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AKIRA - L'INCUBO ATOMICO E IL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA -- ANALISI DI UN CAPOLAVORO INTRAMONTABILE - PARTE II
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II.

L’INCUBO ATOMICO E LA LEZIONE DELLA STORIA

 

E’ proprio quest’ultimo fattore a fornire la possibilità di ricollegarsi a vicende storiche reali. E ad offrire la sponda ad una riflessione d’ampio margine circa il progresso tecnologico e la necessità di analizzarne preventivamente i possibili effetti. Prima che essi si manifestino in tutta la loro possibile dirompenza, irruenza e distruttività.

Il progetto Akira, le deflagrazione ad inizio e conclusione del film, rappresentano tutti eloquenti metafore (neanche tanto sottili) di un tema fortemente sentito, per ovvie ragioni, dai giapponesi e che pervade fortemente innumerevoli opere d’arte, tra le quali appare importante soffermarsi, ai fini della nostra analisi, su quelle d’animazione.

E’ costantemente e palesemente presente, o minacciosamente incombente, nei lavori, ad esempio, di Osamu Tezuka, denominato “il Dio dei manga”, Hayao Miyazaki, Isao Takahata (l’indimenticabile capolavoro Una tomba per le lucciole) e, in particolare, Leiji Matsumoto (con la sua serie Yamato).1 E si tratta, naturalmente, del tema mai inattuale della catastrofe atomica. Chiaramente collegato agli unici caso d'utilizzo effettivo d'armi nucleari nella storia dell'uomo: le mattine del 6 e 9 agosto 1945. Date impresse a fuoco nella memoria del popolo giapponese. E che lo inquietano ancora oggi, continuando ad ispirare autori e registi tra i più disparati (seppur in misura minore che negli anni ‘70 e ‘80).

Appare opportuno, comunque, ripercorrere le tappe fondamentali della vicenda belligerante del Giappone nel primo dopoguerra e nel mentre della Seconda guerra mondiale.

Nel 1939, il Giappone, difatti, si trovava in guerra con la Cina già da due anni. Tale guerra si prolungò lungo tutto il conflitto mondiale e si configura, unitamente ad altre contemporanee vicende europee, come un inquietante presagio di quest’ultimo.

 

 

 

La guerra fu causata da una serie di fattori. Innanzitutto, è bene ricordare come, a seguito del primo conflitto mondiale, il Giappone avesse ormai consolidato la sua posizione di massima potenza asiatica, e fosse riuscito a conquistare i mercati abbandonati dalle potenze europee a causa del conflitto. Questo periodo, tra l’inizio del secolo e gli anni ‘30, fu caratterizzato da un’impetuosa crescita demografica (la popolazione passò da 44 a 65 milioni di abitanti) e da un notevole dinamismo dell’economia.

Ma il paese era anche attraversato da spinte nazionalistiche e imperialistiche che avevano come obiettivo il Pacifico e l’intera Asia, e in particolare la sottomissione di vaste aree della Cina. Se, durante il primo decennio, queste spinte imperialistiche pur presenti si svilupparono in un contesto istituzionale di tipo liberale, già negli anni ‘20, però, fecero la loro comparsa movimenti autoritari di estrema destra.

Alla fine degli anni ‘20, in maniera simile all’Europa, queste tendenze furono favorite dalle conseguenze della grande crisi, che provocarono un vasto e profondo malcontento popolare. Il Giappone, da questo momento in poi conobbe dunque una stagione di crescente autoritarismo, che si risolse nella chiusura di ogni spazio di opposizione, in una dura repressione antioperaia, nella sostanziale assunzione del potere da parte dei generali e degli esponenti delle zaibatsu, le grandi concentrazioni industrial- finanziarie. Con il beneplacito dell’imperatore Hirohito, salito al trono nel ‘26. Furono proprio queste forze a portare avanti la più spietata politica imperialistica, a spingere per la guerra con la Cina e a far assumere al Giappone una collocazione internazionale molto vicina a quella delle potenze fasciste europee. Il che condusse il paese alla catastrofica "avventura" del secondo conflitto mondiale.2

Il primo passo nell'inesorabile discesca verso il disastro fu comunque, come accennato, l’attacco alla Cina, che dette inizio alla seconda guerra sino-giapponese, che si prolungò dal 7 luglio 1937 fino al 2 settembre 1945.

