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"E' una questione di qualità... o una formalità, non ricordo più bene..." - dedica a Roberto Benigni
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Questo post è dedicato a Roberto Benigni. Ringrazio in primis tutti coloro che leggeranno questo lungo, lunghissimo articolo. Buona lettura!

Ma chi è Roberto Benigni? ‘Odesto attore cinematografi’o e teathrale, ‘abarettistha, registha e ‘omico toscano – va bene, la smetto - è stato un grande della nostra nazione, uno dei più rappresentativi dello scorso secolo. Dopo alcuni episodi teatrali che hanno influenzato il suo esordio registico e attoriale egli ha reso caratteristico il suo cinema, degno di nota per la satira provocatoria rivolta ad un pubblico abituato, soprattutto durante gli anni 80’, al cinema di serie B o "commedia sexy all'italiana", genere che aveva ottenuto sin da subito una propria notorietà ma che presto sarebbe finito nel dimenticatoio. E’ stato “La Vita E’ Bella” il film che lo ha consacrato ad attore e regista particolarmente degno di nota qui in Italia, nonostante da un paio di annetti, da fine anni 80' in poi, le sue pellicole stessero facendo successo al botteghino. Da lì un passo alla fine per la carriera registica del Benigni il quale, da almeno due decenni, ha perso lo stile provocatorio e soprattutto acceso dei primi anni, diventando per molti italiani quello che si può definire un “voltagabbana”. Ma parliamo in maniera più approfondita di quello che fu Benigni nei primissimi anni: parliamo di una sua versione poco nota agli italiani che lo conoscono per le varie commedie portate dal già citato tra la fine degli anni 80’ e gli anni 90’. Parliamo e soprattutto discutiamo di una mente brillante che ha avuto un grande spazio, un uomo che ha scelto a suo modo le carte che più gli servivano o venivano concesse ai tempi. Questo, signore e signori, è Roberto Benigni.

I’ BENIGNI ‘ANTAUTORE

Il Benigni nasce sia come attore teatrale sia come cantautore. Focalizziamoci per qualche riga sull’aspetto cantautorale dei primissimi anni: interessatosi al mondo del teatro ma, al contempo, anche di quella del cabaret Benigni pubblica nel 1972 un rarissimo LP dal titolo “Il Cabaret di Roberto Benigni", disco che racchiude uno spettacolo, registrato al teatro di Alessandria, contenente undici pezzi dal carattere satirico/provocatorio. A testimoniare la veridicità di ciò che sto riportando è l’unica traccia dell’album presente, per il momento, in rete ovvero “Che cagne le donne”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il brano narra di un tema trattato in modo alternativo ovvero il rapporto di un uomo in una donna e, da lì a poco, il sotterrarsi di certe speranze che non torneranno mai a galla per via dell’infedeltà di un tipo di donna che vuole sfruttare la fragilità e l’ingenuità di un certo tipo di uomo. Canzone spaventosissima, in quanto profetica, poiché parecchio attuale in un mondo in cui cose come la “friendzone” sono (quasi) la normalità nelle coppie d’amicizia. Nonostante il quasi ovvio insuccesso del LP, quale venne stampato in 500 copie, Benigni continua questa strada ma in secondo piano, pubblicando due 45 giri verso la metà degli anni 70’ quali “La Marcia degli Incazzati” e la famosissima “L’Inno Del Corpo Sciolto”. Verso metà degli anni 70’ e i primi anni 80’ partecipa ad alcune edizioni del Premio Tenco, dimostrando di essere un personaggio goliardico e ironico riuscito. Nel 1980 esce persino un duetto con lo sconosciutissimo gruppo Omelet, capitanato da uno dei fondatori dei Trolls (in seguito New Trolls), “Amor Mio… Sono Me!”. Il brano viene presentato a Sanremo, dove Benigni è collaboratore alla presentazione. Lo stesso anno esce il singolo “Pantheon/Paese” e un brano estratto dalla prima pellicola di Benigni, “Tu Mi Turbi” ovvero “Via Con Me/Le Chic Et Le Charme”. Tutt’oggi gran parte di questi singoli sono rarissimi da trovare. Il Benigni cantautore si spegne negli anni 80’ con una dedica a Paolo Conte – “Mi Piace La Moglie di Paolo Conte” - per poi riaccendersi sotto altre vesti, ovvero quelle meno folk-demenziali e più pop-melodiche (“Quanto T’ho Amato”, musiche di Nicola Piovani): fa eccezione il brano “Quando penso a Berlusconi”, presentato al “TuttoBenigni ‘95”.
Concludendo: c’è stata un’evoluzione dello stile cantautorale di Benigni? Sì e no. Se il Benigni cabarettista era più invogliato – a quanto pare – al voler trattare tematiche importanti con un aspetto più serio, quello metà anni settanta/post-anni 70’ cambia totalmente stile venendo influenzato da atmosfere comico-demenziali, simili a gruppi allora neonati come gli Skiantos, quali avrebbero portato in auge il genere rock demenziale in Italia, assieme agli Squallor, agli Elio E Le Storie Tese e così via. Ma quello di Benigni non era rock, bensì musica demenziale influenzata da atmosfere tradizionali e folkloristiche, soprattutto “L’Inno del corpo sciolto”, il quale è diventato un brano di culto anche fra i giovanissimi. Tutt’altra strada è quella di “Quanto T’ho Amato”, unica testimonianza di un Benigni più dolce del solito.

