Espandi menu
cerca
Venezia 2021: Giorno 10
di Redazione
post
creato il

L'autore

Redazione

Redazione

Iscritto dal 20 novembre 2012 Vai al suo profilo
  • Seguaci 229
  • Post 500
  • Recensioni 1
  • Playlist 1095
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La 78ma Mostra del Cinema di Venezia offre l’ultimo film inedito in competizione: Another World, riflessione sul mondo del lavoro di Stephane Brizé. Fuori concorso è invece il turno di Ridley Scott e del suo duello medievale ma tanto glamour e di Ornella Vanoni.

Recensioni del giorno

America Latina di EightAndHalf

Les choses humaines di EightAndHalf

Il cieco che non voleva vedere Titanic di Alan Smithee

Vera Dreams of the Sea di Alan Smithee

Inu-oh di EightAndHalf

Halloween Kills di Alan Smithee

Viaggio nel crepuscolo di EightAndHalf

Captain Volkogonov Escaped di Alan Smithee

Detours di Alan Smithee

Pilgrims di Alan Smithee

------------------- 

CONCORSO

ANOTHER WORLD

EXCL. INTERVISTA AL REGISTA STEPHANE BRIZÉ

Cosa lo ha spinto a raccontare la storia di questo dirigente?

Il film ritrae un dirigente che sta perdendo il senso della sua vita mentre il suo matrimonio si sta disintegrando e che combatte sempre di più per trovare una certa coerenza in un sistema che serve da anni. Un sistema in cui è diventato estremamente complicato per lui imporre gli ordini che riceve dall'alto. Molti dirigenti hanno raccontato al mio co-sceneggiatore Olivier Gorce e a me di come le loro vite personali e professionali vengano gradualmente svuotate si significato perché non viene più chiesto loro di pensare ma semplicemente di agire. Abbiamo voluto dare conto delle conseguenze del lavoro di coloro che sono considerati i primi luogotenenti delle loro compagnie ma che in realtà sono semplicemente individui che si ritrovano tra l'incudine e il martello.

Il film è stato pensato prima della crisi generata dal coronavirus. Tuttavia, ha una fortissima risonanza oggi nel mostrare un sistema essenzialmente incoerente che si sta esaurendo.

Nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare la straordinaria crisi sanitaria che stiamo vivendo. Se da un lato può essere vista come una fonte di caos quasi senza precedenti, dall'altra può essere considerata come un'opportunità per porci delle domande, per trasformare la costrizione in vantaggio e non essere i perdenti della storia. È come quando i nostri corpi o la nostra psiche collassano e costringono la macchina a fermarsi, indicando che abbiamo dimenticato di mettere in discussione qualcosa di essenziale ma intangibile, un punto cieco nella nostra vita. È una metafora del disordine del nostro mondo sulla scala di un individuo: i profondi sconvolgimenti che attraversa il protagonista lo costringono a mettere in discussione le sue azioni, le sue responsabilità e il suo posto all'interno dell'azienda e della sua famiglia.

Sebbene siano riconoscibili gli elementi realistici che caratterizzano il suo cinema, notiamo subito una rottura quasi netta nella messa in scena. In particolar modo, con La legge del mercato e In guerra.

Aggiungerei anche con Una Vita, Une Vie. La messa in scena di questi tre titoli era finalizzata a catturare la realtà. Era un po' come se i personaggi avessero accettato la presenza di una macchina da presa nella loro vita quotidiana. Questa volta, invece, ho voluto reintrodurre un elemento di finzione molto forte, pur continuando a lavorare con un cast di non professionisti al fianco dei tre attori principali: Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain e Anthony Bajon. La videocamera non è più posizionata in un luogo alla "mi metto dove posso": è ora posizionata in un punto da dove può restituire un resoconto molto più soggettivo della situazione, personale o professionale che sia. I molteplici punti di osservazione in alcune scene riflettono la sensazione di accerchiamento, di confinamento del personaggio. I problemi gli arrivano da tutte le parti, non gli lasciano tregua: come un uomo in mare su una barca che fa acqua dappertutto, deve impedire all'acqua stessa di entrare da tutte le fessure.

Quindi, ha usato più camere per certe sequenze?

