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Venezia 2020: Giorno 8
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Alla Mostra del Cinema di Venezia si proietta l'ultimo titolo italiano in corsa per il Leone d'Oro: Le sorelle Macaluso di Emma Dante. La regista e scrittrice palermitana è al suo secondo film e alla sua seconda partecipazione in concorso. Liberamente tratto da un suo spettacolo teatrale (recuperabile su RaiPlay), il film  vede in scena per l'ultima volta l'attrice Ileana Rigano, recentemente scomparsa. Nutrito il cast: 12 attrici per 5 sorelle.

Il secondo film in concorso batte invece bandiera tedesca e si interroga sulla deriva nazista che le società occidentali stanno (nuovamente) vivendo: And Tomorrow the World Entire di Julia von Heinz.

 

 

Proiezioni odierne: Concorso

LE SORELLE MACALUSO

Sinossi: Maria, Pinuccia, Lia, Katia, Antonella. L’infanzia, l'età adulta e la vecchiaia di cinque sorelle nate e cresciute in un appartamento all’ultimo piano di una palazzina nella periferia di Palermo. Una casa che porta i segni del tempo che passa come chi ci è cresciuto e chi ancora ci abita. La storia di cinque donne, di una famiglia, di chi va via, di chi resta e di chi resiste.

EXCL. LA PAROLA ALLA REGISTA EMMA DANTE

«Il film è diviso in tre capitoli, ognuno dei quali corrisponde a un'età delle protagoniste: l'infanzia, l'età adulta, la vecchiaia.

Le protagoniste di questa storia sono cinque sorelle, di età compresa tra i nove e i diciotto anni. Nel primo capitolo la sorella più piccola, Antonella, muore a nove anni.

Nel capitolo successivo, Antonella continua ad abitare la casa ma mentre le altre sono cresciute lei è rimasta identica all'inizio. Nel secondo capitolo tocca a Maria morire, da adulta e nel terzo capitolo, quando ormai le tre sorelle sopravvissute sono anziane, Antonella e Maria permangono immutate.

Le cinque sorelle sono interpretate da attrici diverse nelle diverse fasi della loro vita.

Ci sono cinque attrici ragazzine nel primo capitolo; quattro attrici adulte più la stessa bambina del primo, nel secondo capitolo; tre attrici anziane, la stessa adulta del secondo e la stessa bambina del primo, nel terzo capitolo.

Nel film, dunque, le cinque sorelle sono interpretate da dodici attrici, come se a ognuna che resiste fino alla vecchiaia dovesse corrispondere una discontinuità e una mutazione nel corpo e nella faccia. L'attrice che interpreta una delle sorelle da giovane è diversa da quella che interpreta la stessa donna adulta. Noi potremmo essere disposti ad accettarlo perché sono due fasi differenti della vita, la giovane e la donna adulta sono persone diverse, sono cambiate.

Nel romanzo L'amica geniale, Elena Ferrante parla delle "smarginature" in cui i confini delle cose si sgretolano e le linee diventano sfumate, irregolari fino a perdere forma. Questa descrizione mi fa pensare a un cancro che riduce gli organi mangiucchiandoli e deformandoli dall'interno lasciando dei vuoti nella pelle, dei solchi che mutano l'aspetto della persona infestata dalla malattia.

Il risultato si vede nel tempo. Non è fulminante. È lento e progressivo come un cancro con cui si impara a convivere.

Questo film non parla di fantasmi, di revenant che tornano dalle viscere della terra, ma di presenze che restano, che non se ne sono mai andate come non se ne va il lampadario del soggiorno a meno che non sia qualcuno a sradicarlo dal soffitto.

Dall'inizio alla fine della storia, la casa è piena di oggetti ottusamente resistenti; oggetti costruiti dai morti e appartenuti ai morti, che probabilmente sopravvivono ai vivi. Come il lampadario, il tavolo, il letto matrimoniale, la finestra, anche le sorelle Macaluso sono ottusamente resistenti.

Nell’appartamento all’ultimo piano di una palazzina in periferia, le cinque sorelle, da anni, fanno sempre gli stessi gesti, come una collaudata partitura. Usano gli stessi oggetti nello stesso modo.

