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Ettore Scola e il fallimento di una generazione
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La nostra generazione ha fallito.Volevamo cambiare il mondo, ma il mondo ha cambiato noi”. 

Questa frase pronunciata dall'insegnante Nicola Palumbo (Satta Flores) in C’eravamo tanto amati, identifica perfettamente una parte importante della filmografia di Ettore Scola

Quando parliamo del regista morto nel 2016, subito pensiamo a una determinata epoca dell’Italia e del cinema italiano: quella che va dagli anni ‘60 e ricopre tutto il resto del ‘900. 

I racconti neorealisti nell’Italia del boom economico sono ormai fuori tempo, parlano di un'epoca importante ma da lasciare alle spalle. Film come “I compagni” di Monicelli (rivalutato col tempo) non hanno successo perché temi come i soprusi dei padroni, la lotta del movimento operaio e le misere condizioni dei suoi componenti si ritengono appartenenti a un’altra epoca (e il film di Monicelli è ambientato alla fine del 1800). Quindi cosa raccontare di quell’Italia così profondamente diversa dal dramma neorealista (e sono passati solo pochi anni…)? Già negli anni ‘50, grazie a Sordi, Totò e Fabrizi, il cinema decide di mostrare personaggi idealtipici che ricoprivano un determinato ruolo: il vigile, il vedovo, lo scapolo, la guardia, il ladro, tutti sotto una chiave velatamente ironica che però portava con sé tutto il dramma di una continua solitudine e incomprensione con l’altro. Ma è nel 1959 con “I Soliti ignoti” di Mario Monicelli che la commedia si fa corale e morale allo stesso tempo. Ha inizio la Commedia all’italiana, un genere che se volessimo riassumere con un solo aggettivo, sarebbe: tragicomico. 

La Commedia all’italiana ha i suoi alti e bassi come qualunque altra cosa, ma è stato il genere che più di tutti ha saputo raccontare l’Italia e gli italiani degli anni ‘60 e ‘70 sotto una forma comica e tragica allo stesso tempo. Sullo schermo si alternano personaggi drammatici (e reali) che si manifestano solo comicamente. Un amaro sorriso è quello che rimane sul viso dello spettatore una volta conclusa la visione di un film di questo genere, che finisce per essere universale, in quanto non serve appartenere a un’epoca per sentire l’amarezza prendere il sopravvento. 

 

Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Tiberio Murgia, Renato Salvadori, Carlo Pisacane

I soliti ignoti (1958): Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Tiberio Murgia, Renato Salvadori, Carlo Pisacane

(I soliti ignoti, Mario Monicelli)

 

(Amici miei, Mario Monicelli)

 

 

Come tutte le cose (almeno così dice il detto), anche la Commedia all’italiana ha un inizio e una fine. Se l’inizio è collocato nel 1959 con I soliti ignoti, la conclusione di questo fortunato genere cinematografico può essere individuata nel 1980 con “La terrazza” di Ettore Scola, film di una drammaticità unica e spietata. 

Proprio Scola è stato protagonista, con "La terrazza" e con "C’eravamo tanto amati", del racconto sulla fine e il fallimento di un’intera generazione. Sono due racconti disperati, nei quali i personaggi si muovono in un mondo che non è più il loro, estranei e senza potere. La loro è una condizione di disagio, di nausea verso sé stessi e il mondo, dove l’unico tempo accettato è il passato, pieno di ricordi ma soprattutto di rimpianti e amarezza. Nessuno ha la meglio: né Giovanni Perego (Gassman), che tradisce gli amici e gli ideali giovanili per quelli borghesi, ma che conduce una vita comunque infelice; nemmeno i suoi due amici partigiani, Antonio (Manfredi), sposato con Luciana (Sandrelli) ma che osserva il sole dell’avvenire ormai prossimo al tramonto, e il professore Palumbo, che inseguendo il suo sogno si è ritrovato solo e senza niente.  

 

(C'eravamo tanto amati, Ettore Scola)

 

 

Ancora più drammatica è la condizione dei personaggi ne “La terrazza”, in quanto il distacco non è solo temporale ma anche, e specialmente, relazionale. I cinque protagonisti si muovono avvolti da una folta nebbia, dalle incomprensione verso il mondo e verso la vita di coppia, e nemmeno nella serate insieme riescono a trovare quella risposta alle loro inquietudini, quella forza che può aiutarli a rialzarsi. Tutti realizzano che il loro tempo è finito, che le loro vecchie strade stanno rapidamente diventando obsolete e che l’unica via percorribile è quella della desolazione. 

Se è vero che la narrazione di Scola si concentra sui personaggi delle sue pellicole, è anche vero che il racconto è soprattutto generazionale. In questi due film, con il mondo prossimo al cambiamento che gli anni ‘80 avrebbero portato al modo di vivere (e ridere), il regista si domanda cosa rimane di quello che la sua generazione ha provato a costruire. La fine di un’epoca porta con sé anche la necessità di tirare le somme su ciò che è stato, e questo sembra essere il primo obiettivo che Scola prova a raggiungere con questi due lavori, il cui risultato è sotto gli occhi tutti: fallimento, totale fallimento. Ha fallito una generazione, hanno fallito gli ideali, le ideologie, gli uomini, la nazione: è questo il ritratto impietoso che emerge dai due film manifesto di un autore che gioca con la nostalgia dei tempi passati e con la consapevolezza di aver fallito il proprio compito. 

E dopo La terrazza, in effetti, tutto sarà diverso. Alcuni di quei registi della Commedia all’italiana (Risi) scenderanno a compromessi con le nuove forme di intrattenimento, volgari e dirette alla pancia dello spettatore; altri (Monicelli) continueranno a manifestare il proprio disprezzo e la propria rabbia contro una società sempre più volgare e disattenta alle dinamiche importanti. 

La comicità negli anni ‘80 prese un’altra strada, senza che quei pochi veramente validi potessero fare qualcosa per arrestare il processo ormai in corso.

Ma con chi te la vuoi prendere?” dice Tiberio (Mastroianni) a Peppe (Gassman) nella scena della pasta ai ceci de “I soliti ignoti”. E infatti con chi prendersela se non con sé stessi e basta, proprio come fa Scola in quelli che sono i ritratti più amari e sinceri di una generazione giunta al capolinea? 

 

Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni

La terrazza (1980): Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni

(La terrazza, Ettore Scola)

 

Il tempo prende e il tempo dà, noi corriamo sempre in una direzione (Guccini), ma quella direzione, il futuro, non ha più bisogno dei personaggi di Scola né dei suoi racconti. I suoi protagonisti appartengono al passato, vivono in quel tempo e nei luoghi chiusi come una terrazza, si reificano e hanno un senso solo nei ricordi e nelle memorie, che spesso finiscono per essere fonti di nostalgie, amarezze e soprattutto rimpianti per ciò che poteva essere ma non è stato. Prima o poi, a quel momento, ci arriveremo tutti. 

Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno (Guccini). 

 

 

 

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