Tre al massimo, anche se potevano essercene molte di più. Non impongo nessuna posizione prefissata agli operatori di ripresa: lascio loro liberi di riesaminare costantemente l'inquadratura per trasmettere la tensione di certe situazioni. Le scene richiedono molto tempo per essere girate, un tempo molto più lungo di quello che lo spettatore vede alla fine. Il che si traduce in una fatica fisica pesante per tutti. Il mio scopo, moltiplicando i punti di vista, era quello di dare maggior senso di oppressione e soffocamento al personaggio, di far capire che è come se avesse un cappio intorno al collo sempre più stretto.

Come ha costruito la storia?

Ovviamente, non prendo in considerazione l'azienda o la famiglia solo come luoghi di nevrosi, tensioni e violenze. Quando raccontiamo storie di treni che arrivano in ritardo, lo facciamo per capire per quale ragione accada, per aprire delle finestre sul disservizio e trovare risposte. Anche nel mio film, si deve guardare alle ragioni del fallimento. Ho voluto quasi restituire il punto di vista opposto a quello di In guerra, coniugando costantemente sfera privata e lavorativa, personale e professionale. Tutti i dirigenti che Oliver Gorce e io abbiamo incontrato sono stati tutti dimensionati, anche se negli anni hanno eseguito tutti gli ordini che il sistema imponeva loro senza discutere. Hanno lavorato nell'industria metalmeccanica o metallurgica, bancaria, assistenziale, pubblicitaria, assicurativa o cosmetica. Tutti erano dotati di enormi capacità intellettuali o gestionali. Tutti lavoravano per società di proprietà di multinazionali e quotate in borsa. Questi dirigenti ci hanno parlato del loro disagio, della loro difficoltà a gestire la sensazione di essere semplicemente diventati la cinghia di un sistema feroce e pieno di ingiunzioni contraddittorie. Parlavano della loro ansia di non essere all'altezza del compito che ci si aspettava da loro. Non sono carnefici nati che annunciano licenziamenti a cuor leggero ma pian piano sentivano che lo stavano diventando, perdendo di vista il senso delle loro stesse vite. Alcuni hanno avuto un esaurimento, altri hanno perso le simpatie dei loro capi e sono stati messi da parte, e alcuni se ne sono andati prima di crollare. Tutti hanno parlato dell'inevitabile impatto sulle loro famiglie. Philippe Lemesle è uno di loro, un ragazzo ben intenzionato che, sentendosi con l'acqua alla gola, si chiede cosa della sua vita personale meriti di essere sacrificato per il suo lavoro.

E con Another World, siamo catapultati nella vita di uno di questi dirigenti?

Philippe Lemesle si muove tra i vincenti della società, nell’ambiente dei dirigenti d’azienda, della meritocrazia, tra le cosiddette “storie di successo”. Come si può ammettere di provare dolore, di essersi perduti, quando si è parte dell’élite? Lamentarsi apparirebbe vergognoso agli occhi di chi vive in condizioni meno agiate, e un segno di debolezza imperdonabile agli occhi suoi e di quelli come lui. In un mondo simile non si può – non si deve – essere deboli. È vietato, per non correre il rischio di umiliarsi ed essere sostituiti da un altro più giovane e dinamico, o da qualcuno che non metterà in discussione quello che gli si richiede di fare. In un mondo simile sembra che non si possa più godere del diritto di contestare ordini che vengono dall’alto e che in fretta devono essere imposti in basso. Philippe si ritrova dunque in una posizione di enorme solitudine in cui forse non ha più scelta. Ne vale della sua libertà personale, una questione che ovviamente affronto.

Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain

Another World (2021): Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain

------------------- 

FUORI CONCORSO

THE LAST DUEL

LA PAROLA AL REGISTA

"La prima volta che ho sentito parlare dell’ultimo duello legalmente autorizzato disputato nella Francia medievale, ho capito subito che se ne sarebbe potuto ricavare un film potente. E quando ho saputo che Matt Damon, Ben Affleck, e Nicole Holofcener stavano scrivendo la sceneggiatura, non ho avuto dubbi sul fatto che sarei stato io a dirigerlo. Il film mi ha dato l’occasione di riprendere il tipo di storia epica che amo, ma arricchita dai temi del coraggio, dell’inganno e della difesa di una causa che fanno presa sul pubblico di oggi. Il film è la storia di un’amicizia e di un’unione coniugale distrutti a causa di un atto particolarmente crudele e disonorevole, ma è anche la storia del coraggio di una donna che fa sentire la propria voce. È un’opera che fa riflettere, e ne sono particolarmente orgoglioso" (Ridley Scott).

Matt Damon, Jodie Comer

The Last Duel (2021): Matt Damon, Jodie Comer

------------------- 

ORIZZONTI

LA MACCHINA DELLE IMMAGINI DI ALFREDO C.