Ci accorgiamo che il tempo è passato dalla loro usura: i cocci di qualche piatto sono stati incollati, sul pavimento graffiato c'è un solco in corrispondenza di un incedere nervoso di Pinuccia sempre identico negli anni, nella vasca una sbeccatura nello stesso punto, la maniglia della porta finestra sistematicamente resta in mano a Katia quando apre o chiude, ma nessuno si è mai occupato di ripararla. Anche il peggioramento persiste come se fosse necessario all’equilibrio domestico della famiglia. Durante le sue crisi di nervi, Lia vorrebbe distruggere tutto: "questa poltrona deve morire prima di me", ma alla fine desiste e lascia in pace la poltrona, posizionata nello stesso punto della stanza, da secoli. Nella casa, gli aloni dei quadri sulle pareti, testimoniano il tempo trascorso. Il buco che Lia fa nel muro lascia una ferita aperta per sempre.

Finché c’è la casa, permane la presenza delle sorelle. In un luogo in cui non si riesce a metabolizzare la morte, non si riesce a trovare il modo di farne qualcosa, non si sa dove "collocarla"; come se a prevalere, in quella casa, fosse appunto una distrazione strategica, un dimenticarsi di, un non avvedersi di che cosa andrebbe fatto.

Le sorelle Macaluso è un film sul tempo. Sulla memoria. Sulle cose che durano. Sulle persone che restano anche dopo la morte. È un film sulla vecchiaia come traguardo incredibile della vita.

NOTE DI VISIONE: Al centro della visione di regia c'è il desiderio di raccontare la mutazione di corpi e oggetti nel tempo. Gli oggetti, come i corpi delle sorelle, sono nel loro mutare nei settant’anni di esistenza di questa famiglia che raccontiamo. Lo sguardo della cinepresa è dinamico nel seguire i movimenti delle protagoniste, ma assume anche delle posizioni fisse all’interno della casa, come per rappresentare gli occhi dell'abitazione stessa. Questo "sguardo della casa", ricorrendo più volte, diventa particolarmente evidente e riconoscibile dallo spettatore. Ancor più evidente è l’esistenza di tale sguardo nelle scene in cui le sorelle sono fuori dalla casa o dall’inquadratura, segno che gli occhi della casa non si chiudono nonostante l'assenza delle inquiline. La macchina da presa quindi scruta in modo ossessivo oggetti, corpi e movimenti restituendo la vita e l’evolversi della vita nella casa in modo del tutto originale. È esemplare in questo senso il finale del film, quando la macchina da presa, posizionata negli stessi punti di osservazione, consegna allo spettatore l’immagine della casa scarnificata e scorticata dal prelevamento degli oggetti che la abitavano e dall’uscita delle sorelle. La morte, quindi, entra davvero nella casa solo quando gli oggetti sono "asportati" dal loro contesto e le sorelle abbandonano definitivamente la loro dimora con la morte della sua custode principale. È possibile in questo modo trasmettere una delle riflessioni che stanno alla base del film: la forza vitale della memoria. È l'amore delle sorelle tra loro e per questa casa che tiene in vita la loro intera esistenza come fosse un unico organismo vivente a prescindere dalla morte fisica di alcune di loro; è lo spezzarsi, lo smembrarsi, lo svuotarsi, il denudarsi di questo organismo vivente che ne determina la morte».

In sala dal 10 settembre per Teodora.

Le sorelle Macaluso (2020): Trailer ufficiale

 

AND TOMORROW THE ENTIRE WORLD

Sinossi: La Germania e? scossa da una serie di violenti attacchi terroristici di stampo razzista. Luisa, vent’anni, si unisce a un gruppo dell’Antifa deciso a contrastare il movimento neo-Nazi in sommossa. Con le sue azioni temerarie, combatte non solo l’estrema destra ma cerca anche di fare colpo su Alfa, un attivista antifascista del quale e? segretamente innamorata. Presto, la situazione si inasprisce e Luisa e i suoi amici devono affrontare la questione se la violenza possa essere una risposta politica legittima al fascismo e all'odio.