I’ BENIGNI CINEMATOGRAFI’O

E ora passiamo al Benigni teatrale/cinematografico.
Dopo vari ruoli da protagonista da egli interpretati in commedie quali, ad esempio, “Il Re Nudo” (1971), “Bertoldo Azzurro” (1973) e “La Metamorfosi” (1974) il Benigni, dopo aver fatto la conoscenza di due artisti e amici molto noti a lui e non solo quali l’attore Carlo Monni e il regista Giuseppe Bertolucci - fratello minore di Bernardo - decide di inscenare un’opera teatrale dal carattere autobiografico basata sul protagonista Mario Cioni. Quest’ultimo è un personaggio grottesco: infarcito di linguaggio volgare, discorsi insensati o privi di profondità argomentativa, blasfemia e sessualità, questo di Benigni è forse il personaggio meno noto dell’attore il quale oggi sarebbe stato sicuramente linciato da gente che reclamerebbe il politically correct; ebbene questo Benigni era politically scorretto, non corretto! (semicit.)

Di una curiosità affascinante, il monologo “Cioni Mario di Gaspare Fu Giulia” scritto da Giuseppe Bertolucci fa successo in un teatro romano e ciò da l’opportunità sia a Benigni che a Bertolucci di portare lo spettacolo teatrale in alcuni teatri italiani. Viene notata dal pubblico un’insofferenza molto aspra nel personaggio di Cioni, un personaggio che trasuda surrealismo da tutti i pori e al contempo timidezza dovuta da un lato infantile inespresso. Cioni vien costretto alle prime censure ma ciò non fermerà la sua espressività: difatti viene condotto, intorno alla fine degli anni 70’, uno spettacolo chiamato “Vita di Cioni”, trasmesso nel programma satirico “Onda Libera” su Rai 2. Lo scalpore di questo spettacolo fa sì che Cioni approdi al cinema nel 1977 con il (a parer mio) cult “Berlinguer Ti Voglio Bene”, regia di Giuseppe Bertolucci, il quale ne scrive la sceneggiatura assieme a Benigni. Da subito il film viene criticato per il linguaggio abbastanza inusuale per un film italiano, ma tutt’oggi viene considerato un film non solo a metà, ma senza uno scopo preciso. Eppure “Berlinguer Ti Voglio Bene” mette alla prova le doti recitative sia del grande Benigni, il quale si trova molto a suo agio nell’interpretazione di Cioni, sia dell’emergente Carlo Monni il quale risulta, però, più preparato per le varie esperienze di teatro d’avanguardia. Il tono del film è concentrato sul grottesco con lievi sfumature drammatiche e una satira provinciale: tutt’oggi personalmente lo considero un ottimo esordio del Benigni a livello attoriale. Da qui, inoltre, Benigni dichiara la sua immagine politica: comunista garantito direbbe il se stesso del ’83 quando, durante una manifestazione, prese in braccio Enrico Berlinguer.

