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FELLINI 101
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Vittima anche lui del Covid19, il buon Federico si è visto dimezzare le feste appena iniziate per il centenario e dopo due mesi tristemente bandite da piazze, castelli, musei e circoli di cinefili e cinematografari.

Bandiere, striscioni e ghirlande oscillavano lievi al triste vento, niente più kermesse con politici e intelletti vaganti, grande riscoperta dei suoi film sulle reti di ogni ordine e grado, la tv dal divano di casa ha celebrato i suoi trionfi come mai in vita sua (e Sordi ha fatto il resto).

Ora che l’anno è passato e il 20 gennaio pure, ci piace tornare a lui, rivedere in pace i suoi film, (ri)leggere qualcosa che parli di lui, Andrea Zanzotto, ad esempio.

Un anno prima di morire (2010) Zanzotto diede alle stampe “Il cinema brucia e illumina. Intorno a Fellini e altri rari”, un libro che raccoglie articoli e testi sul cinema talora dispersi o inediti.

Una lettura che dire illuminante è poco, diversa dalla pletora asfissiante delle commemorazioni e delle critiche ambulanti.

A lui Federico si era rivolto il giorno in cui decise di girare il Casanova (1976).

Vorrei tentare di rompere l’opacità del dialetto veneto che, come tutti i dialetti, si è raggelato in una cifra disemozionata e

stucchevole, e cercare di restituirgli freschezza”.

Fellini non amava il Veneto, questo si sa, da buon romagnolo naturalizzato romano non poteva “sentirlo”, e chi conosce il Veneto capisce perché. Agli altri lasciamo il beneficio del dubbio.

Ma Zanzotto, Casanova e altri veneti illustri sono patrimonio dell’umanità.

Nell’impasto linguistico caratteristico di tanta produzione felliniana, dove la vocalità diventava quella fisicità che Zanzotto descrive come: “voci-visceri, ventriloquie, movimenti muscolari e nervili”, il poeta trovava profonda sintonia col proprio linguaggio.

E dunque disse sì a Fellini, scrisse i cori di E la nave va, collaborò alla sceneggiatura de La città delle donne, ma soprattutto lo capì come solo un poeta può fare, e con lui capì la forza del cinema, quello in sala, in un mondo che stava rapidamente perdendo i connotati.

“Ma che dolore aver visto sparire in quest’ultimo decennio – scriveva nel 1989 – la stragrande maggioranza delle sale, specie nelle campagne, come se i paesi si fossero spenti tutti del loro Fulgor, Astra, Splendor, rimanendo bui e deserti di notte.”

 

Il vitalismo del mondo felliniano, quel mondo che non si distrugge perché non c’è e i sogni non sarebbero sogni se fossero troppo simili alla realtà, è tutto in una canzoncina che Zanzotto scrisse per La città delle donne:

E’ d’affanno ogni sospiro/ ogni bacio è di vampiro/ ogni letto è di fachiro/ ogni carezza è ortica/ ogni  amplesso è fatica/ ca ca ca zzo fi fi fi ca/ chissà come finirà!”.

E Fellini è tutto qui, nella definizione fulminante di Zanzotto:

“ … un cinema- laser che fa fuori, manda in fumo ciò che non sia verità, appropriandosi anche di questo fumo. E tutto sarà allora un supremo divertimento.”

Soprattutto guardando i suoi “disegni intimi”  Zanzotto coglie un tema chiave del mondo felliniano, tema che coesiste con gli altri temi in una girandola prismatica in cui tutto si scompone e ricompone in un ordine fantastico:

Questa serie di schizzi, disegni, colori in cui prevale un senso libero e giocoso di rappresentazione della fisicità e del suo fervore nell’espressione di un eros intenso e insieme smaccatamente paradossale, deve essere nettamente distinta, ed anzi opposta, alla mostruosa dissacrazione dell’eros oggi in atto. Non c’è nulla che in questi fogli possa essere confuso con l’arido calcolo presente nella pornografia, con la sua mercificazione e banalizzazione totale dell’eros. E Federico non lo dimentica, mentre si lascia andare all’estro fantastico che, a partire dalle vignette giornalistiche remote, sempre accompagnò con pugnaci e deliziosi  disegni e schizzi tutta la sua attività filmica”.

"Il libro dei miei sogni” è la raccolta dei disegni che Fellini ha fatto traducendo i ricordi dei suoi sogni in immagini figurate diventate a loro volta  immagini dei suoi film

Negli anni ’50 egli intraprese un rapporto analitico con Bernhard, analista junghiano, attratto dalla fama di vecchio saggio che questi si portava appresso; Fellini, dal momento dell’incontro con lui, fortificò la convinzione che bisognasse attribuire all’attività onirica, come produttrice di fantasmagorie, un’importanza superiore a quella dell’attività diurna.

Il regista amava ripetere  che, senza l’analisi, non avrebbe potuto affrontare certe cose fondamentali del suo lavoro.

 “ Perché disegno i personaggi dei miei film? Perché prendo appunti grafici delle facce, dei nasi, dei baffi, delle cravatte, delle borsette, del modo di accavallare le gambe, delle persone che vengono a trovarmi in ufficio? Forse l’ho già detto che è un modo per cominciare a guardare il film in faccia, per vedere che tipo è, il tentativo di fissare qualcosa, sia pure minuscolo, al limite dell'insignificanza, ma che mi sembra abbia comunque a che fare col film, e velatamente mi parla di lui. Questo quasi inconsapevole, involontario tracciare ghirigori, fare pupazzetti che mi fissano da ogni angolo del foglio. volti decrepiti di cardinali, e fiammelle di ceri e ancora tette e sederi e infiniti altri pastrocchi. insomma, tutta questa paccottiglia grafica, dilagante, inesausta, che farebbe il godimento di uno psichiatra, forse è una specie di traccia, un filo, alla fine del quale mi trovo con le luci accese, nel teatro di posa, il primo giorno di lavorazione.”

 Oggi che Federico non c’è più ci rimane la sua arte, il suo genio affabile, le parole, gli aggettivi nati da lui, quello spirito indomito e quella Roma che, quando ci capita di abitarla, riconosciamo, era, è così, come lui ce l’ha fatta amare e odiare, vivere  e attraversare.

Per lui, infine, le parole del grande amico poeta:

Ora la Voce è morta (si suppone) e al suo posto si è formato un rumore di fondo sempre più disarticolato eppure invadente e invasivo, una schiuma anonima di chiacchiere e suono-sound, congiunta ad un lampeggiare e scoppiettare di lustrini altrettanto orgiasticamente fasullo, entro l’unità dell’audiovisivo.”

 

 

 

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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