Espandi menu
cerca
FESTIVAL DI CANNES 2021: Caro Diario.
di luabusivo ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

luabusivo

luabusivo

Iscritto dal 28 luglio 2014 Vai al suo profilo
  • Seguaci 12
  • Post 60
  • Recensioni 67
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

                                        

 

Prima di partire per Cannes 74 le mie indecisioni viaggiavano a mille! Il vaccino facoltativo, il tampone obbligatorio, la scorta di mascherine, un dubbio atroce tormentava le mie notti: cosa richiederanno i francesi per poter entrare nel più importante Festival Cinematografico del Mondo? Alla stazione ferroviaria di Mentone le prime avvisaglie della Gendarmerie più nervosa del solito, un ragazzo dalla dubbia provenienza geografica viene invitato a scendere dal treno in malo modo. Il riflesso dorato de la plage di Eze illumina il finestrino, nella la domenica di luglio che ho scelto per approdare a Cannes. La Gare Cannoise è semi deserta, nessun controllo mi attende. Prendo posto in albergo e migro verso il Palais alla ricerca del badge e scopro con disappunto che i francesi hanno scombussolato tutto: non si scende sotto il Palais per ritirare il documento salva Festival, il luogo di consegna è a La Gare Marittime ma occorre il certificato vaccinale.

 

 

                                          

  

La signorina mi spiega molto gentilmente che il test salivare è obbligatorio solo per gli accessi al Palais e ad alcune sale, due in tutto. Giro intorno e nei pressi del Pantero scopro che hanno predisposto una mega struttura, con tanto di gabbiotti autonomi, boccettina di plastica monouso e nominativa, tappo rosso. Prima della sputacchiata, occorre scaricare sul cellulare il QR code, un procedimento banale se non fossi il protagonista: Maria, che andrà a XX miglia per godersi la finale, si commuove e mi risolve tutta l’operazione. Non mi resta che sputare, consigliano abbondantemente almeno tre tacche e cominciare il mio tour cinematografico.

                                           

(il cast di Lamb)

 

Per le 14,15 ho strappato un last minute alla Quinzaine, il regista rumeno Radu Muntean presenta "Intregalde" che racconta tra dramma e mistero, le vicissitudini di un gruppo di volontari umanitari che restano bloccati in una zona di montagna inaccessibile, Intregalde appunto. L’incontro con una persona anziana dalla personalità compromessa, metterà in forse una serie di certezze che sembravano incrollabili: solo Maria renderà la vicenda un motivo di crescita.

                                         

 (il cast di Intregalde)

 

Il numero dei presenti al Festival è di gran lunga inferiore agli altri anni, non si era mai vista la Croisette così vuota e facile da percorrere in lungo e in largo, questo facilita gli spostamenti dei non sportivi. La dematerializzazione del biglietto dapprima appare macchinosa, presa la mano devo ricredermi, disordinato cronico riesco a programmare la settimana visione per visione, lasciando pochi vuoti. Molte le bandiere e le magliette della Nazionale, gli Italiani spiccano per colore e rumore, con il trionfo sul campo la bagarre raggiungerà l’apice: lo sciovinismo francese cede il passo alla nostra qualità tecnica e molti di loro festeggiano con il tricolore in mano, caroselli d’auto e di persone, clacson e trombe a tutto spiano.

 

                                         

 (la coda per il test)

 

Lo Studio 13 lo raggiungo in autobus, ho prenotato "Piccolo Corpo" di Laura Samani, sezione Semaine de la Critique. Il desiderio di vedere questo film nasce dall’incontro con Laura al Film Lab di Torino: ne avevamo parlato a lungo in compagnia della produttrice Nadia Trevisan della Nefertiti Film, delle difficoltà del progetto e di questa storia poco conosciuta a proposito dei Santuari per i bambini nati morti, dell’ultimo respiro per potergli dare un nome. Devo dire che il film è riuscito, la regista Laura Samani ha fatto un eccellente lavoro di ricostruzione dell’epoca storica e dei sentimenti dei protagonisti, con il dialetto friulano dei primi del ‘900 per mettere in cornice una storia tragica dai contorni fiabeschi. Ottima prova Laura.

 

                                         

(Tim Roth e Mia Hansen-Love)

 

Per concludere la pima giornata a Cannes, mi sono regalato "Bergman Island" della regista Mia Hansen-Love, in Competizione per la Palma d’Oro. È un film super consigliato ai cinefili, un omaggio senza pudore ad Ingmar Bergman e al suo mondo. Le isole, la casa, la spiaggia e i ricordi degli abitanti di Faro in Svezia, luogo nel quale giace il grande regista di "Scene da un Matrimonio" ed altri capolavori, fanno da sabbie mobili per il rapporto tra Chris e Tony, registi in cerca di ispirazione che finiranno per sprofondare nel vuoto sentimentale della routine, finendo per confondere ricordo e realtà. Grande cadeau al grande cinema con attori internazionali di alto livello. Premio quasi certo.