In brevissimo tempo, in soli sei mesi, i giapponesi conquistarono gran parte della Cina costiera e la capitale del governo nazionalista guidato da Chang Kai-Shek, Nanchino, dove furono commesse gravi atrocità. Mentre l’esercito nazionalista continuò ad affrontare quello giapponese in infruttuosi scontri in campo aperto, l’esercito popolare cinese comunista di Mao Zedong riuscì ad indebolire i giapponesi grazie a capillari azioni di guerriglia.

Il governo nazionalista non dichiarò guerra sino all’attacco da parte giapponese di Pearl Harbor. Da questo momento Chang Kai-Shek ottenne molti aiuti dagli Stati Uniti, ma non riuscì mai a sconfiggere in maniera definitiva i giapponesi, che si ritirarono solo a seguito della sconfitta nel secondo conflitto mondiale.

L’effetto maggiore di tale guerra, da parte cinese, consistette nel rafforzamento dei comunisti (grazie all’appoggio delle masse contadine), preludio alla loro vittoria definitiva sui nazionalisti che porterà alla fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949.3

Ma ritorniamo al Giappone. La guerra sino-giapponese fu uno dei primi motivi d’attrito con gli Stati Uniti che alla stessa risposero con un embargo di 6 mesi come ammonimento. Il Giappone tentò allora di accrescere la propria indipendenza economica attraverso nuove conquiste. Stabilì dunque basi aeree nell’Indocina settentrionale e in Thailandia. Cominciò poi ad importare petrolio dall’Indonesia (Indie orientali olandesi) per sganciarsi dalla dipendenza dagli Stati Uniti. Questi ultimi, reagirono con ulteriori restrizioni commerciali e il Giappone si trovò di fronte alla minaccia reale di essere escluso dalle indispensabili fonti energetiche: in tal caso le sue riserve di petrolio non sarebbero durate più di due anni.

Calcolando che nel 1941 le sue forze navali nel Pacifico fossero in numero uguale a quelle di Regno Unito e Stati Uniti, e che questo equilibrio non avrebbe potuto che spostarsi inevitabilmente in favore di questi ultimi, il Giappone scelse deliberatamente la strada dello scontro diretto, e il 7 dicembre ‘41, sferrò "l’attacco preventivo" all’imponente base navale statunitense di Pearl Harbor, situata sull’isola di Oahu, nell’arcipelago delle Hawaii. Tale attacco provocò l’entrata in guerra degli Stati Uniti e l’estensione della guerra mondiale all’Asia. Ed inizialmente il Giappone ottenne ampi successi, arrivando al culmine della propria influenza a sei mesi da Pearl Harbor. Tuttavia il Paese del Sol Levante non riuscì mai a stabilire un’effettiva superiorità navale sulla flotta statunitense, e pertanto cominciò a registrare sempre più ampie sconfitte.

Dopo la vittoriosa conquista dell’isola giapponese di Iwo Jima, gli Stati Uniti cominciarono a bombardare le città giapponesi in preparazione di un’invasione. Incoraggiati dalle vittorie in Europa e dai risultati conseguiti nella ricerca sulla bomba atomica, gli Stati Uniti, insieme ai loro Alleati, promulgarono il 26 luglio ‘45 la dichiarazione di Potsdam che esigeva la resa incondizionata del Giappone.

