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Gli italiani al cinema: uno sguardo sul passato
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La pandemia che sta impestando il mondo crea inevitabilmente un profondo solco fra quello che era il modo di vivere precedente e quello che sarà e che non siamo in grado di prevedere. Fra le altre cose penso che il cinema ne risentirà molto nei suoi diversi aspetti: la realizzazione, sempre più digitalizzata (vedi il post “deepfake” di boychick)), la distribuzione, chissà se esisteranno ancora le sale cinematografiche, la fruizione, magari anche gli spettatori saranno digitalizzati se si riuscisse a fagli pagare il biglietto (con il progresso tecnologico tutto sembra possibile).

Paradossi a parte, mi è sembrato interessante fare il punto su come gli italiani hanno fruito del cinema, anche per avere un’idea di come potrebbe evolversi (coronavirus permettendo) l’approccio al cinema in futuro, utilizzando i risultati di indagini compiute dall’ISTAT (pubblicate il 27 agosto 2018), anche se non recentissime, con rilevazioni su un campione che rispetta le caratteristiche della popolazione, enucleandone alcuni aspetti che ritengo meritevoli di attenzione (https://www.istat.it/it/archivio/cinema). Da questi dati si potrebbero anche ricavare indizi sull’andamento futuro, che, considerando anche gli effetti della pandemia, non appare roseo.

La rilevazione mostra che nel tempo sono aumentati gli spettatori che vanno al cinema almeno una volta l’anno (dal 40.7% nel 1993 al 49,6% nel 2017), con un evidente calo fra il 2011 e il 2013 dovuto con tutta probabilità alla crisi economica, come confermato dalla linea di tendenza tratteggiata che presenta un andamento oscillante ma crescente, ottenuta con medie mobili (con periodo di 3 anni).

Se il numero complessivo di spettatori tende ad aumentare, tuttavia è in netto calo l’assiduità, infatti, considerando le frequenze di 7 o più volte l’anno e facendo pari a 100 gli spettatori complessivi, gli spettatori assidui sono scesi dal 23,3% del 1993 al 15,5% del 2017 mentre gli spettato saltuari (fino a 6 volte l’anno) sono saliti dal 76,6% del totale nel 1993 al 84,3% nel 2017: la presenza di spettatori in sala tende quindi a rarefarsi costantemente e le prospettive future vanno nella direzione della sempre maggiore occasionalità.

 

La presenza in sala per classi d’età rilevata dall’ISTAT nel 2017 mostra una forte prevalenza delle classi più giovani (fino ai 30 anni d’età), quindi una regolare e costante decrescita con l’aumentare dell’età. Tuttavia, il report dell’ISTAT segnala che la maggiore frequenza dei giovani ha sempre più breve durata, cioè rinunciano al cinema prima delle generazioni precedenti e, nel contempo, aumenta la quota degli anziani (oltre i 65 anni) “assidui”, passata dal 6,3% nel ’93 al 15,2% nel 2017.

 

  La posizione geografica ha influenzato moderatamente la frequentazione dei cinema, con uno scarto del 10% fra il massimo (Italia centrale) e il minimo (Italia insulare), ed è dovuto, probabilmente, al maggiore o minore numero di cinema presenti nelle zone considerate più che ad una diversa propensione degli spettatori. Nella più che probabile ipotesi che la pandemia causi un ulteriore incremento dell’attuale riduzione delle sale, è realistico supporre che il divario fra le zone aumenti.

Per quanto riguarda la partecipazione ad attività culturali e sociali riferite al cinema, il report ISTAT ne sottolinea la maggiore partecipazione delle donne e la maggiore incidenza percentuale dei giovani a blog, social network e forum data la loro maggiore familiarità con internet. Si nota anche la notevole partecipazione degli “anziani” a rassegne e festival.

 

 In merito alle preferenze per generi, pur considerando l’opinabilità di tale classificazione e tenendo conto che ciascun intervistato ha espresso anche più di una preferenza, dai dati rilevati emerge una netta preponderanza dei film c.d. di intrattenimento (commedie, comici, d’azione e avventura) e dei film di animazione e fantasy preferiti dai minorenni. Per una più approfondita valutazione delle preferenze, comunque, sarebbe opportuno conoscere anche i dati quantitativi relativi all’offerta di ciascun genere.

Premesso che anche in questo caso sono state considerate più risposte per una stessa persona, trovo significativo che, a parte la scontata concorrenza della televisione (sulla cui qualità ci sarebbe molto da dire), i fattori limitanti più ricorrenti riguardino l’offerta, cioè la disponibilità delle sale e il costo del biglietto, ed un articolato ventaglio di situazioni personali; hanno avuto scarsa incidenza le altre modalità di visione.

 

In conclusione, tenuto conto delle tendenze pre-covid e dell’impatto negativo della pandemia, non nascondo il mio pessimismo su come evolverà la fruizione dei film, se cioè sarà ancora possibile per il grande pubblico vederli in sala e su quale sarà, in termini qualitativi oltre che quantitativi, la produzione di film. Vorrei sbagliarmi, ma temo che la cinematografia possa fare la fine dell’opera lirica: quante sono le opere scritte negli ultimi sessant’anni e quante di esse sono entrate stabilmente nel repertorio dei teatri e sono conosciute dal grande pubblico?

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