EXCL. Tre domande alla regista Julia von Heinz

1. Come nasce il film?

Questo doveva essere il mio primo lungometraggio. Da sempre volevo realizzare un film su una giovane donna che si immergeva nei movimenti di destra e si ritrovava a porsi domande sulla violenza come mezzo politico e sociale. Il progetto è però cambiato nel corso degli anni. In un primo momento, era un film che si basava su eventi realmente accaduti e, in particolare, sull'omicidio del nazista Gerhard Kaindl nel 1992. A pensarci bene, è stata una benedizione non aver trovato allora i fondi: non sarei stata in grado di girarlo così come avrei voluto. In un secondo momento, era diventato un documentario sui veterani dell'Antifa, nostri amici: come avevano conservato i loro ideali utopici nell'età adulta? Come erano rimasti fedeli a loro stessi? Poteva essere interessante ma non ha raccolto finanziamenti. Alla fine, è arrivata una storia di fantasia ambientata negli anni Novanta e con essa i finanziamenti necessari. In fase di revisione della sceneggiatura, però, ho capito che dovevo mettere da parte il passato e ambientare la storia nel presente, nella Germania di oggi.

2. Il film racconta il percorso di scoperta di una giovane donna chiamata a confrontarsi con decisioni importanti sullo sfondo di una situazione politica urgente non solo in Germania. Quali sono gli argomenti su cui voleva puntare l'attenzione?

Ho fatto riferimento a me stessa e alle mie esperienze. Mi sono posta domande su temi che per me erano importanti e che lo sono diventati ancor di più di recente. Quanto si è disposti ad accettare le proprie convinzioni politiche e a difenderle? Che prezzo si è pronti a pagare? Quanto è onesto il proprio attivismo politico? In che misura potrebbe essere guidato da motivazioni personali che nulla hanno a che fare con l'ideologia o la politica? Il film non è realmente interessato a nessun messaggio politico specifico. Per molti anni, ho scritto volantini e opuscoli, che sembrano essere il mezzo più appropriato per i messaggi politici. Il film si occupa delle persone e delle loro emozioni che portano a compiere determinate azioni.

3. Chi è Luisa, la sua protagonista? Come la descriverebbe?

Luisa è spinta da un mix di motivazioni politiche e personali che la portano nella sfera della sinistra e a uno specifico progetto. Proviene da un background conservatore e prova un certo senso di solitudine quando, lasciando l'università, deve tornare a casa, nel profondo della campagna. In lei, c'è voglia di vita, desiderio di far parte di un movimento vitale. Ben presto, si rende conto di essere attratta da Alfa, giovane al centro del gruppo Antifa che trasuda vitalità. E le sue emozioni la portano a prendere decisioni che hanno conseguenze politiche. Sentimentalmente, è al centro di un tira e molla tra Alfa e Batte, il compagno di scuola meno radicale.

Mala Emde, Tonio Schneider, Noah Saavedra

And Tomorrow the Entire Wolrd (2020): Mala Emde, Tonio Schneider, Noah Saavedra

 

Proiezioni odierne: fuori concorso

PAOLO CONTE, VIA CON ME

La parola al regista Giorgio Verdelli

«Paolo Conte, Via con me racconta un artista straordinario, sviluppando anche le storie umane connesse al suo personaggio: persone, sentimenti, città e generazioni. Il film è, a tutti gli effetti, un percorso per raccontare un pezzo importante del nostro vissuto emozionale, attraverso le canzoni di Conte e il suo passato prossimo. Il cuore del lavoro sta proprio nel raccontare, con una forte suggestione filmica attorno alla musica, la cronaca e le infinite declinazioni sentimentali che le grandi canzoni di Conte hanno sempre assunto nel nostro immaginario. Il repertorio è stato selezionato in base allo script e alle testimonianze, mentre le interviste sono l'elemento fondante del documentario e rientrano in una traccia narrativa dello stesso. Particolare cura è stata dedicata alla scelta e all'utilizzo delle musiche sulle interviste e sulle panoramiche, in modo da creare una serie di suggestioni che potessero completare, introdurre e meglio definire il repertorio. Il montaggio gioca un ruolo fondamentale nella parte creativa del progetto, incasellando i tasselli del film in un flusso che segue e rappresenta al tempo stesso il senso narrativo film. Alcuni elementi che ricorrono nella narrazione si fanno soggetti e significato, a rappresentare snodi importanti della musica e della personalità dell'artista. Come la "Topolino Amaranto", che ritorna in vari snodi e diventa simbolo del ruolo che la memoria ricopre nell'arte di Conte: presente e passato che si mescolano in un dialogo incessante nella sua lirica e in chi l’ascolta. Naturalmente alla base del progetto c'è una lunga intervista "intima" di Paolo Conte, in cui i racconti di personaggi, canzoni e vicende umane mescolano tenerezza ironia e charme tipici dell'avvocato di Asti».

