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La leggenda dell' Aquila e le pecore
di Lehava
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"Stringetevi, altrimenti non ci stiamo": venticinque è sul serio il numero massimo di persone che possano entrare in questo angusto spazio al verticale, che ci viene confermato fosse essere il magazzino per i viveri. L'ombra ci accoglie con un accenno di frescura in questa afosa mattinata di agosto: anche qui in altura le temperature non perdonano, e la camminata per arrivare in quota, sebbene leggera, ha fiaccato i più. Il chiacchiericcio si stempera ed attendiamo quieti la spiegazione del nostro accompagnatore, osservandone incuriositi la maglietta rossa appariscente, la scritta gialla "Nuova Acropoli" sulla sinistra, gli scarponcini da trekking che solo a vederli fanno venire un colpo di caldo, un fare dimesso più da turista della domenica che da guida.

"E dunque, via il dente e via il dolore, perché siamo qui?" sorride, richiamando l'attenzione del suo piccolo pubblico. Perché siamo qui mi pare una domanda vaga, e poi che c'azzecca? "E dunque, perché siete saliti fin qui, affrontando quei chilometri di curve, affrettandovi in paese per il bus navetta, e inerpicandovi sul sentiero fino al castello?" insiste. "Com'è che di botto la rocca è diventata famosa?" Ed ecco che un coretto reagisce divertito: "Ahahah, ok. Lady Hawke, beh sì, Lady Hawke".

"Ebbene sì! Proprio Lady Hawke! Siamo debitori ad Hollywood, e non ci vergogniamo a dirlo: Rocca Calascio, abbandonata nel 1703 e diremo poi il perché, resta sconosciuta ai più fino al 1985. O meglio, al 1986, quando esce quel film lì. Ce ne erano stati altri, certo. A partire da Monicelli e gli spaghetti western. Ma vuoi mettere gli americani?" annuiamo tutti convintissimi. "Beh, gli americani, in effetti...." "Beh gli americani hanno tutt'altro appeal. Destano l'interesse degli stranieri certo, ma soprattutto degli italiani. Così, nel giro di pochi anni, ci ritroviamo tanti di quei turisti che il borgo in agosto scoppia. E coomincia a ripopolarsi. Tutto grazie ad un film...."

"Tutto grazie ad un film" mi suona un bel pensiero, sul serio. Saliamo ordinati la scala a chiocciola, fino ad arrivare alla sommità: uno spazio vuoto, chiaro, abbagliante di bellezza: il Gran Sasso e la Maiella ma anche i Monti Marsicani, la sottostante Valle del Tirino e laggiù, ma un crinale lo nasconde, Campo Imperatore. Castel del Monte addormentato e forse forse, i tetti di Castelvecchio Calvisio che riconosciamo per averlo costeggiato in macchina, convinti di aver sbagliato strada.

"Prima di lasciarvi a deliri virtuali di condivisioni, lasciatemi raccontare la storia di questo castello, che castello, in verità, mai fu." La nostra guida non manca certo di ironia, e bisogna riconoscerle un sottile fascino nell'affabulazione: siamo stati proprio fortunati, a trovarla, quassù. Ci narra dunque una storia che di glorioso e cavalleresco ha assai poco, ma che riguarda invece le radici più arcaiche, umili e veraci, di questo territorio e della nostra Storia: con gusto quasi pittorico, o filmico se più aggrada, ci invita ad immaginare un altopiano nel verde di una tarda estate, brulicante e rumoroso di animali e uomini. Tutti radunati per una messa, una benedizione, l'invocazione della protezione divina, e poi via, giù per i sentieri, il lungo cammino: 244 chilometri, 4 settimane epiche a piedi, in fila, uno dietro l'altro, ognuni pastore con il proprio gregge, esposti al vento alla fatica, dormendo con un occhio solo per vigilare sul prezioso bestiame, la speranza di rivedere, ancora una volta, la pianura accogliente del Tavoliere. E la rocca lì, muta: nido di aquile a affermare, salda, il proprio ruolo nel controllo dei tracciati minori del tratturo, apparato primario dell’economia locale basata quasi esclusivamente sulla transumanza. Fu torre di avvistamento romana fra l'Adriatico ed il Tirreno, sì. Ma la struttura che conosciamo oggi è quattrocentesca: fu Antonio Todeschini della famiglia Piccolomini a fortificarla, a tassare i capi, a bonificare l'area di predoni occasionali. A renderla così appetibile che i Medici di Firenze acquistarono, nel 1579, l'intero pacchetto comprendente anche il vicino borgo di Santo Stefano di Sessanio per 106.000 ducati, assicurando la filiera dalla materia prima: la lana. Ma come la cronaca di questi ultimi anni ci ha confermato tragicamente, a spaccare il prima dal poi in queste terre così giovani, fu un terremoto. Quello del 1703 che devasta la parte alta del piccolo borgo medievale. E convince gli abitanti al definitivo abbandono, costruendo più a valle Calascio.

La rocca, la chiesa di Santa Maria della Pietà, le case restano lì per più di trecentocinquant'anni, silenziose e sconosciute al grande pubblico.

Fino a che ... un francobollo, certo. Di cui pochi si ricordano, però.

Metà anni '80: il film. L'Arme, Le Dame, I Cavalieri, una leggenda ambientata ad Aquila, che nella versione italiana diventa la francese Aguillon.

Poi i lavori di messa in sicurezza e di restauro, fra il 1986 ed il 1989.

Ed altri film ancora, nostrani ma soprattutto le produzioni internazionali: "Il nome della rosa"

The American - 2010

Oggi Rocca Calascio è un piccolo borgo che conta 10 abitanti, un Albergo Diffuso, un altro paio di ristoranti. I turisti arrivano a piedi, o grazie ad un bus navetta proveniente da Calascio. Lasciandosi alle spalle i ruderi delle case, in 10-15 minuti si arriva al castello. Ed una piccola fatica è ripagata dalla bellezza 

 

 

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