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A proposito di niente, cioè di Woody Allen
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Ho un vizio, leggere i finali. Voglio sapere subito chi è l’assassino, se quelli si sposano o si lasciano, se Hans finalmente si butta giù da un crepaccio della  Montagna incantata, se Raskol’nikov si redime o no, ecc. ecc.

Insomma sono una cattiva lettrice, una spettatrice disonorevole, un’autospoileratrice senza redenzione.

Ecco perché l’ho letto anche stavolta e, come sempre, ho avuto la mia soddisfazione.

Ma da Woody ne ho sempre avute, giunto a metà della sua vita (così dice lui), cioè 84 anni, me ne ha date tante che, purtroppo per lui, non si avvererà il suo auspicio finale, almeno con me.

Quale?

Eccolo, e spegnete il monitor, scollegate i cavi, maleditemi se non fate in tempo a non leggere:
“… E davvero non sono interessato a lasciare qualcosa dopo di me? Mi sono già espresso in merito, e la metterò in questo modo: di vivere nel cuore e nella mente del pubblico non mi importa niente, preferisco vivere a casa mia”.

Siamo a pagina 398, l' ultima, edizione La nave di Teseo, uscito in Italia in pieno lockdown, aprile 2020.

Negli States niente, non l’hanno voluto, e la cosa non stupirebbe neanche Cristoforo Colombo di cui continuano a buttar giù statue.

Bisognava continuare a credere che quella fosse l’India, tante cose ce le saremmo risparmiate. Ma questa è un’altra storia.

Torniamo ai finali e a Woody Allen, anzi ad Allen Woody, come scherzano gli amici che hanno capito tutto di lui.

 Nel mezzo del cammino di sua vita Woody Allen decide una cosa fondamentale: parlare a proposito di niente, cioè di sé, di quello che ricorda di aver fatto negli anni fin da prima di nascere, nell’utero materno, delle persone che ricorda di aver incontrato, dei film, dal primo all’ultimo ma senza perderci troppe parole, dei vari lavori che ha tentato di fare più o meno riuscendo, dell’essere sempre stato un figliolo protetto e un gran somaro a scuola, tanto da non capire da cosa derivi la sua fama di intellettuale. Forse dagli occhiali, conclude.

Le case in cui ha abitato, le sue idiosincrasie e fobie, le donne e gli amori, i successi e le persecuzioni.

Di tutto un po’, quanto basta per dare l’idea del non senso di tutto ciò che è la vita, pur essendo una gran ruota delle meraviglie.

 La prima cosa che un onesto lettore di questo libro ha il dovere di dire agli altri, ignari, è:

Non leggetelo in treno, i compagni di viaggio potrebbero prendervi per pazzo, vittima di irrefrenabili attacchi di riso”.

 

 Ciò detto, andiamo avanti.

Questi irrefrenabili attacchi non durano per 398 pagine, tranquilli. La leggerezza sì, fino all’ultima parola. Anche quando parla dell’orrore, non c’è altra parola per definire quello che per anni e anni gli hanno buttato addosso milioni di persone, centinaia di tabloid e testate accreditate, uomini e donne della sua vita, figli ed ex figli, me too e vajas con Dios.

E lei, soprattutto lei, la mantide, la donna che tutto ha fatto per distruggerlo come artista, come padre, come essere umano: Mia Farrow un’attrice che nella sua grande onestà intellettuale lui definisce sempre bravissima (peccato somigli, in bello, a una persona che detesto, non sarei buona come Woody).

 

Woody Allen e le accuse di abusi sulla figlia Dylan: “Le poggiai la testa sul grembo, niente di più”

 

Quelli che godono a sbirciare nelle vite degli altri si sono chiesti “Ci possiamo aspettare sassolini tolti dalle scarpe?”.

Avranno la loro soddisfazione, ma sarà molto magra, mancando l’autocelebrazione che ci si aspetta da un’arringa in difesa.

