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L'occlusione mentale dell'internauta medio
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L’occlusione mentale dell’internauta medio

Breve, meglio brevissimo, semiserio e talvolta semitragico saggio in forma caustica esposto all’inflessibile giudizio e all’incontenibile voyuerismo del lettore

 

E’ possibile vi stiate chiedendo cosa c’entri con il cinema. Ebbene, c’entra. Perché, in sostanza, c’entra con tutto. Con ogni possibile ed immaginabile ambito dello scibile umano.

L’occlusione mentale è uno dei mali (forse insanabili) del nostro secolo (e forse di ogni secolo prima e dopo di esso). Quasi sempre è relativamente facile identificarne le cause e individuarne le origini, ma ciò non rende in alcun modo più apprezzabili o rincuoranti le conclusioni che se ne derivano. Dall’avvento di Internet in poi più che essersi “espansa” ha semmai trovato un formidabile strumento di propagazione. In altre parole: non sono aumentati il numero degli ignoranti, in proporzione, ma molto più semplicemente il numero di essi che ha accesso ad uno smartphone.

 

 

Ma l’Internet globalizzato e asservito alle logiche del mercato non agisce solo da puro e passivo “divulgatore” o “diffusore” di plateali idiozie ma anche da abile costruttore delle stesse. Non agisce da puro e semplice propagatore di ignoranza e di pavoneggiamento involontariamente auto-derisorio dei più variegati ignoranti, ma da grande affabulatore delle masse. Perché non solo fornisce agli ignoranti un’allettante piattaforma dalla quale rendere partecipe il mondo delle loro profonde scoperte (ovviamente, in controtendenza rispetto al “mainstream” scientifico, politico, logico), ma crea in loro l’illusione della conoscenza (il che è, si potrebbe dire, persino più grave). Persuade chi non sa di sapere invece tutto, volendo anche di qualunque possibile argomento; convince dell’inutilità intrinseca dello studio “tradizionale” ed invita a cicatrizzare a fuoco le proprie idee e convinzioni in un sistema sempre più chiuso e dal quale non si riesce più ad uscire (soprattutto: non si vuole più uscire, visto e considerato quanto è bello avere sempre ragione, sempre la risposta pronta, sempre una sedicente profonda teoria da tirar fuori dal cilindro all’occorrenza). Produce uomini e donne, adulti e ragazzini, (forse) paradossalmente antisociali ed incapaci di pensiero critico, nonché autonomo, perché invita continuamente, e persuasivamente, a confermare le proprie convinzioni che si da per scontato essere giuste, mentre non invita per nulla ad ascoltare le opinioni discordanti.

Gli algoritmi, e non si tratta certo d’una novità, profilano e categorizzano l’utente per poi proporgli solo ed esclusivamente sempre più accurati articoli che combacino col suo proprio sistema di interessi e “credenze”. Dunque, Internet non costituisce un formidabile strumento di conoscenza (per via del suo essere un impareggiabile bacino di informazioni) di per sé, perché se non si sa come usarlo (se non si ha, in altri termini, una conoscenza pregressa) rischia invece di rivelarsi controproducente. In quanto invita ad annullare il distinto e a conformarsi. Invita, come detto, a non prendere in considerazione le opinioni degli altri. Quando va bene ad ignorarle, quando va male a denigrarle senza neppure conoscerle, riparando inevitabilmente sulla facile offesa e sulla meschina menzogna.

 

 

Right, Donald, that's definitely what needs to be done!????????????

 

 

 

In più, la costante esposizione ad una quantità prima impensabile di informazioni produce essa stessa degli effetti di ancora difficile precisissima enunciazione, ma di scala che non si può che definire epocale. Siamo perennemente tartassati, subissati, di informazioni. Ma il pericolo più grande rimane il fatto che tali informazioni, oltre a non essere spesso verificate, sono ancora più spesso del tutto parziali.