In sala dal 28 settembre per Nexo.

Paolo Conte

Paolo Conte, via con me (2020): Paolo Conte

 

LA VERITÀ SU LA DOLCE VITA

EXCL: La parola al regista Giuseppe Pedersoli

«Un anno di ricerche di materiali di repertorio, approfondimenti su documenti di archivio e l'organizzazione e ricostruzione di un’ampia e copiosa corrispondenza originale e inedita intrattenuta tra il 1958 e il 1960 tra Angelo Rizzoli, Federico Fellini e Giuseppe Amato, costituiscono la base di partenza del film.

Il titolo "La verità su La dolce vita", lungi dall’essere un atto di presunzione degli autori, deriva letteralmente da un soggetto depositato nel 1961 da Giuseppe Amato, produttore del capolavoro di Fellini, nel quale evidentemente riteneva di dover raccontare in un nuovo progetto, le vicende che avevano portato alla realizzazione de "La dolce vita", al suo grande successo e poi al drammatico epilogo dei rapporti trentennali con il suo socio storico Angelo Rizzoli.

Questa ulteriore pellicola non fu mai realizzata probabilmente anche a causa della prematura scomparsa del produttore napoletano che aveva già realizzato grandi film della cinematografia italiana quali "Quattro passi tra le nuvole" di Alessandro Blasetti, "Umberto D." di Vittorio De Sica, "Francesco giullare di Dio" di Roberto Rossellini, "Un maledetto imbroglio" di Pietro Germi o i successi internazionali di "Domani è troppo tardi" di Leonide Moguy ,"Don Camillo" di Julien Duvivier per citarne soltanto alcuni.

Partendo dall'originale che Fellini consegnò a Peppino Amato nell’estate del 1958, sceneggiatura che nessun altro produttore aveva voluto realizzare, "La Verità su La dolce vita" intende ridare, nella formula ideale del docufilm, una visione storica, per molti versi inedita, dell’ avventura produttiva di un film che a sei decenni dalla sua distribuzione, fa ancora parlare di sé e continua ad essere in tutto il mondo un simbolo, nel bene e nel male, dell'italianità.

La sceneggiatura del docufilm è tratta parola per parola dai documenti ritrovati ed è perciò il risultato del racconto fatto con la viva voce dei protagonisti, nel caso di Fellini e Rizzoli attraverso doppiatori professionisti, nel caso di Giuseppe Amato anche attraverso la ricostruzione di alcune scene emozionanti, tratte comunque dalla documentazione o dalle testimonianze, interpretate da Luigi Petrucci, capace attore napoletano molto somigliante al personaggio originale.

Il film trova la sua completezza anche attraverso testimonianze rese da Vittorio De Sica, Bernardo Bertolucci, Dino De Laurentiis, Marcello Mastroianni, Giovanna Ralli, Valeria Ciangottini, Sandra Milo e dallo stesso Federico Fellini, in interviste nuove o registrate nel passato che sono state acquisite da Rai Teche, dall’Archivio dell'Istituto Luce o fonti private. Fondamentale, per la completezza narrativa, è stato anche il commento di Mario Sesti, grande esperto dell'opera felliniana, e per la spettacolarità delle sequenze, l'acquisizione da Mediaset di circa quindici minuti di scene restaurate tratte dal film "La dolce vita". Le composizioni del maestro Marco Marrone hanno funzionato da compendio e hanno dato completezza al bel commento musicale.

Il docufilm intende offrire un ulteriore contributo alla rappresentazione non sempre completa ed obbiettiva sulla realizzazione de "La Dolce Vita" includendo anche il punto di vista del produttore, figura professionale troppo spesso colpevolmente dimenticata anche dai più esperti storiografi di cinema».