Woody racconta con esattezza tutto, la precisione e la correttezza dell’informazione sono totali, nessun sassolino, solo verità.

C’è poco da ghignare, e quello che rende tutto sopportabile è la serenità con cui racconta, solo quella fa capire quanta sofferenza sia costata.

Concludendo, perché scrivo quel che scrivo, mi sono chiesta?

Un’autobiografia parla da sé, non ha bisogno di esegesi, recensioni, critiche e quant’ altro.

Però ha bisogno di esser letta, almeno da quella metà del mondo che ancora si può definire civile, con tutte le riserve del caso, cioè quella in cui vivo.

In America continueranno ad ammazzare i neri, a morire senza mascherina, a ingozzarsi di burro di arachidi, Woody ce lo godiamo noi, a Roma, Parigi, Londra, Madrid, Tokyo.

 Finito di leggere cosa resta? Quello che, a chi non lo odia, succede all’uscita dai suoi film, una gran leggerezza, come mangiare un dolce senza grassi e sensi di colpa, l’impressione di aver passato ore con un buon compagno di viaggio che te la racconta perché gli sei simpatico, ti dice di sé tante cose prendendosi sempre in giro, senza drammi né pretese di condivisione, ammiccamenti, deprecazioni.

Woody è sempre come un centimetro sopra quello che racconta di sé, degli altri, dei mondi in cui ha vissuto.

Si guarda vivere, non sorride né s’indigna, non condanna né assolve, nulla ha senso, dunque perché perder tempo a trovare l’espressione giusta?

Lui vive, della vita ha un gusto intenso, le donne che ha amato le ricorda con lucido affetto, i torti che ha subito, tanti, li racconta ma non si scaglia mai, e i successi? Senza mai fare ruote di pavone, e nulla che possa togliergli il gusto di non andare di persona a ricevere un premio, solo per il Nobel farebbe un’eccezione, “perché si ricava qualche soldino”.

Il racconto di quello che ha scritto è poca cosa, come raccontare i suoi film, bisogna leggere, bisogna vedere.

Nel libro c’è quello che abbiamo sempre saputo di lui attraverso il suo linguaggio, la sua arte, ma c’è molto altro, ed è quello che serviva a completare un ritratto, la sua convinzione serena, totale, priva della pur minima scalfittura, che tutto è nulla.

Come Ozu volle che scrivessero sulla sua lapide, MU, nulla.

 E questa vita lui la guarda da dietro gli occhialoni da miope pieno di tutte le strane cose che fanno arricchire gli psicanalisti, e amicizia, amore, bellezza femminile e insofferenza della natura, vivere in città, meglio se a Mahattan, sono i suoi ideali, i mantra che riempiono i suoi giorni.

Vivere senza fare drammi né esaltarsi, solo un genio o un pazzo, magari le due cose insieme.

Un amore definitivo, da 25 anni, una vera famiglia, quella con Soon Yi, una storia terribile che solo lui può raccontare così, con totale verità e lucidità cristallina, merita di essere ascoltata, avessimo anche gli spaghetti che scuociono sul fuoco o il postino che suona la terza volta e poi se ne va.

Per rendergli un po’ di giustizia, almeno, anche se a lui non importa, ha accettato tutto come neanche Paolina, la moglie di Seneca, quando il marito fu fatto suicidare da Nerone.

A noi sì, però, sentirsi raccontare quegli orrori non è poco, lo faremmo con chiunque incontrassimo sul treno e ci dicesse quelle cose perché non ci conosce, e sa che proprio per questo può dircele.

E poi si arriva in stazione e ognuno va per i fatti suoi.

Ma nel cuore qualcosa resta, checchè ne dica Woody.

In quarta di copertina una foto scattata da Diane Keaton grande donna che gli è rimasta sempre fedele amica

 

P.S.

Tranne il finale, ho volutamente evitato di citare brani dal libro, sono una spoileratrice ma il gusto della lettura so cos’è  e non lo toglierei a nessuno per nulla al mondo.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

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