Dopo alcune comparsate in film non degni di nota per via della loro bruttezza – “I Giorni Cantati”, “Chiaro di Donna” e “Letti Selvaggi” – Benigni interpreta il ruolo di protagonista nel film di Marco Ferreri “Chiedo Asilo”, un film mistico pregno di interpretazione che, però, pecca nel ritmo: un film che avrebbe potuto dare molto di più ma che cade in alcune banalità tecniche, quali lo rendono davvero molto lento. Benigni nel film ricorda la timidezza di Mario Cioni, seppur con parecchie differenze, e trasmette un senso di fanciullezza non ancora del tutto visto.

Gli anni 80’ si aprono con l’esordio registico di Renzo Arbore, personaggio televisivo molto amico di Benigni, il quale lo vuole nel suo “Il Pap’occhio”, un ottimo film con tantissime citazioni televisive, politiche, cinematografiche, letterarie, musicali e addirittura religiose. A questo film segue il ruolo di co-protagonista nel filmone di Sergio Citti, “Il Minestrone”, grandissimo film sottovalutato che vede Benigni sia in vesti comiche sia in vesti più mature rispetto ai precedenti ruoli intepretati. Tuttavia, la maturità verrà compensata nell’esordio registico di Benigni, “Tu Mi Turbi”, pellicola divisa in quattro episodi che tende a raccontare situazioni proprio come Benigni sa fare: il film è un flop e viene accolto in modo neutro dalla critica, ma viene rivalutato col passare degli anni.

Dopo una seconda collaborazione con Arbore andata non proprio bene (“FF.SS.”), una collaborazione registica con Massimo Troisi (“Non ci resta che piangere”) e il miglior spettacolo da egli condotto (“TuttoBenigni”), Benigni viene notato da un regista indipendente statunitense: Jim Jarmusch. Da qui nasce una collaborazione che dura, nell’arco cinematografico temporale, almeno cinque anni: nel 1986 viene registrata una scena del film “Coffee and Cigarettes” che uscirà soltanto nel 2003 e, sempre lo stesso anno, Benigni compare, col ruolo di protagonista, nel film “Daunbailò (Down By Law)”: come al solito film sottovalutato che, se non fosse stato per la presenza di Benigni, avrebbe sicuramente perso in alcune cose. Nel film compare persino Nicoletta Braschi, allora fidanzata di Benigni che era già comparsa in “Tu Mi Turbi”: parteciperà in un altro film di Jarmusch senza la presenza di Benigni ovvero “Mystery Train”. Il terzo ed ultimo film che "intravede" Benigni è “Taxisti di Notte”, che esce nel 1991. Benigni comincia a far conoscere lo stile goliardico che lo ha sempre caratterizzato anche all’estero perdendo, lentamente, il fascino volgare che si era costruito dai tempi di Mario Cioni; nonostante ciò rimane un personaggio brillante. A caratterizzarlo durante le anteprime e le interviste sono l’inglese maccheronico, i gesti “all’italiana” e un senso dell’humour pregno di vita e di coinvolgimento. Non a caso se si va sotto i commenti di un qualsiasi video su YouTube di Benigni in un paese estero tutti, e ripeto, TUTTI quanti lo reputano tra le persone più divertenti che esistano, o meglio, che siano mai esistite. E il bello è che quella gente il più delle volte non sa del passato di Benigni quindi, in realtà, si perde il meglio da una parte.

Durante la metà degli anni 80’ e gli inizi dei 90’, Benigni attraversa il primo periodo di “popolarità” seria a livello cinematografico: pellicole come “Il Piccolo Diavolo” (1988), “Johnny Stecchino” (1991) e “Il Mostro” (1994) diventano poco a poco tra le più note del periodo, in particolare “Johnny Stecchino” che, utilizzando il pretesto della commedia degli equivoci, risulterà essere un film intelligente perché ironico in un momento di tensione politico-sociale quale quella del concetto di mafia. Nel frattempo, però, esce anche quella che è l’ultima pellicola del maestro Fellini, “La Voce della Luna” (1990), dove Benigni “affronta”, per modo di dire, un altro grande mostro che negli anni ha fatto parlare con la sua satira sociale, ovvero Paolo Villaggio. Entrambi interpretano personaggi piuttosto ambigui, emarginati seppur sereni nell’animo: da una parte un poeta stralunato, dall’altra un misantropo. Nonostante da molti venga reputato un film carino, addirittura mediocre per alcuni, personalmente penso che “La Voce della Luna” sia un film che sperimenta le doti attoriali di due attoroni che non hanno mai avuto il pretesto di avvicinarsi così tanto; fatto che, probabilmente, non riaccadrà più per un buon periodo.

Bisogna un po’ schematizzare quello che è stato ed è attualmente: il primo Benigni è Cioni – niente storie - il secondo è il Benigni un po’ stand up comedian, un po’ esterofilo, il terzo Benigni è più maturo e consapevole, tendente alla commedia all’italiana, mentre il quarto ed ultimo Benigni è un moralista, più vicino alla televisione che al cinema. E infatti nel 1997, dopo una lunga produzione, esce “La Vita E’ Bella”, film che ha santificato Benigni agli occhi di tutti. Visto da un fan di vecchia data può risultare strano come un mostro di comicità abbia voluto buttarsi in un’avventura da guerra mondiale. Il film, che ha probabilmente preso ispirazione dall’appena uscito “Schindler’s List”, è uno scenario ben costruito di un Benigni che cerca di inscenare un gioco, uno scherzo, al figlio che vede il mondo e chi gli sta attorno sgretolarsi.

Il film fa parecchio discutere, più in positivo che in negativo, e diventa uno dei film più visti di tutti i tempi in Italia (settimo posto attualmente). Ironia vuole che il film vinca non uno, non due ma ben tre Oscar nel 1999: miglior attore protagonista, miglior film straniero e miglior colonna sonora. La carriera cinematografica del Benigni fa, purtroppo, un ulteriore passo indietro: egli intende osare senza dimostrare a pieno ed è così che nel 2002 esce “Pinocchio” film che sì, rispetta alcune coerenze del libro, ma che risulta parecchio ridicolo nella messa in scena e nella sceneggiatura. La cosa più grave sono i 45 milioni di euro del budget, quali lo consacrano a film italiano più costoso nella storia del cinema, al pari di “Joan Lui” di Adriano Celentano con le sue 20 miliardi di lire. Persino gli americani che avevano applaudito al suo “capolavoro” – come dicono alcuni – già citato, distrussero il film alla sua uscita, ma nonostante ciò Benigni continua a riscuotere successo più nelle interviste che nei film che, sempre lentamente, diminuiscono di incassi. “La Tigre e La Neve” è il brutto finale del Benigni cinematografico: con un’ispirazione Felliniana fuori luogo, il film rappresenta l’ultimo Benigni, il che non ha quasi nulla a che fare con quello de “La Vita E’ Bella” che, come differenza, aveva la simpatia.

Ora. Poiché non io non riesca a guardare più di un minuto di Benigni che fa la morale sulla felicità perché mi sale il pietismo, decido di escludere il Benigni televisivo accennando, però, un mio personale pensiero.

Il Benigni televisivo è lo specchio di tutto quello che Benigni criticava quando era ragazzo. Ma sapete cosa? Lungi da me giudicare una persona dal proprio cambiamento stilistico/personale/filosofico ma è questo il problema fondamentale: la coerenza. Benigni, o meglio, la sua persona non è mai stata particolarmente coerente ed è questo che dispiace di un artista che ha detto e fatto molto durante la sua carriera. Benigni ha spaziato nelle commedie e nei drammi teatrali, costruendosi un personaggio controverso che ha avuto la meglio in televisione e al cinema: è lo stesso che è riuscito più volte a collaborare con quel genio di Jarmusch e lo stesso che ha realizzato un filone di commedie geniali nel panorama italiano anni ’90. Invecchiare capita a tutti e non sta a me, come a nessuno, giudicare le scelte di una persona. Nonostante ciò certe cose vanno dette e vedere prima un giovane Benigni satirizzare sulla chiesa e su Dio – “Tu Mi Turbi”, “Il Pap’Occhio”, vari interventi televisivi tra cui lo stesso "Sanremo 80" e in “TuttoBenigni” – e dopo un secondo che parla di devozione e rispetto - "I Dieci Comandamenti" - fa abbastanza ridere, ma non di gusto purtroppo. Tuttavia non posso prendermela con Benigni. E già, per qualcuno sembrerà un amore e odio, ma così è.

Ma le speranze non son perdute: dopo un mediocre film con Woody Allen, “To Rome With Love” (2012), Benigni ritorna ironicamente nelle sale cinematografiche con “Pinocchio” del fenomenale regista Matteo Garrone. Sottolineo ironicamente come nel voler dire che Benigni possa riscattarsi cinematograficamente con un ruolo, ovvero quello di Geppetto. Lo spero (27 ottobre 2019).

Federico Ielapi, Roberto Benigni

Pinocchio (2019): Federico Ielapi, Roberto Benigni

Oggi, 21 dicembre 2019, posso finalmente dire cosa ne penso sia del nuovo film "Pinocchio", sia dell'interpretazione di Benigni. Garrone, regista e sceneggiatore del film, ha fatto un eccellente lavoro estetico: fotografia, costumi, trucchi, ambientazioni e scenografie mai viste in un film italiano, davvero un ottimo lavoro ma manca l’ingrediente fondamentale che lo rende un film in tutto e per tutto. Io ho visto alcuni film su Pinocchio e ho letto l’opera originale perciò penso di poter dare un parere generale: il film ha un problema che molti film moderni hanno, in particolare remake o live-action, ovvero la mancanza di pathos o qualsivoglia emotività in particolari scene se non, nei casi più gravi, in tutto il film. Qui il problema probabilmente è dovuto dal fatto che la favola nostrana difficilmente può avere una trasposizione perfetta – ricordiamo il Pinocchio disneyano o quello nostrano degli anni ’70 parecchio sconosciuto – anche se abbiamo avuto un ottimo esempio italiano negli anni ’70 con co-protagonista Nino Manfredi, “Le Avventure di Pinocchio”, a detta di molti il miglior film italiano basato sulla favola di Collodi. So che Garrone ha fatto un solo film con elementi fantasy, “Il Racconto dei Racconti” - che ancora non ho visto - dove vi era molta sperimentazione sul genere, cosa che probabilmente è rimasta anche su questo film. Nonostante ciò bisogna riconoscere le buone interpretazioni del giovane Federico Ielapi nel ruolo di Pinocchio, del buon vecchio Benigni e di un inusuale ma simpatico Massimo Ceccherini nel ruolo della Volpe; divertente anche il piccolo ruolo di Gigi Proietti nei panni di Mangiafuoco. Ora – parlando con chi ha già visto il film – io non so se ho problemi, ma nel film sembrava e ribadisco sembrava ci fossero del citazioni a due film in cui Benigni ha partecipato, “Berlinguer Ti Voglio Bene” e “Il Minestrone”. Nella prima Benigni, o meglio Geppetto, rincorre Pinocchio nel prato con una certa fatica e lì mi ha ricordato la scena in cui, nel film originale, Mario Cioni (sempre Benigni) aveva una sfuriata in mezzo alla campagna, ovviamente con una certa differenza di toni; la seconda invece, più legata all’aspetto del Gatto (Rocco Papaleo) e la Volpe, una scena in particolare mi ha ricordato la sequenza in cui, nel film originale, Francesco (Franco Citti), Giovannino (Ninetto Davoli) si ingozzavano nel ristorante romano. Cosa dire, comunque del ruolo di Benigni? Mi è piaciuto il fatto che lo abbiano leggermente approfondito per una buona parte della prima metà di film, seppur comunque Geppetto non abbia molto da approfondire. Benigni ha ancora qualcosa da dire a livello attoriale e lo dimostra la sua capacità nello struggere emotivamente lo spettatore anche solo attraverso l'umore da egli indossato: un Geppetto grezzo, malato di cuore che, nonostante tutto e tutti, farebbe di tutto per vedere il piccolo Pinocchio felice e spensierato. 

E con ciò concludo sia la mia dedica personale ad uno dei miei attori italiani preferiti, sia il mio “cammino” su Filmtv. Ringrazio chiunque si sia imbattuto sotto questo post avendo avuto il coraggio di leggerlo tutto, grazie mille ancora! Detto questo, buone feste!

Andrea

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