Non avendo questa un esito immediato, il presidente Truman autorizzò il lancio della bomba sulla città di Hiroshima prima e su quella di Nagasaki poi, per evitare ingenti perdite statunitensi nel caso di una lunga campagna per la conquista del Giappone, e in particolare per mostrare al mondo, e all’URSS, la terrificante potenza di tali ordigni, oltreché la schiacciante supremazia militare degli USA.4

A seguito di tali attacchi, le mattine del 6 e 9 agosto, che provocarono effetti devastanti (ad Hiroshima le vittime immediate furono 80 000, a cui ne vanno aggiunte altre 60 000 nell’arco di un anno5, mentre a Nagasaki, furono 74 000; il tutto senza contare gli effetti sul lungo periodo dell’esposizione alle radiazioni), il Giappone offrì un cessate il fuoco incondizionato il 10 agosto, che entrò in vigore il 15. La resa senza condizioni divenne infine effettiva il 2 settembre.6

 

               

 

Da quel momento, il Giappone fu posto sotto l’occupazione statunitense, che si protrasse sino al 1952. Lo SCAP (Comando supremo delle potenze alleate) si stabilì a Tokyo, dove organizzò i Processi ai comandanti delle forze giapponesi (dai quali fu comunque escluso l’imperatore Hirohito, a cui fu imposto solo di rinunciare alle proprie prerogative divine), e da dove promulgò la nuova costituzione del paese, di stampo "pacifista".

Da questo momento in poi, il Giappone andrà incontro ad una fase di grande crescita economica che si protrarrà ininterrottamente fino alla metà degli anni ‘70. L’economica si riprenderà negli anni ‘80 per poi subire un nuovo tracollo nei primi anni Novanta, a causa dello scoppio della bolla speculativa.

Akira uscì poco prima di quest’ultimo avvenimento, in un periodo in cui l’economia giapponese godeva ancora di buona salute (nonostante i germi di detta bolla speculativa che scoppierà infine nel corso del 1991 si stessero già propagando).

E, come detto, non manca, al pari di diverse altre opere antecedenti, contemporanee e successive, di confrontarsi con il tema del disastro atomico. Le reminiscenze dei fatti di Hiroshima e Nagasaki appaiono evidenti, così come evidente è la sconsolata constatazione dell’incapacità da parte dell’uomo di imparare dai propri errori. In tal senso, l’opera di Otomo si rivela perfettamente figlia di un periodo come quello della guerra fredda (comunque quasi al termine al momento dell’uscita nelle sale) caratterizzato da una costante minaccia dello scoppio di una guerra termonucleare.

L’eventualità di un tale accadimento è da sempre monitorata, sin dal termine della seconda guerra mondiale, dagli scienziati del Bulletin of Atomic Scientists, i quali, a partire dal 1947, portano avanti l’iniziativa del cosiddetto “Orologio dell’apocalisse” che vorrebbe indicare in che misura sia più o meno imminente il pericolo dello scoppio di una guerra che metterebbe a serio rischio la sopravvivenza stessa del genere umano.

E’ interessante notarlo, anche in relazione al film, in quanto oltre al 1953 (quando fu sviluppata, in piena corsa agli armamenti, la prima bomba all’idrogeno), il momento di massima vicinanza alla mezzanotte si è toccato proprio nel 20187, ovvero, nella finzione cinematografica, appena un anno prima degli avvenimenti narrati in Akira.

E’ pur sempre vero che viviamo in un “futuro” molto diverso da quello preconizzato nell’opera di Otomo, ma è nell’opinione degli scienziati del Bulletin che la crescita dei nazionalismi, l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, il rischio di una nuova corsa agli armamenti tra Stati Uniti e Russia e, inoltre, lo scetticismo dimostrato dalla nuova amministrazione statunitense verso il tema del cambiamento climatico, non adeguatamente affrontato in nessuna parte del mondo, avvicinino in modo quasi irrimediabile l’umanità alla mezzanotte.8

Il che è utile per ricordare ai lettori come l’eventualità di una guerra atomica non sia per nulla completamente scemata con la fine della guerra fredda. E come anche il cambiamento climatico si affermi sempre di più come una seria minaccia alla vita sulla terra così come la conosciamo (di più: come i radicali cambiamenti dal punto di vista del clima da qui a qualche decennio elevino enormemente il rischio dello scoppiare proprio di una guerra termonucleare).

