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Il futuro del Cinema
di Alvy
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Discutendo con @CineNihilist, sotto la sua recensione su Tenet, circa il possibile paradossale giovamento artistico che Christopher Nolan potrebbe trovare da un ridimensionamento dei budget delle major a causa della pandemia, mi è sorta lì per lì una domanda, forse troppo enorme e generica per poter trovare una risposta univoca.
 
Qual è il futuro del Cinema? 
 
Ora, che il cinema fosse in crisi da tempo, è cosa arcinota. La pandemia non ha fatto altro che accelerare un processo in atto già da anni: lo streaming legale e illegale ha allontanato le masse dalle sale, che vengono ripopolate solo in occasione di 'film evento' (come quell'obbrobrio di Endgame o il discreto Joker, edizione cinefumetto 36 anni dopo del capolavoro Re per una notte di Scorsese) o di periodi particolari come Natale. Questo lo sappiamo tutti. Il punto, a mio avviso, non è tanto la crisi del 'fenomeno sala cinematografica' in sé perché quel tipo di esperienza molto difficilmente e molto onerosamente può essere pareggiata da sistemi di intrattenimento home cinema: quanti possono permettersi di adibire una stanza della propria abitazione a 'saletta' con proiettori di alto livello, schermi di alto livello, teli di alto livello, audio di alto livello, buio completo h24 etc.? Senza dimenticare poi i costi di manutenzione che, per un privato, a meno che non disponga di un budget davvero elevato, sono davvero insostenibili. 
 
Il punto, secondo me nodale, della questione è la trasformazione dello spettatore medio. Lo spettatore medio si è televisizzato sempre più ed è sempre più abituato a prodotti seriali, non cinematografici. Sì, è vero, la serialità esiste da sempre anche nel cinema, ma in maniera completamente diversa dalla logica degli episodi delle serie. Se, prima, lo spettatore medio, nel dubbio della visione, andava al cinema "perché tanto qualcosa la trovo", adesso spulcia i cataloghi delle piattaforme streaming "perché tanto qualcosa la trovo". Si è verificato un ribaltamento di priorità dovuto proprio al soddisfacimento del 'dubbio della visione': se, fino a dieci anni fa circa, questa esigenza di vedere qualcosa poteva essere soddisfatta recandosi nel cinema d'essai nel centro cittadino o nel multisala a pochi chilometri vicino al centro commerciale "perché tanto qualcosa la trovo", adesso questo dubbio viene risolto mediante gli abbonamenti ai servizi streaming. Il discorso di base è appunto la comodità: perché dovrei pagare €7,50 di biglietto per vedere un solo film in una sala che dovrei raggiungere a piedi/in macchina, magari in inverno, magari con l'ansia del parcheggio o con l'ansia di arrivare in ritardo, quando, aggiungendo poche monete, posso avere un abbonamento mensile ad un servizio streaming legale che mi consenta di vedere una quantità di prodotti talmente elevata da soddisfare la mia "esigenza audiovisiva" dal letto o dal divano della mia casa all'orario che io preferisco, magari al termine di una giornata di studio/lavoro molto intensa e stressante? Lo spettatore medio non ragiona come il cinefilo o come l'appassionato: si poggia sulla comodità. Nel momento in cui la comodità si è spostata dalla sala vicino casa allo schermo del PC o dello Smart Tv in maniera totalmente legale, il cinema inteso come sala cinematografica è entrato in crisi. E la pandemia - con la chiusura protratta delle sale - sta perpetuando questo scenario. Questo cosa sta determinando? Sta determinando, a mio avviso, un radicale cambiamento dei gusti, delle abitudini e (cosa secondo me fondamentale) delle capacità di analisi e di apprezzamento dello spettatore medio. Quest'ultimo, abituato ai meccanismi delle serie tv, entra in crisi (ecco la vera crisi del cinema) nel momento in cui l'essenza della settima arte (concetti molto profondi, scrittura di personaggi, svolgimento della narrazione con eventuali colpi di scena, tecniche di montaggio, gradazione fotografiche peculiari etc.) venga condensata in 90/120/150/180 minuti invece dei 900/1200/1500/1800 minuti delle serie tv. Infatti, spesso si trova disorientato e si domanda "chi è quello" "quando è entrato" "che fa nella vita" "ma non l'ho mai visto prima" "ma come si chiama" "dove siamo adesso? mai visto questo luogo prima" perché è abituato ai meccanismi televisivi in cui molte cose hanno un tempo notevolmente maggiore per essere spiegate e chiarite in ogni ambito e risvolto. 
 
