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In castigo, al buio
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È bella questa ripresa del cinema in sala, anche se non sappiamo nulla. Non sappiamo quanto durerà, non sappiamo come sarà l’estate, non sappiamo se il coprifuoco verrà tolto e le arene all’aperto potranno avere - almeno - un po’ di oscurità, non sappiamo come sarà l’autunno. Ma sappiamo che i film che sono usciti per ora sono tutti titoli interessanti: di quelli che in tempi normali avremmo segnalato con gioia come piccole perle da stanare e che invece ora sono lì, solo loro, in abbondanza.
È che il cinema più commerciale, al momento, sta a guardare. Ok, in un certo senso ogni film è un commercio, ma c’è chi l’amore lo fa per soldi, chi se lo sceglie per professione… e c’è anche chi lo fa per passione.
Tra questi ultimi, a buon senso, o se preferite a naso, io ci metto tranquillamente Woody Allen. Sono legato a Woody Allen, non posso negarlo. Sono cresciuto guardando anche i suoi film. Da molto tempo non li guardo più, nel senso che non vado al cinema appositamente a vederli. Ma questo non cambia il mio giudizio sui suoi film migliori: mai rinnegare gli amori del passato.

Woody Allen, Téa Leoni

Hollywood Ending (2002): Woody Allen, Téa Leoni


Questa settimana - tra i quattro titoli che escono in sala - c’è anche il suo ultimo: Rifkin’s Festival. Un film molto cinéphile, non solo perché si svolge al festival di San Sebastian (scelto, dice Allen, perché è una location bellissima, ma sappiamo che c’è sempre di mezzo un po’ di product placement, e su questo Allen da tempo è stato furbetto), ma anche perché è pieno di citazioni del grande cinema classico, del quale il personaggio principale è un cultore.
Il fatto è che - come il grande cinema classico - il film di Allen si vedrà in sala, solo in sala, e non in tutte le sale. Per il momento è stato proiettato solo in una manciata di Paesi: Brasile, Spagna, Polonia, Olanda, Russia. Ora esce in Italia e Turchia e più avanti sarà in Portogallo e Argentina. Una cosa è abbastanza certa: non lo si vedrà nelle sale degli Stati Uniti, dove Allen è nato e vive. Là il film è stato messo al bando, ma non solo. È partita una vera campagna che oserei a questo punto chiamare diffamatoria - con attori che in passato hanno lavorato con Allen che si sono pubblicamente pentiti di averlo fatto. Weird, si dice in inglese: strano. E straniante.

Il motivo di questo ostracismo? Nessuno. Almeno a stare sentire i giudici americani, che hanno indagato più e più volte Allen in merito alle accuse di molestie sessuali sulla figlia Dylan (adottata con Mia Farrow). Un caso spinoso, lo sapete. Allen aveva infatti appena lasciato la Farrow per sposarsi con la di lei figlia adottiva Soon-Yi Previn e Mia di certo non le prese bene. La capisco: una brutta storia, comunque la si guardi. Ma era un'unione legale, consentita e tra persone adulte e consenzienti. Troppe volte si è affacciato il concreto sospetto che la Farrow abbia manipolato la figlia (che aveva sette anni ai tempi) per avere la sua rivalsa su Allen: il fatto che le indagini di autorevoli commissioni di esperti e psicologi, a più riprese, abbiano concluso che l’accusa proprio non stava in piedi avrebbe dovuto mettere la parola fine alla questione.

Così non è stato. Nel 2018 Dylan, ormai più che trentenne, ha ripreso ad accusare il padre. Intanto come non bastasse Moses, fratello più grande di Dylan, ha da parte sua sostenuto e scagionato Allen e ha anzi accusato la madre di aver sempre abusato psicologicamente di lui e dei fratelli.

Insomma ragazzi, un vero casino: una storiaccia di rapporti famigliari a dir poco marci. Ma - ripeto ancora - senza alcuna condanna. E alla fine quel che conta è ciò che dicono i tribunali.
E tuttavia Amazon Prime, che nel 2019 aveva siglato un contratto con Allen per produrre i suoi prossimi cinque film, il primo dei quali era appunto Rifkin’s Festival, ha deciso che non se ne sarebbe fatto più nulla.
Da qui, la punizione, per un fatto non commesso. Niente film di Allen in streaming. D’ora in poi il povero regista 85enne, se vorrà far vedere un suo film, dovrà farlo vedere nel buio delle sale, in Europa. In castigo. E questa cosa la dice lunga sui tempi che stiamo vivendo.

Alla fine io, se fossi un regista di 85 anni con una carriera di grandi successi alle spalle, un'intelligenza fulminante e un grande dichiarato amore per il cinema classico, lo vedrei quasi come un premio.

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