Prossimamente in sala per Istituto Luce.

scena

La verità su La dolce vita (2020): scena

 

Proiezioni odierne: Orizzonti

YELLOW CAT

Commento del regista Adilkhan Yerzhanov: «Kermek è un personaggio d'altri tempi che vive nella nostra epoca. La sua visione del mondo è semplice e pura: il bene è bene, il male è male. Non sarà facile per questo eroe sopravvivere in un mondo crudele. Tuttavia, è gentile, e la sua gentilezza lo aiuterà a superare tutto».

scena

Yellow Cat (2020): scena

 

NOWHERE SPECIAL

EXC. La parola al regista Uberto Pasolini

«Ho desiderato fare questo film da quando ho letto la storia di un padre malato terminale che ha cercato di trovare una nuova famiglia a cui affidare il figlio prima di morire. Malgrado la situazione in cui si trovano i protagonisti sia molto drammatica, a livello di scrittura la decisione è stata di affrontare la storia in modo molto sottile, discreto, evitando il più possibile il melodramma e il sentimentalismo. Questo approccio si riflette anche nello stile filmico che abbiamo adottato, diretto e privo di deconcentranti infiorettature stilistiche. I movimenti della macchina da presa di Marius Panduru sono stati concepiti come fluidi e leggeri, arrivando in determinati casi a riflettere il punto di vista del bambino.

Sul piano della regia del film la sfida principale è stata quella di lavorare con un bambino molto piccolo e creare a livello visivo un rapporto padre-figlio credibile e toccante. Fortunatamente, abbiamo trovato nel giovanissimo Daniel Lamont, che all'epoca delle riprese aveva quattro anni, un attore nato, straordinariamente consapevole e sensibile, e in James Norton un interprete molto generoso, felice di dedicare, ben prima dell'inizio delle riprese, intere giornate alla creazione di un legame con il bambino e di sostenere e guidare Daniel attraverso quella che per qualunque bambino sarebbe stata un'esperienza intensa e a tratti sconcertante».

Prossimamente in sala per LuckyRed.

Daniel Lamont, James Norton

Nowhere Special (2020): Daniel Lamont, James Norton

 

Proiezioni odierne: Giornate degli Autori

AGALMA

EXCL. La parola alla regista Doriana Monaco

«Prima di varcare la soglia del Museo archeologico avevo individuato come centro della mia ricerca la natura frammentaria delle opere classiche e, di conseguenza, del mondo antico. Il film nasceva con l'intento di avvicinarmi il più possibile a quel mondo e a quelle opere, ponendo l'accento sul fatto che si trattasse per lo più di reperti "riemersi in superficie", quasi mai integri, che nel corso dei secoli hanno subito continue metamorfosi fisiche e interpretative anche attraverso l'azione del restauro. Il punto di partenza è stato dunque rendere visibili questi frammenti su corpi di statue, ceramiche, affreschi e mosaici. Superfici irregolari, crepe, corrosioni, pezzi mancanti sono diventati segni specifici della narrazione.

Con mia sorpresa quando sono approdata al museo lo scenario era tutt'altro che immobile, in virtù dei numerosi cambiamenti in corso che mi hanno catapultato in un universo dinamico. Seguire la vita del museo per quasi tre anni mi ha dato l’opportunità di scoprire un universo altrimenti inaccessibile – penso al mondo sommerso dei depositi – e filmare momenti memorabili come lo spostamento della scultura dell’Atlante Farnese, il ritorno della statua di Zeus dal Getty Museum o l’allestimento della mostra sulla Magna Grecia nelle sale con i pavimenti costituiti dai mosaici di Pompei.

L'archeologia come materia viva, dunque, ecco uno dei temi del film. La necessità era quella di trovare una chiave che sovrapponesse lo sguardo archeologico a quello cinematografico, depurandolo dall’elemento divulgativo che spesso accompagna i documentari archeologici per affidare il più possibile il racconto a trame visive.

Un'altra traccia di riferimento è stata un fotogramma del film Viaggio in Italia di Roberto Rossellini in cui la protagonista Katherine, interpretata da Ingrid Bergman, si ritrova al cospetto della scultura colossale dell'Ercole Farnese. La visita di Katherine/Bergman all'interno del Museo archeologico avviene, per usare le parole di Giuliana Bruno nel suo Atlante delle emozioni, "attraverso un contatto viscerale, quasi fisico, con sculture che arrivano a turbare il suo animo". A quello sguardo ho affidato il simbolo del percorso di scoperta e iniziazione. Ed è in qualche modo ciò che vorrei che lo spettatore provasse entrando in relazione con questi oggetti tramite "uno sguardo che si fa contatto", vederli il più vicino possibile.