A ciò si aggiungono scelte distributive che - da ignorante in materia, lo ammetto - non riesco a comprendere. Chi ha scorto la mia playlist dei Magnifici si sarà accorto, tra le altre cose, della mia preferenza per alcuni titoli della saga di 007, di cui sono un grande appassionato. Ora, potete immaginare il mio sconcerto per i 3 rinvii che ha subìto il 25º capitolo della serie, No Time To Die (da aprile 2020 a novembre 2020, da novembre 2020 ad aprile 2021, da aprile 2021 ad ottobre 2021): i primi due erano praticamente inevitabili. Ma il terzo mi ha lasciato di stucco. Ottobre 2021? Perché non farlo uscire a fine maggio 2021 e lasciarlo in sala fino a fine settembre? Quando arriverà l’estate, almeno nell’emisfero boreale, la situazione pandemica non potrà non essere nettamente migliore di quella attuale: il SARS-CoV-2 è un virus respiratorio, in quanto tale soggetto alla stagionalità (favorito dal freddo e dalle basse temperature, sfavorito dal caldo e dalle alte temperature). Infatti, l’estate scorsa, la situazione sanitaria è stata ampiamente sotto controllo sia in Italia sia in Europa fino a fine settembre, quando temperature più rigide e ripresa di attività socio-lavorative normalmente sospese in estate hanno determinato un aumento della velocità del contagio totalmente non paragonabile a quella osservata tra giugno e agosto. Proprio per questo motivo, non riesco a capire perché la data di uscita del 25° Bond sia stata posticipata a ottobre 2021, cioè quando il clima autunnale potrebbe nuovamente far peggiorare la situazione, come accaduto la stagione scorsa (sicuramente la percentuale di guariti immunizzati e vaccinati darà una mano enorme, ma sarà sufficiente?). Non a caso, mentre noi - emisfero boreale - eravamo nel pieno della seconda ondata, nell'emisfero australe - dove, com'è noto, le stagioni sono invertite - la situazione era ampiamente sotto controllo grazie all'arrivo della primavera prima e dell'estate adesso. Se facessero uscire il 25° Bond a fine maggio o ai primi di giugno e lo lasciassero in sala per tutta l’estate..... potrebbe essere molto probabile (parlo da ignorante in materia di box office) che Universal e MGM rientrino nelle spese. Certamente non alle cifre che avrebbero incassato in condizioni normali, ma almeno non ci perderebbero: Tenet, uscito a fine agosto, è rimasto in sala fino a fine ottobre e comunque ha permesso alla Warner di rientrare nelle spese. In condizioni normali sarebbe stato un flop certamente, ma in condizioni pandemiche il punto di vista cambia.
 
Cosa è più conveniente per le major? Lasciare un film nel cassetto per anni lanciando continuamente onerose campagne promozionali che non vanno mai a segno perché l'uscita viene rimandata continuamente nell'attesa di un ritorno ad una normalità (?) o mettere in conto di incassare meno? Optare per la prima visione in streaming (peggiore scelta possibile, per i motivi di cui sopra sulla crisi dello spettatore cinematografico)? Come questa situazione si riverbererà sulle scelte strategiche delle case di produzione e sulla poetica dei registi? Come il cinema indipendente ne verrà influenzato?
 
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