 

                                           

(Tim Roth e Vicky Krieps)

                                           

Il primo giorno della nuova settimana si apre con "Tre Piani" di Nanni Moretti. Le famiglie sono tre ma il condominio è lo stesso, così come sono tre i piani di lettura delle vicende narrate: famiglia severa, famiglia allargata (al vicino di piano), famiglia distante. Il regista romano che ha tratto questa storia da un libro, la ambienta nella sua città e sebbene il discorso fili liscio, gli attori sono nel personaggio e la regia non tradisce l’aspettativa, secondo il sottoscritto, qualcosa manca a questo film, per farlo diventare un capolavoro di Nanni. Beninteso che vorrei che Nanni Moretti facesse un film al giorno!

 

                                          

 

Per l’ora del pranzo piatto ricco mi ci ficco, alla Quinzaine c’è "Futura" film collettivo a sei mani Marcello Munzi Rorhrwacher: bellissimo! Molto molto interessante, sia come documento storico che come stili di regie che convergono.

 

                                          

(Kirill Serebrennikov)

 

Di "Futura" ne parleremo nel dettaglio, devo correre al Grand Theatre Lumiere sta per iniziare a "Petrov’s Flu" di Kirill Serebrennikov: un viaggio tra le miserie e le distorsioni della mente di un ragazzo russo, che vuole ricordare quello che il presente gli sta sottraendo a poco a poco. La Regina d’Inverno lo prende per mano, la dura realtà lo uccide lentamente con una febbre infinita. Alla conferenza stampa il regista Serebrennikov era in videochiamata dalla Russia e ha raccontato della follia di questo film, delle andate e dei ritorni, in un crescendo di richiami alla memoria e alla pazzia del presente. Da vedere.

 

                                           

(il cast di Petrov's Flu)

 

Una buona insalata Niçoise dal Kiosco e si torna in sala, sezione Semaine della Critique per ascoltare le vicende di "Bruno Reidal".

Il regista francese Vincent Le Port fa sua una storia realmente accaduta ai primi del ‘900, una storia che i francesi attendevano che venisse raccontata vista la grande affluenza al Miramar. Bruno Reidal è un adolescente che finirà la sua vita in carcere a soli 30 anni, per aver ammazzato, meglio decapitato, un suo compagno di scuola. La vicenda è brutale tanto quanto lo stile diretto del regista, che ci conduce negli inferi della mente di questo ragazzo cresciuto nella campagna transalpina: la rigidità della madre, la vita agricola con tutte le durezze i campi da concimare il maiale da sgozzare e le grida che non si riescono a cancellare e poi i compagni di scuola, così perfetti, così diversi da Bruno. Opera dai contenuti complessi, prima mondiale ben riuscita.

                                                                                         

                                           

 (il cast di Bruno Reidal)

 

Di ben altro tenore emotivo è la storia che mi attende martedì 13 all’alba, Il giovane regista Yohan Manca lavora nel dramma dell’emarginazione ma con gli occhi aperti alla speranza, quella di Nuor, il bambino che sapeva cantare e che sulle onde sonore di Pavarotti ci porta lontano, via dalla miseria e dal fato ostile delle zone popolari, per vedere un mondo che può cambiare. Molto molto bene Manca, il suo "Mes Freres et Moi" è un film dai toni francesi e i contenuti internazionali.

 

                                             

(il cast di Bruno Reidal)

 

A mezzodì si pranza con Wes Anderson, buio in sala e si riparte da "Grand Budapest Hotel", un grande sogno ininterrotto, sì perché con Anderson la vicenda conta poco, si va al Cinema per vedere il genio del grande artista e "The French Dispatch" è un film grandioso, nel quale tutto è perfetto, tutto è Anderson. Cast da collezione, c’è perfino "Fonzie". 

Film in odore di Premio.

 

                                             

(il regista Justin Choan)

 

Torniamo sulla terra, precisamente in sala Debussy per "Blue Bayou", che affronta il tema degli immigrati in America, più precisamente le incertezze di migliaia di bambini adottati da famiglie americane, provenienti da ogni latitudine del Pianeta, che al compimento della maggiore età possono avere la triste sorpresa di essere rispediti al Paese di origine, senza averlo mai conosciuto il Paese di Origine. Con la sua opera, il regista di origine coreana Justin Chon solleva un coperchio, che le Amministrazioni Usa tengono accuratamente chiuso, una pentola colma di problemi che prima o poi esploderà come dinamite. Ottimo lavoro, temi americani di estrema attualità e influenze del cinema asiatico sono dosati con equilibrio.

 

                                             

(il regista Justin Choan)

 

"The Tsugua Diaries" al Theatre Croisette, mi rimette di buon umore. Girato a quattro mani da Maureen Fazendeiro e Miguel Gomes, il film è il diario giornaliero di un film in tempo di Covid e il colpo di genio è che il racconto parte dall’ultimo giorno di riprese per ripercorrere al contrario quanto è accaduto durante la lavorazione. Un countdown dai toni farseschi, un’opera di impegno con il sorriso sulle labbra. Bravi.

 

                                               

(gli attori di Tsugua Diaries)

                                               

                                                                             (i registi Miguel Gomes e Maureen Fazendeiro)

 

 

Il tramonto mi insegue, domani è Festa Nazionale in Francia, ma il Festival non chiude mai.