Un'ulteriore stratificazione è conferita dal testo in voice over che attraversa il film, costruito sul racconto in prima persona di alcune opere del museo, letto da Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni. Nel mondo antico era consuetudine che le statue recassero iscrizioni in prima persona, di modo che fosse l'opera stessa a dire da chi era stata realizzata e per quale ragione. Ho mutuato così il linguaggio archeologico della descrizione dell'opera rielaborandolo a favore del racconto. Zeus ci parla di un ritrovamento, Atlante di una metamorfosi, Hermes della sua condizione di frammento, le danzatrici del mito che si mette in scena, mentre i Tirannicidi sono spettatori a loro volta delle vicissitudini umane che si agitano nel museo.

Agalma è la relazione tra l'opera e chi la osserva e ne è osservato. Lo sguardo della statua diviene luogo di possibilità interpretative, punti di vista e nuove visioni che si riflettono nello sguardo del visitatore a sua volta intercettato dal cineocchio, rievocando il ruolo performativo che la cultura greco-romana riconosceva alle immagini».

scena

Agalma (2020): scena

 

EN CE MOMENT

Commento della regista Serena Vittorini: «En ce moment nasce per sperimentare il rapporto con Ophélie, la ragazza con cui ho vissuto una relazione durante il lockdown in Belgio. Lei si è rivelata prigioniera della sua confusione e incapace di esprimere le emozioni. Io, in fuga da esperienze fallimentari e alla ricerca di un legame autentico, ho affidato alla fotocamera la testimonianza dei nostri combattimenti nella ricerca dell'incontro. Filmare mi ha permesso di registrare l'espressione del mio bisogno di essere compresa, amata, accettata e la conseguente frustrazione per i desideri e le aspettative irrealizzate».

scena

En ce moment (2020): scena

 

Proiezioni odierne: Settimana della critica

THE FLOOD WON'T COME

Sinossi: Una schermata blu ci informa che la guerra è iniziata. Che cosa serve? Raccogliere gli uomini, trovare le armi o magari qualcuno ce le darà. Abbiamo bisogno di un posto, un paese in cui la guerra possa svolgersi. Nessun problema, il Colonnello è un vero professionista, ha già scatenato guerre su ordine, o per fare ordine, in molte occasioni e in molti paesi. Ma ora i suoi seguaci sono diventati grandi e hanno cominciato una guerra nel suo paese. Non vorrebbe, ma deve combattere. Sta invecchiando ed è stanco della guerra. Vorrebbe solo sedersi a tavola davanti ad un piatto fumante di gustose costolette e fissare lo schermo innocente di una TV, mentre il TG è in onda e il presentatore tutto agghindato annuncia che la guerra è iniziata.

NB. La produzione non ha diffuso né note di produzione né commento del regista.

scena

The Flood Won't Come (2020): scena

 

ADAM

Commento del regista Pietro Pinto: «Adam è un film metafisico in cui sogno e realtà si mescolano nella disperata ricerca di un senso di verità. È un film che riflette sull’esistenza e si interroga sul significato del concetto di libertà. Facendo eco alla storia di Adam e Eve, il film utilizza il genere fantascientifico per cercare di ripercorrere e rileggere, in chiave contemporanea, il coraggio di una scelta che premia la vita più pura a discapito della paura della morte».

Anthony Nikolchev

Adam (2020): Anthony Nikolchev

 

RECENSIONI

Notturno: Recensione di Alan Smithee

Careless Crime: Recensione di EightAndHalf

Laila in Haifa: Recensione di EightAndHalf // Recensione di AlanSmithee

The World to Come: Recensione di PortCros

Gaza mon amour: Recensione di Gaiart

Love After Love: Recensione di Gaiart // Recensione di AlanSmithee

Quo vadis, Aida?: Recensione di PortCros

One Night in Miami: Recensione di PortCros

Tengo Miedo Torero: Recensione di Obyone

Hopper/Welles: Recensione di EightAndHalf

 

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8. Continua

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