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Grandi amicizie, piccoli film. E una mucca.
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Ci sono film che mi sequestrano fin dalla prima inquadratura. Poi magari possono anche deludermi, in qualche momento del viaggio, ma quell’impronta rimane fino alla fine, una specie di peccato originale che probabilmente condiziona il giudizio finale.
In fondo mi succede la stessa cosa con le persone, siano esse amici o compagne e compagni di strada, non è detto che tutto il percorso abbia la stessa intensità o lo stesso registro folgorante ma di certo il seducente momento del primo incontro resta sempre presente anche se, col passare del tempo, non sono più neanche in grado di ricordarlo esattamente. Ma non importa, la memoria non è tutto. E comunque i fatti sono solo la carcassa di qualcosa che chiaramente avviene in uno spazio privato.

E quel gigantesco cargo che attraversa lo schermo da sinistra a destra occupandolo quasi tutto, nella prima sequenza di First Cow di Kelly Reichardt, con la lentezza tipica dell’imbarcazione che solca un ampio fiume si è preso tutto il tempo necessario perché potesse scavare sia nella mia passione perversa per le imbarcazioni pesanti e massicce sia per potervi agganciare una serie di pensieri sulle mercanzie che vi vengono trasportate, sulla loro destinazione, sui maneggi che ci stanno dietro. Quella sequenza asciuttissima a camera fissa in cui il cargo occupa lo schermo, è, per la mia personale sensibilità, la dimostrazione che il valore che attribuisco ad un film non sta solo in quello che viene mostrato ma in tutti i pensieri, le domande e le risposte che quel che viene mostrato produce. Se poi sono sbagliate (le risposte), meglio ancora. A volte è più importante alludere, giocare con lo spettatore, lasciare intravedere e poi nascondere ma, soprattutto, spiegare poco, il meno possibile.

 



Un esercizio di sottrazione che sui film che si occupano di una piccola storia e che si prendono tutto il tempo necessario per raccontarla, riesce benissimo e produce un circolo virtuoso, una specie di gioco interattivo tra autore e spettatore. Quando questo gioco riesce, ossia quando l’autore riesce a tessere questa tela comune con lo spettatore, tutto diventa possibile, ogni dettaglio acquista dimensioni cosmiche e il racconto di una storia che si svolge duecento anni fa nell’ostile natura dei territori dell’Oregon sembra parlare delle nostre periferie. E il sodalizio dei due personaggi principali Cookie e King-Lu non è solo una “bella storia di amicizia” ma è la storia di come l’amicizia e la solidarietà siano le componenti fondamentali per innescare il meccanismo del desiderio di un mondo possibile, possibilmente migliore. E per rivelare, fosse anche solo per un meraviglioso attimo, una via di fuga dall’opprimente squilibrio in cui il nostro mondo post-capitalistico si dibatte. Essere poveri nell’Oregon dell’800 era esattamente come essere poveri oggi: per uscirne non basta un’idea, serve un prestito. O un crimine.

Poco importa se il crimine è rappresentato “solo” dal mungere una mucca di notte, sottraendo il prezioso latte per produrre degli appetitosi dolcetti da vendere al mercato il giorno dopo. Quel che conta è che guarda caso l’unica mucca, appunto la prima mucca del titolo, è in mano all’unico benestante della zona. Non si scappa dal cappio dell’ingiustizia sociale. L’amore con cui Cookie realizza i suoi dolcetti è pari alla bravura con cui King-Lu tratta con i clienti al mercato, ma tutti e due pensano solo a fuggire, tutti e due pensano solo a fare abbastanza soldi per ricominciare in un altro luogo, a nessuno dei due viene in mente che la cosa migliore da fare sarebbe quella di chiedere al - tra l’altro golosissimo - proprietario terriero inglese (Toby Jones, straordinario come sempre) di aiutarlo a gestire la mucca, di farlo partecipare all’iniziativa (un litro di latte a noi, un clafoutis per te il giorno dopo). Purtroppo il peccato originale del cosiddetto Sogno Americano non si basa solo su un crimine ma anche su una certa quota di stupidità (o di cieco, sterile, atavico antagonismo) che riduce la prospettiva ad una mucca da mungere, finché si può. Al massimo, si muore.

First Cow, visibile in streaming su Mubi da qualche settimana, è davvero un piccolo film pieno di discrete sorprese, un film che cerca di costruire un’intesa con lo spettatore sulla base di silenzi, sguardi e dettagli, nello stile minimalista e al tempo stesso molto intimo così caratteristico della regista Kelly Reichardt. Una pellicola probabilmente non esente da difetti e da qualche debolezza che si fa voler bene esattamente come il compagno di strada che ti ha folgorato molto tempo fa con una battuta azzeccata, con un silenzio significativo, con uno sguardo complice.

First Cow è molto di più di un piccolo film sull’amicizia, è un grande amico in forma di film.

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