 

 

                                               

                                                                      (la regista Julia Ducornau e l'attore Vincent Lindon)

 

Sveglia presto, sembra nuvolo ma è solo una illusione.Grand Theatre Lumiere, "Titane" di Julia Ducournau. Forse non basterebbe tutto il foglio per raccontare le sequenze di questo film estremante violento fin dalla scena iniziale, opera cinematografica che, a detta della regista francese in conferenza stampa, ha la volontà di sancire la supremazia dell’Amore su tutto, sui generi le età i luoghi i tempi le situazioni. Alexia la protagonista, come prototipo dell’Amore senza definizioni, elaborazione dell’Odio e nutrice dell’Amore. Film dai contorni oscuri come i due protagonisti (l’altro è Vincent Lindon), assassini spietati per divenire in fine famiglia, con una forma nuova di genitorialità e identità, temi messi in discussione.

 

 

                                               

                                              (l'attrice agathe Rousselle, la regista Julia Docournau e l'attore Vincent Lindon)

 

Esco estremamente turbato dalla visione di "Titane", anche assistere alla conferenza stampa della regista, presenti Lindon e Agathe Rousselle la ricercata Alexia, non giocano a favore della mia tranquillità: lo spuntone per capelli lo vedo ovunque e "Ghahreman" sta per iniziare. La tragedia degli equivoci imbastita dall’iraniano Asghar Farhadi mi piace e mi riporta volentieri alla mano di Forushande, in italiano "Il Cliente" del 2016. Farhadi teorizza di un Eroe dei nostri tempi televisivi, del potere audiovisivo dei social network, in contrasto con le tradizioni del suo Paese di origine, con la lievità della sua camera mai partigiana, sempre pronta a cogliere con distacco lo scorrere del dramma nel dramma. Molto bene "L’Eroe".

 

                                                

 

Nell’edizione di quest’anno per ovvi motivi, leggi sanitario in primis, le produzioni francesi l’hanno fatta da padrone, sebbene gli ospiti internazionali non siano mancati e a pochi giorni dalla conclusione il risultato della 74ma mi sembra più che positivo.

 

 

                                                

(la regista Ildiko Enyedi)

 

La macchina organizzativa va oliata per questo nuovo assetto, che a parere del sottoscritto assumerà il valore di definitivo, il tapis rouge per restare nella leggenda dovrà essere ristudiato altrimenti rischia di perdere in glamour, per il resto godiamoci la prossima visione, "A Felesegem Tortenete"/"The Story of my Wife" dell’ungherese Ildiko Enyedi, al tutto il resto penserà qualcun altro. La regista Enyedi è piccola di statura ma grandiosa nei progetti, "A Felesegem Tortenete" dura 170 minuti fatti con molta grazia. Tutto è curato nel film, la storia coinvolge e commuove, un film d’altri tempi. I temi son attualissimi, imprevedibilità degli affetti, scorrere sinuoso del tempo e ricerca della solidità affettiva. Il Comandante Jakob come molti di noi, non si era accorto di aver trovato quello che cercava, non gli rimaneva che amare e farsi amare senza guardare cosa c’è dietro, lasciarsi andare un po’ come fanno le balene per volteggiare nel mare profondo della Vita. Bel film a capitoli, magari da ridurre.

 

                                                   

 

Esco dalla sala e sembra di essere in guerra: fuochi d’artificio a tutto spiano è la Presa della Bastiglia.

 

 

                                                    

                                   (il regista Jacques Audiard, l'attrice Noemie Merlant, l'attore Makita Samba, l'attrice Jehnny Beth)

 

Il mattino seguente preparo valigia e biglietto del ritorno, lascio tutto all’entrata dell’alloggio e corro per l’ultima proiezione che ho in programma: Les Olympiades di Jacques Audiard. Bel racconto in bianco e nero, storie di ragazze e ragazzi ambientate a Parigi nel XIImo Arrondissement, nel quale tutto sembra ruotare intorno al sesso ma in realtà il pensiero di Audiard, con la co-sceneggiatura di Celine Sciamma e Léa Mysius, viaggia oltre e colma i nostri vuoti affettivi fatti di incontri fugaci e falsi obbiettivi, mette in discussione remore ataviche e regole nuove, consentendo ai protagonisti di ritrovare sé stessi e la strada di casa. Faccio ancora in tempo a presenziare alla conferenza stampa di Les Olympiades, per ammirare da vicino la vitalità del 70nne Audiard e le sensazioni emotive dei quattro giovani attori protagonisti, che sembrano non uscire dal personaggio in una sorta di catarsi pubblica. Ottimo film e possibile Palma.

 

                                                    

                                                    

                                                   

 

Il tempo a disposizione è scaduto, si rientra a casa con il sorriso in tasca della tawianese Lucie Zhang, govane attrice dal talento cristallino, Emilie nel film Les Olympiades, adieu Cannes o meglio  ????????????????! (in lingua Thai).

 

                                                    

(l'attrice Lucie Zhang)

 

 

 

 

 

Lu Abusivo .

 

 

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati