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In questo testo si nasconde - e nemmeno troppo bene - una profonda incazzatura. Ma arriviamoci per gradi. Quanti anni avete? Credete di poter partecipare al Festival di Cannes? E a quello di Venezia? Suonate jazz?
È vero: ho la febbre, proprio ora mentre scrivo. Ma l’insieme di queste domande non deriva dalla mia alterazione febbrile, quanto semmai dal fatto che nella mia città - Milano - si sta preparando anche quest’anno JazzMi: la grande rassegna che da qualche anno con determinazione e fermezza ci ricorda che il Jazz è morto. O almeno che è musica del passato. Se l’idea che un festival celebri lo stato di avanzata decomposizione di ciò che espone vi pare curiosa, date un occhiata al cartellone. Io ci ho provato. E ho provato a identificare i nomi di quello che - se paragonassimo quest’evento a un festival di cinema - potrebbero essere considerati i selezionati al concorso principale: quelli che suonano "nella sala grande", i grandi nomi in cartellone. Intendiamoci: grandi lo sono davvero. Ve ne dico alcuni e vediamo se li riconoscete: Archie Shepp, Herbie Hancock, John McLaughin. Suona qualche campanello? Ci sono anche nomi italiani eh: Enrico Rava, Enrico Intra. E ancora Chucho Valdes, John Scofield, Tuck &Patti. Dai anche se proprio non siete jazzofili qualcosa lo avrete ben sentito.
Ho fatto allora un piccolo esercizio: ho preso questi nomi e qualche altro - di quelli appunto iscritti al mio ideale concorso - e li ho messi in fila. Li ho segati in due e ho contato i cerchi dentro. Poi ho fatto la media.

 


Ok. Questa cosa vi sembrerà irrispettosa, dopo ne parliamo. Comunque la media è: 67 anni. La abbassa un po’ Hiromi, spettacolare pianista giapponese che con Patti (69) è anche l’unica donna “in concorso” e ha 40 anni.

Cosa dobbiamo dedurne? Che il jazz non si suona più? Che è una musica museale? Che si diventa bravi solo da vecchi? Che quei nomi chiamano pubblico e altri no?

 

Nel tentativo di capire qualcosa di più mi sono detto: ma se facessi la stessa conta con un concorso di cinema? Ne ho presi due. Venezia e Cannes, di quest’anno. Mi sono limitato ai film in concorso appunto, quelli da “sala grande”, e ho fatto la media dell’età dei registi, che - va anche detto - erano più delle star di JazzMI, quindi con un campione statistico se volete più consistente. A Venezia erano 21. Il più giovane era il colombiano Ciro Guerra, 38enne (ma c’è la possibilità che sia battuto dalla regista Shannon Murphy, a guardare le foto, della cui età non si ha notizia. Le ho dato un 38 anni generico e pessimista). Il più vecchio invece era Roman Polanski, con i suoi 86 anni. L’età media dei registi al concorso di Venezia 76 era di 55.7 anni.
A Cannes invece - dove i registi erano 23 - il più giovane era… facile da indovinare: Dolan, ovviamente. Ora ha 30 anni ma è presente a Cannes da quando ne aveva 20. Il più vecchio invece era Ken Loach, 83 anni. E la media era 54.4.
Dodici anni di media in meno non sono pochi: sono tantissimi. A peggiorare le cose va anche fatta una considerazione: la carriera dei musicisti inizia prima di quella dei registi. È ovvio: un regista deve conquistare fiducia, deve prima farsi conoscere, vedere. È difficile emergere, lo è sempre più. e casi come quello di Dolan sono rari. A trent’anni un regista può ancora non aver fatto nulla di importante, se un musicista a trent’anni non ha fatto nulla è difficile che lo faccia in seguito. C’è insomma ancora una vaga, vaghissima possibilità che io faccia un film e finisca tra qualche anno a Cannes. Ma la vedo molto dura sul fatto che io diventi un jazzista noto.

Se questi ragionamenti vi sembrano strampalati, attribuiteli alla febbre. Oppure con più malizia interpretateli come un’allusione all’incapacità di tutto il sistema-musica - ma potremo allargare alla cultura tutta - nel nostro Paese (ovviamente non parlo della musica prettamente commerciale o "leggera") di produrre talenti, di farli crescere, di dare loro spazi, di coinvolgere nuove platee. Non ho nessuna intenzione rottamante: l’arte è arte, non si giudica dall’età dell’artista, mai. Ma se un festival di una musica che dovrebbe avere al suo interno una vocazione sperimentale, di ricerca e di rottura, vive solo di vecchie glorie allora siamo fottuti.
Io lo vedo già il pubblico di JazzMI, attempato, presenzialista, borghese. Del resto l'ingresso per gli eventi di Herbie Hancock, John McLaughin, Archie Shepp, Enrico Rava & Afro Cuban All Stars” costa in carnet 175 euro. Non certo una roba per giovani.

 

A questo punto scusate ma mi tengo il cinema. Che non sta bene, che ha i suoi problemi, che i registi faticano sempre più a trovare una produzione e tutti i guai che sappiamo. Ma che se fosse guidato come si gestisce la musica in Italia - anzi a Milano - sarebbe morto.

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