EXCL. LA PAROLA AL REGISTA ROLAND SEJKO

La storia degli italiani trattenuti in Albania dopo la fine della guerra e l’arrivo del regime comunista è quasi dimenticata, coperta dalla valanga degli eventi che ha travolto centinaia di migliaia di italiani in altri paesi. Erano circa 27.000 persone, diventate loro malgrado delle pedine di scambio in un gioco di potere del nuovo regime con l’Italia per il riconoscimento dell’Albania, per le riparazioni della guerra, e per la ricostruzione del Paese.

Durante le lunghe ricerche negli archivi cartacei italiani e albanesi cercavo di trovare una chiave di racconto, la quale, come spesso succede, è arrivata per caso, quando tra le varie liste e documenti conservati nell’Archivio Centrale dell’Albania, in un documento di rimpatrio ho notato un nome che conoscevo: era quello dell’operatore dell’Istituto Luce in Albania.

Alfredo Cecchetti non è un nome importante tra gli operatori cinematografici del Luce, appare solo nei documenti della sede dell’Istituto Luce a Tirana e a Roma, e nei titoli di coda dei documentari girati durante il fascismo a Tirana. Ora il suo nome, con tanto di firma, lo trovavo in un documento indirizzato al Ministero della Stampa, Propaganda e Cultura Popolare del Governo Democratico dell’Albania. “Il sottoscritto Alfredo Cecchetti, operatore foto-cinematografico presso codesto Ministero, chiede di essere rilevato dal suo compito per poter rimpatriare in Italia per ragioni familiari”.  Dichiarava tra altro di avere svolto bene il suo compito come operatore e di avere dato “istruzioni che possiamo chiamare anche lezioni” al compagno MAK, pseudonimo di Mandi Koçi, il primo operatore cinematografico albanese, il cui nome si troverà dalla fine degli anni Quaranta su quasi tutti i documentari di propaganda albanesi.

È nata da qui l’idea di raccontare la storia degli italiani trattenuti in Albania attraverso l’occhio dell’operatore dei due regimi opposti. L’uomo con la macchina da presa dei due regimi era il testimone per raccontare per immagini una storia caduta nell’oblio, una storia scritta in pellicola, la quale, come la memoria, rischia di svanire.

Oblio e memoria, sono diventati così uno dei temi del documentario nella forma di centinaia di rulli di pellicole, una moviola inceppata, una cinepresa, una pressa da montaggio, un passafilm, e altri attrezzi dai nomi affascinanti. La macchina delle immagini di Alfredo C. è ognuna e allo stesso tutti questi strumenti insieme. Il deposito sotterraneo di pellicola era diventato il luogo dove ora, con tutti i film e gli strumenti, la possibilità di accedere al passato, era più facile che in altri territori.

“Mi devi portare a visitare questo deposito” mi disse un amico e collega dopo avere visto una delle versioni iniziali del film. Quale complimento migliore per tutto il gruppo di scenografia e dei maestri di costruzioni scene di Cinecittà dove il film è stato girato. Nel film si trova un insieme di vari magazzini del Luce, di celle a prova di esplosione, di scatole originali e pellicole vere dell’Istituto Nazionale Luce, di strumenti di montaggio di novant’anni fa, di una moviola degli anni trenta unica in Italia, gentilmente offerta dalla famiglia Prevost e rimessa a funzionare, di una cinepresa, la Parvo Debrie, modello L, in dotazione agli operatori Luce, la stessa cinepresa con cui il Duce si fece fotografare nella sua posa da operatore cinematografico nella famosa gigantografia “La cinematografia è l’arma più forte”. Era doveroso, e non solo per ragioni stilistiche, girare questo film in pellicola.

Questa storia non poteva essere raccontata senza quegli immensi giacimenti di memoria che sono gli archivi cinematografici. Prima di tutti l’Archivio Storico Luce dove ho la fortuna di lavorare, e dove ho potuto eseguire ricerche su materiali eccezionali, alcuni dei quali inediti. L’archivio del film d’Albania, che conserva con premura la memoria visiva del paese, ha avuto la stessa importanza nella costruzione della parte albanese così come la ricerca in altri archivi da Londra a Mosca ha aggiunto altri preziosi metri di pellicola al film.

scena

La macchina delle immagini di Alfredo C. (2021): scena

------------------- 

GIORNATE DEGLI AUTORI

SENZA FINE

LA PAROLA ALLA REGISTA

"Io: Che significa fare un film su di te? Lei: Un film sulla mia vita; fino a un certo punto è reale poi è irreale. È come una fiaba, è bello finire la vita in una fiaba.