Da tutto ciò discende la poco rosea situazione nella quale siamo immersi oggi (e non v’è alcuna ragione di pensare che in futuro debba migliorare. Al contrario). Laddove ad ogni nuovo giorno s’assiste ad una nuova, agghiacciante, rappresentazione degli abissi ai quali è capace di giungere la natura umana (basta solo aprire un qualunque social). E laddove, di conseguenza (ecco che giungiamo al punto), anche i più diversi campi paiono adeguarsi. Compreso il cinema. Di fronte all’onda lunga, e anomala, della (anche violenta) ignoranza dell’internauta medio, anche i gusti paiono conformarsi. E dunque ecco un (antropologicamente interessante) proliferare di opere di pseudo-inchiesta, di pseudo-documentari, pseudo-“opere verità”, pseudo-reportage e quant’altro che non fanno altro che tentare di tenere il passo con questa più ampia, e collettiva, degenerazione nel dibattito e nel discorso pubblico. Talvolta anche rilanciando al massimo grado, senza alcuna vergogna (caso eclatante: Vaxxed, dell’onorato e pregevole mentitore seriale Andrew Wakefield).

 

locandina

Vaxxed (2016): locandina

Quando si dice: l'informazione...

 

Ma non si tratta solo di questo. Anche nel cinema di finzione, pure in quello di puro intrattenimento, che non ha per definizione alcun intento di responsabilizzazione o simili dello spettatore, s’assiste allibiti ad un degrado completo della proposta “mainstream”. Forse sempre in ossequio allo strapotere crescente dell’ignorante medio i film stessi, anche quelli non a larghissima diffusione, si fanno sempre più ignoranti, idioti, convenzionali, ripetitivi, banali, persino più del passato. In pratica, si conformano ad un gusto medio che evidentemente si sta facendo sempre più miserrimo.

Ed ecco dunque un variopinto proliferare di sequel, prequel, midquel, remake, reboot, spin-off, “reimagining”, threequel ed avanti così all’infinito in un tripudio di termini di evidente natura anglosassone, ad un ritmo e con una frequenza mai visti prima.

Ed ecco quindi che si giunge inesorabilmente ad un anno, come questo nostro presente, nel quale compaiono in allarmante successione oltre ai soliti rifacimenti, anche, ad esempio, i “nuovi” esemplari del “nuovo” genialissimo genere di rifacimento specifico: quello che trasporta un film d’animazione in un film sedicente dal vero (o live-action), che poi naturalmente “dal vero” non è mai, visto che è quasi interamente realizzato in computer-graphic (dunque, in un’altra sorta d’animazione: ma gli stolti sono sempre pronti a farsi abbindolare).

 

 

 

scena

Il Re Leone (2019): scena

Trova la differenza! Ah, già...

 

 

 

Un anno nel quale, per ora, tra i maggiori incassi, oltre ai soliti seguiti (come quel gran capolavoro molto esaltato che è Avengers: Endgame), ecco che si palesano, come detto a frequenze allarmante, fin shockante, ben due filmacci Disney fedeli scopiazzature di altri film Disney del passato (ovvero, Aladdin e Il re leone). Entrambi i quali hanno già superato il miliardo al botteghino, danno palese conferma di quanto detto circa la degenerazione culturale totale della nostra odierna epoca e del piacere perverso che provano tanti spettatori nell’essere trattati come effettivamente sono: dei sostanziali cretini ai quali piace regalare grassi incassi alla major di turno per sentirsi riproporre sempre le stesse, medesime, storie. Ed attenzione, non “simili” o “derivative” ma proprio le stesse, identiche, storie, realizzate con lo stampino andando a rimestare per il mare ribollente d’idee d’un passato più glorioso.

E quanto detto significa solo scalfire la superficie. Indagando più a fondo la situazione si fa non solo più ampia ma anche forse persino più desolante.

E con il rapido allargarsi del “potere” d’un nuovo genere di ignorante pure arrogante a cui piace d’esser trattato come tale (visto che, chiaramente, non si rende conto di esserlo), è solo destinata a peggiorare. Forse è già l’ora si suonare la messa da requiem per il cinema popolare come lo conoscevamo un tempo.

 

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