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Boia, maschere e segreti: Intervista a Steve Della Casa
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Nel grande revival del cinema italiano degli anni Sessanta (supportato dalla prossima uscita di C'era una volta a... Hollywood di Quentin Tarantino), la 76.ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia non dimentica uno dei generi fondamentali del periodo: l'horror. Gli rende omaggio nella sezione Venezia Classici con il documentario Boia, maschere e segreti di Steve Della Casa, noto critico e presentatore radiofonico per Radiotre Rai di una delle poche trasmissioni dedicate al cinema, Holliwood Party.

scena

Boia, maschere e segreti: L'horror italiano degli anni Sessanta (2019): scena

 

Con "padrino" Bertrand Tavernier, il documentario permette di capire quale e quanta importanza abbia avuto il genere all’estero.

Padri putativi dell’horror di quel periodo sono due registi che, all’apparenza simili, presentano profonde differenze: Riccardo Freda e Mario Bava. Entrambi artigiani del cinema, sul finire degli anni Cinquanta ebbero la brillante idea di seguire il solco tracciato dalla Hammer in Gran Bretagna (i cui horror, a basso costo, invadevano le sale di mezzo mondo e lanciavano volti iconici come quelli di Christopher Lee e Peter Cushing). Della Casa offre una lucida disamina, accompagnata da interventi fondamentali di importanti critici francesi (Frédéric Bonnaud, Jean Gili, Jean- François Rauger, Bertrand Tavernier) e di apprezzati autori italiani come Argento stesso o Pupi Avati (che ricorda come Bava salvò il suo Bordella). Boia, maschere e segreti non manca di soffermarsi su una delle caratteristiche fondamentali del genere: l’artigianato seminale che ha caratterizzato la produzione dell’horror. In un’epoca in cui gli effetti speciali erano giochi di luci, i mostri (semplicistici ma ad effetto) erano realizzati da un giovane Carlo Rambaldi e i castelli si trovavano alle porte di Roma, l’arte di arrangiarsi tipicamente italiana ha fatto il resto.

Oltre alle interviste, il documentario per avvalorare le proprie tesi di avvale di sequenze estratte da titoli, imprescindibili per gli amanti del genere, come Sei donne per l’assassino di Mario Bava, Horror di Alberto De Martino, Il Boia scarlatto di Massimo Pupillo, La cripta e l’incubo di Camillo Mastrocinque, Un angelo per Satana di Camillo Mastrocinque, L’orribile segreto del Dr. Hichcock di Riccardo Freda, La morte ha fatto l’uovo di Giulio Questi, Lo strangolatore di Vienna di Guido Zurli, 5 tombe per un mediumdi Massimo Pupillo, Beatrice Cenci di Riccardo Freda, Nella stretta morsa del ragno di Antonio Margheriti, e Il mostro dell’isola di Roberto Bianchi Montero. Per chi volesse approfondire, qui trova la recensione.

 

Per parlare del documentario, prodotto da Produzione Straordinaria con Augustus Color e distribuito da Compass Film, abbiamo intervistato Steve Della Casa, con l'ausilio di Federika Ponnetti come "operatrice". Queste le domande a cui Della Casa, sul set del suo programma radiofonico, ha risposto (prima di un saluto personalizzato ai lettori di FilmTv.it):

 

Da dove nasce l’idea di concentrare la propria attenzione sul cinema horror italiano degli anni Sessanta? Si tratta di un genere che per altro è strettamente connesso a uno dei suoi lavori precedenti, Mario Bava: Operazione paura, di qualche anno fa, e si colloca anche sulla scia di quel must che è I Tarantiniani.

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Chi sono, secondo lei, in Italia oggi i figli di quella generazione di registi? Chi ha preso le redini del genere, facendo propria la maestria di Bava o Freda nell’arte di arrangiarsi?

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L’horror serve anche a esorcizzare le nostre paure più profonde. È interessare notare come nel suo documentario si tracci la differenza tra i primi horror degli anni Sessanta, ambientati in un altrove lontano, e quelli girati sul finire del decennio, contemporanei e pop. Oggi, secondo lei, dove si va?

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L’arte di arrangiarsi, dicevamo prima. Bava soprattutto ne è stato quasi il rappresentante per eccellenza. Ama il moderno horror tutto effetti speciali e musiche ad hoc?

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Quali difficoltà incontra un critico cinematografico nell’approcciarsi alla regia?

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Come ha selezionato gli spezzoni da inserire nel suo documentario? Ce ne sono alcuni che ritornano, trasformandosi quasi in nuova ossessione. Penso a Beatrice Cenci, Il boia scarlatto o Sei donne per l’assassino.

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Per i supporti critici altrui, ha scelto solo voci francesi. È curioso, se pensiamo che viviamo in un Paese in cui esistono più critici che spettatori.

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Che ne sarà di Boia, maschere e segreti? Uscirà al cinema o andrà in tv? Spesso per il documentario, soprattutto italiano, è difficile trovare sbocchi commerciali.

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Lei sembra seguire una sorta di ordine cronologico nei suoi ultimi lavori. Il cinema dei bulli e delle pupe, quello dei musicarelli e ora l’horror. Il prossimo impegno quale sarà?

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Ha mai pensato l’ipotesi di un appuntamento televisivo dove, in maniera cadenzata e con calma, ripercorrere le tappe del nostro cinema? I canali, fortunatamente, si sono moltiplicati e il digitale potrebbe aprirsi all’ipotesi. Sarebbe come un primo corso visivo tutto italiano sulla storia del cinema.

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