Tali avvertimenti, così come quelli contenuti in opere di fantascienza come Akira, non hanno da intendersi come atti a diffondere il panico o la paranoia, ma piuttosto come volti a incoraggiare una seria e ragionata riflessione circa i temi mai così attuali che sollevano. Il ruolo della fantascienza distopica è proprio quello di mostrare un possibile futuro allucinante e oppressivo al fine di illuminare le contraddizioni dell’oggi, le diseguaglianze ancora presenti, le ingiustizie, i malumori. E, attraverso la rappresentazione di una degenerazione al massimo grado di tali ingiustizie, intende fare da monito ed invitare ad intraprendere un’altra strada, per costruire un futuro migliore.

 

 

 

 

IV.

CONCLUSIONI

 

Il fondamentale pessimismo dell’opera di Otomo, non ha comunque impedito alla stessa di ottenere un largo successo e di esercitare un’amplissima influenza.

In particolare, Akira risulta essere sicuramente una delle più importanti esportazioni del cinema giapponese, non solo d’animazione, di sempre. Al pari di opere come Rashomon di Kurosawa o Viaggio a Tokyo di Ozu rappresenta uno dei vertici del cinema giapponese, ed uno dei suoi prodotti più influenti, celebri e celebrati nel mondo.9 L’epicità della narrazione, la monumentalità delle animazioni e delle scene d’azione, la potenza della colonna sonora, la scala impressionante dello scontro finale, il ritmo frenetico e la cura nel dettaglio, hanno esercitato una larghissima influenza su tantissimi autori delle generazioni successive.

Una larghissima influenza sul cinema d’animazione, ma altrettanto su quello “live-action”, in particolare americano. Film come Dark City (1997)10, Chronicle (2012), Looper (2012), sono stati tutti fortemente e direttamente influenzati dall’opera di Otomo. Sia in Looper che Akira, ad esempio, all’interno della narrazione è presente l’elemento centrale dei danni provocati dai poteri telecinetici totalmente fuori controllo di un ragazzo all’apparenza normale.11

L’uscita di Akira, e il suo conseguente successo (comunque non immediato), non solo ha reso possibile la diffusione dell’animazione giapponese nel mondo, ma ha inoltre aperto la strada alla realizzazione di innumerevoli altre opere trattanti tematiche adulte e complesse, non più relegate nel ristretto margine del cinema per famiglie.

Grazie al film di Otomo, si è potuto sviluppare, quindi, un intero nuovo filone, prima molto marginale, rivolto ad un pubblico più maturo, ma di carattere non pornografico.12 Si sono spalancate le porte alla realizzazione di opere quali Ghost in the Shell, Neon Genesis Evangelion, Millenium Actress, Perfect Blue, Paprika (al quale si ispirerà Christopher Nolan per il suo Inception), The Sky Crawlers e via di questo passo. Opere che ad un forte senso dello spettacolo affiancano trame complesse, talvolta criptiche, adulte e mai scontate, un’attenzione prima non comune alla caratterizzazione dei personaggi, al loro approfondimento psicologico, e, soprattutto, un’attenzione quasi maniacale alla cura nel dettaglio delle animazioni.

La parola capolavoro è spesso abusata, certamente troppo di frequente evocata. Ma applicata ad un film che ha esercitato una così larga influenza, che ha mantenuto, a ben trent’anni dalla sua uscita, talmente intatta la sua forza spettacolare e la capacità di stimolare riflessioni e idee, che a ben vedere, come ampiamente detto, affida alla sensibilità degli spettatori un messaggio di tale estrema attualità, risulta essere piuttosto la più adatta a descriverlo.

Akira è un capolavoro d’influenza, di animazione, disegni, sound design e musica. Un autentico capolavoro. Meglio ancora, una pietra miliare, un’opera, dunque, di straordinaria importanza, che si è rivelata indubbiamente in grado di segnare una tappa fondamentale nella storia della cinematografia.

 

 

NOTE

 

1Per approfondire: S. J. Napier, World War II as Trauma, Memory and Fantasy in Japanese Animation, in https://apjjf.org/-Susan-J.-Napier/1972/article.html; e F. Fuller, The deep influence of the A-bomb on anime and manga, in http://theconversation.com/the-deep-influence-of-the-a-bomb-on-anime-and-manga-45275.

2Cfr. G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, 2008, p. 174-75

3Cfr. J. Palmowski, Dizionario di storia del ‘900, il Saggiatore, 1999, p. 141-4

4J. Palmowski, op. cit., p. 293-94

5Ivi, p. 310

6Ivi, p. 469

7Vedi 2018 Doomsday Clock Statement, in https://thebulletin.org/2018-doomsday-clock-statement

8Ibid.

9M. Covill, Akira Is Frequently Cited as Influential. Why Is That?, in https://filmschoolrejects.com/akira-influence-12cb6d84c0bc/

10A. Eckman-Lawn, 6 Major Cases of Hollywood Ripping off Anime (and One Huge Counter-Example), in https://www.therobotsvoice.com/2013/11/pacific_rim_neon_genesis_evangelion_the_lion_king.php

11M. Evry, 10 Hollywood Movies That May Have Been Inspired by Anime, in http://mentalfloss.com/article/57322/10-hollywood-movies-may-have-been-inspired-anime

12M. Covill, op. cit.

 

 

 

 

 

Riferimenti

 

Bibliografia

 

S. J. Napier, Anime: From Akira to Howl’s Moving Castle, New York, Palgrave Macmillan, 2005.

G. Tavassi, Storia dell’animazione giapponese. Autori, arte, industria, successo dal 1917 ad oggi, Latina, Tunué, 2017.

M. Ghilardi, Cuore e Acciaio. Estetica dell’animazione giapponese, Padova, Esedra editrice, 2003.

A. Gramsci, da L’Ordine Nuovo, 11 marzo 1921, anno I, n. 70.

P. Mereghetti, Dizionario dei film, Milano, Baldini & Castoldi, 2017.

J.M. Bouissou, Il Manga. Storia e universi del fumetto giapponese, Latina, Tunué, 2011.

G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, 2008.

J. Palmowski, Dizionario di storia del ‘900, il Saggiatore, 1999.

 

 

 

Sitografia

 

T. Usher, How ‘Akira’ Has Influenced All Your Favourite TV, Film and Music, in

https://www.vice.com/en_au/article/kwk55w/how-akira-has-influenced-modern-culture

S. J. Napier, World War II as Trauma, Memory and Fantasy in Japanese Animation, in https://apjjf.org/-Susan-J.-Napier/1972/article.html

F. Fuller, The deep influence of the A-bomb on anime and manga, in http://theconversation.com/the-deep-influence-of-the-a-bomb-on-anime-and-manga-45275.

2018 Doomsday Clock Statement, in https://thebulletin.org/2018-doomsday-clock-statement

M. Covill, Akira Is Frequently Cited as Influential. Why Is That?, in https://filmschoolrejects.com/akira-influence-12cb6d84c0bc/

A. Eckman-Lawn, 6 Major Cases of Hollywood Ripping off Anime (and One Huge Counter-Example), in https://www.therobotsvoice.com/2013/11/pacific_rim_neon_genesis_evangelion_the_lion_king.php

M. Evry, 10 Hollywood Movies That May Have Been Inspired by Anime, in http://mentalfloss.com/article/57322/10-hollywood-movies-may-have-been-inspired-anime

 

 

 

 

 

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