono rivolgersi per denunciare ma occorre che dietro a quel numero ci siano operatori, agenti, psicologi, assistenti sociali e giudici, che sappiano cosa fare e che proteggano, nel vero senso della parola. Ma non solo: dobbiamo esserci tutti noi. Guardando al di là del nostro fossato, dobbiamo imparare a rompere il muro dell’omertà e della diffidenza, a mostrare solidarietà e fermezza. Mai più è l’obiettivo: mai più Sara Di Pietrantonio. Difficile da concretizzarsi ma, passo dopo passo, dobbiamo tentarci ricordandoci che la prossima vittima potrebbe essere accanto a noi. 

Sara Di Pietrantonio.

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Pietro Cerniglia per Mondadori Media S.p.A.

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