Così nasce questo film che è la ricerca della giusta distanza per raccontare Ornella Vanoni: interprete, attrice, madre, figlia, donna. Fragilità, coraggio. Allegria. Tanta musica. Oggettività e intimità si rincorrono, il film che ho in mente e quello che mi suggerisce, dialogano una lingua a tratti limpida a tratti impossibile, producendo un terzo film che comprende entrambi.

La lontananza del mito è interrotta dalla vicinanza del cellulare, le confessioni confondono dentro e fuori, scena e fuoriscena sono la stessa storia. Perché con Ornella non c'è tempo di pensare, si può solo fare. E poi scoprire che fare è un modo di pensare. E di raccontare, anche una fiaba, anche la vita" (Elisa Fuksas).

Ornella Vanoni

Senza fine (2021): Ornella Vanoni

 

TONINO DE BERNARDI - UN TEMPO, UN INCONTRO

LA PAROLA AL REGISTA

"Dopo molti anni in cui desideravo raccontare Tonino De Bernardi è capitato che Tonino sia venuto a trovarmi a I Cammelli per parlarmi del nuovo progetto filmico al quale sta lavorando. È scattata la scintilla che ha determinato la comune decisione di avviare questo progetto per me molto importante: raccontare una storia di cinema indipendente, quella di Tonino De Bernardi al quale sono legato da un'amicizia nata trentacinque anni fa. Azione per me necessaria per testimoniare e raccontare una figura mitica del cinema underground e indipendente italiano che è stato in grado con grande determinazione di realizzare un progetto artistico unico nel panorama nazionale" (Daniele Segre).

Tonino De Bernardi

Tonino de Bernardi - Un tempo, un incontro (2021): Tonino De Bernardi

 

TRASTWEST

LA PAROLA AL REGISTA

"Trastwest nasce per uno strano scherzo del destino. Nell'ultimo periodo di zona rossa, a marzo, ho assistito casualmente a una scena che aveva dell'assurdo. Due uomini di una certa età, in una Roma deserta, soli in piazza San Calisto a Trastevere, si stavano affrontando in un duello a fuoco con due banane in mano come armi. Giocavano come bambini. Uno dei due, che è solito girare in bicicletta regalando musica al suo passaggio, lasciava suonare da una cassa Per un pugno di dollari che faceva da colonna sonora. La scena mi è sembrata surreale e poetica allo stesso tempo e istintivamente ho iniziato a filmarla… a rallentatore… poi la voglia di continuare… allo stesso modo: rallentato come il tempo che ci circondava in quel periodo. Gli altri personaggi quasi magicamente sono spuntati fuori pronti a raccontarsi. Senza parole, solo con i loro volti e la loro presenza.

Gente che rimane tanto spesso nell'ombra.

Ho deciso di girare su di loro e con loro. Di seguirli a casa (chi ce l'ha), per strada, di evocare l'esistenza che hanno perso e osservare quella che vivono. Con umiltà, discrezione e delicatezza. La "sceneggiatura" si è scritta da sola nell'osservazione degli eventi che accadevano in quei giorni. I miei protagonisti sono senzatetto, zingare, personaggi emarginati. Stravaganti che escono dalla razionalità. Ma anche artisti, musicisti, gente che ha viaggiato, lavorato, avuto famiglie. Alcuni di loro poi sono inciampati. Qualcosa nella loro vita è andato storto. Un ingranaggio si è inceppato e si sono persi. E poi ritrovati e poi persi ancora. Di certo, ognuno custodisce in sé un passato profondo che si legge negli occhi. Ecco, con questo piccolo film sono voluto andarli a ritrovare. Farli sentire nuovamente in gioco. Partecipi. Protagonisti. È un piccolo omaggio.

Questo è Trastwest: un duello tra follia e ragione, tra la nuova Trastevere e il vecchio West" (Ivano De Matteo).

scena

Trastwest (2021): scena

------------------- 

10. Continua

 

Venezia 2021: Giorno 1

Venezia 2021: Giorno 2

Venezia 2021: Giorno 3

Venezia 2021: Giorno 4

Venezia 2021: Giorno 5

Venezia 2021: Giorno 6

Venezia 2021: Giorno 7

Venezia 2021: Giorno 8

Venezia 2021: Giorno 9

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati