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Anna Karina, l'indimenticabile volto femminile della Nouvelle Vague
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La morte di Anna Karina, a 79 anni, malata da tempo, è avvenuta, qualche giorno fa.  Nel silenzio distratto dalla febbre pre-natalizia e dalle minime vicende delle beghe nostrane, non tutti i quotidiani italiani le hanno dedicato la dovuta attenzione per tacere dei maggiori siti di informazione cinematografica del Web: qualche breve agenzia di stampa, qualche articolo frettoloso…

Con questo brevissimo ricordo, spero di onorarne, indegnamente, la memoria. 

 

 

Aveva origini danesi e si chiamava Hanne Karin Blarke Bayer; era bellissima e a Parigi era andata per fare la modella di Coco Chanel nel 1957: era stata mademoiselle Chanel invitarla ad accorciare quel nome e a suggerirle quello di Anna Karina, con cui tutti noi l’abbiamo conosciuta.

A Jean Luc Godard, invece, va il merito di averla inserita nel suo cinema trasgressivo all’inizio degli anni ’60 (con lei, in verità, aveva prestato il suo volto di interprete in un “corto” di Eric Rohmer (Presentation ou Charlotte et son steack), ma era stato con Le Petit Soldat nel 1960 – film sulla guerra d’Algeria - che Anna era diventata la sua interprete e anche la sua musa ispiratrice.

Si erano sposati nel 1961 e da allora, fino al 1967 Anna  fu davvero il volto femminile dei suoi film e  perciò stesso della Nouvelle Vague: i magnifici Pierrot le fou; Une femme est une femme; Vivre sa vie; Alphaville, nonché il meraviglioso Bande à part a cui sono legate alcune famosissime sequenze che hanno fatto la storia del cinema, e che, in un gioco di specchi, e di continuità, rimandano a Truffaut  e a Bertolucci.

 

 

 

 

 La fine del loro matrimonio aprì ad Anna nuove prospettive: era stata (1966) con Valerio Zurlini (Le soldatesse), ma avrebbe lavorato in seguito per altri registi italiani: Luchino Visconti (Lo straniero - 1967-); Emidio Greco (L’invenzione di Morel -1975 – ); Franco Brusati (Pane e cioccolata -1977-).

 

 

Ancora in Francia e ancora con la Nouvelle Vague, per il grande Jacques Rivette nel 1968 era stata Suzanne Simonin nel film ispirato al grande romanzo di Denis Diderot, La religieuse) e ancora nel 1996 (Haut, bas, fragile). 

Più tardi, per il cinema d’oltralpe avrebbe girato per Jacquot, Maline, Arcady e, nel 1988, per Delvaux, insieme a Gian Maria Volonté (L’opera al nero, dal romanzo di Marguerite Yourcenar).

Fu in Germania con Fassbinder e Schlöndorff; in Gran Bretagna con Guy Green; a Hollywood con George Cukor, Lee Thompson e Alexander Buravsky, testimoniando, con la presenza costante nel tempo, la propria dedizione al cinema, di cui seppe attraversare i generi,  in ogni parte del mondo.

 

  

 

 

Un grazie dal profondo del cuore.



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