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Cannes fino alla fine: day 9-11
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È sabato: il festival è tecnicamente finito. Stasera ci sarà la premiazione ( e la proiezione del film di chiusura, la commedia The specials, di Toledano e Nakache, con Cassel e Kateb) e poi si smonta.

Per presentarci alla cerimonia di chiusura con una certa preparazione ci manca di riguardare cosa è successo negll ultimi giorni, da mercoledì a oggi.

 

Gabriel D'Almeida Freitas, Xavier Dolan

Matthias & Maxime (2019): Gabriel D'Almeida Freitas, Xavier Dolan

 

Mercoledì è stata un giornata interamente francofona: sono andati infatti in scena il lavoro di Xavier Dolan Matthias & Maxime e quello di Arnaud Desplechin Roubaix, une lumiere (titolo internazionale Oh, Mercy!). A ben guardarli il québécois e il regista delle Fiandre (Roubaix è la città natale di Desplechin e l'ha usata più di una volta nei suoi film) formano una strana coppia, vagamente agli antipodi, almeno nel loro rapporto con Cannes. Li separano trent'anni (Dolan è del 1989, Desplechin del 1960) e un'accoglienza piuttosto differente: entrambi sono stati spesso presenti con le loro opere al festival francese ma mentre il giovane  canadese è stato praticamente sempre premiato (vincendo anche il Pemio del Giuria per Mommy e il Gran premio della giuria per È solo la fine del mondo), Arnaud Desplechin non si è mai tolto questa soddisfazione. Non che gli siano stati negati riconoscimenti in patria: ha vinto il César per la miglior regia nel 2016, è Ufficiale dell'Ordre des Arts e des Lettres e cavaliere della Legion d'Onore. Ma a Cannes, niente, mai: lo diciamo solo perché è capitato più di una volta che le giurie abbiano dato premi che avevano anche lo scopo di colmare una lacuna e sanare un debito. E e c'è qualcuno che ha una pendenza con Cannes, quello è Desplechin.

Ma naturalmente nessuna giuria agisce senza valutare il valore delle opere presentate e una cosa sembra di poiterla dire: nessuno dei due ha qui presentato il suo lavoro migliore, almeno a dar retta alla critica che ha presenziato alle proiezioni di mercoledì.

Il film di Dolan, come sempre a tematica LGBT, ruota intorno a un bacio: quello che due ragazzi - amici dall'infanzia e attori di un corto amatoriale - dovrebbero darsi per esigenze di copione. Ma cos'è un bacio? Per loro un bel guaio, visto che sconvolge tutte le loro prospettive di identità.

Le recensioni sul nostro sito sono "miste": Alan Smithee riconosce all'opera un valore ritrovato - in controtendenza con gli ultimi film di Dolan, estremamente manieristi: una freschezza e un'intensità che riconciliano con il talento del regista, senza però che il giudizio finale vada più in là di una risicata sufficienza. Più entusiasmo si legge invece nella recensione di Port Cros, cha assegna al film un punteggio più alto, poiché vi ritrova tutti gli elementi che gli han fatto sin qui amare l'opera del canadese: "l'analisi profonda dei rapporti affettivi, i dialoghi sottilmente isterici, le essenziali figure materne, l'uso personalissimo della musica pop, le esplosioni drammatiche, le citazioni cinefile e di cultura pop, l'originalità dello stile visivo."

 

Léa Seydoux

Oh Mercy (2019): Léa Seydoux

 

Anche nel caso di Oh, Mercy!, l'opera di Desplechin, possiamo parlare di un'accoglienza tiepida (e attenzione non ci stiamo basando solo sulle due recensioni dei nostri utenti presenti a Cannes, ma su un sentiment diffuso che si evince dalle critiche di tutti i media sulla Croisette). Nobiltato dalla presenza di un cast "compatto" - Roschdy Zem e Antoine Reinartz nei ruoli principali, affiancati da Léa Seydoux e Sara Forestier - il film è centrato sulla indagine di due poliziotti, il commissario veterano e il giovane appena uscito dall'Accademia, intorno a un omicidio avvenuto la notte di Natale e per il quale vengono fermate le due giovani vicine della anziana defunta. 

È un poliziesco quindi, anzi un polar, ma con una buona dose di realismo, anche perché l'ispirazione a Desplechin è venuta da un documentario del 2008, Roubaix, commissariat central. Come racconta il regista nelle note di produzione, la cosa è in qualche modo per lui inedita. "Ho sempre rifiutato di raccontare nel mio cinema la realtà del mondo circostante. Quasi tutti i miei film sono stati romantici. E anche troppo. E quel troppo è ciò che desideravo veramente. Era dunque arrivato per me il momento di una svolta: volevo raccontare un film che da sotto tutti i punti di vista aderisse al reale. Per tale ragione, come già esplicito nel prologo, non ho inventato nulla. Ho messo da parte la fantasia e ho rielaborato le immagine che avevo visto in televisione una decina di anni prima, immagini che hanno continuato a perseguitarmi negli anni".

Tuttavia il risultato - asciutto, distaccato, chirurgico - delude EightandHalf, che nella sua recensione pur riconoscendo come tutto sia ben dosato e funzionale, sente la mancanza di una motivazione più profonda. "Tanta diplomazia senza esagerazioni, così severa e replicabile, ce la saremmo aspettata da un Olivier Marchal qualunque, o da un Cédric Anger, insomma da un mestierante ben navigato. Non da Arnaud Desplechin." 

È ancora più diretto Alan Smithee che assegna al film un voto insufficente e ci parla di recitazione impacciata delle due attrici e si chiede addirittura il senso della presenza di questa opera in concorso. 

 

Il traditore (2019): Trailer ufficiale

 

Giovedì è stata invece la volta - soprattutto, almeno per noi - dell'unico film italiano in concorso: Il traditore di Marco Bellocchio, alla cui proiezione ha poi fatto seguito il fluviale Mektoub, My Love - Intermezzo, di Kechiche. 

Sul film di Bellocchio c'è meno da dire, per un solo motivo: è nelle sale italiane infatti da ieri e in molti si stanno facendo da sé un'opinione diretta o se la faranno nel weekend. Del resto il film sta anche incassando bene (è secondo dietro al blockbuster Aladdin) e questa è già una prova di quanto il film dell'ottantenne regista piacentino sulla vita del mafioso Tommaso Buscetta abbia colpito nel segno: lo confermano in più i lunghi minuti di applausi ricevuti dal regista e dal cast al termine della proiezione per la stampa. Non manca la speranza che la prova di Favino possa essere ben accolta dalla giuria: di sicuro è stata una delle più convincenti prove di recitazione maschile mostrate a quest'edizione del festival. 

 

scena

Mektoub, My Love: Intermezzo (2019): scena

 

Il film di Kechiche prosegue concretamente il suo lavoro del 2017, Mektoub, My love - Canto Uno. Come quello anche questo è eccezionalmente lungo (stiamo parlando di 4 ore di visione: una in più del primo che ne durava tre). Come quello incarna, se possibile con ancora più estetizzante passione, le ossessione del regista per i corpi, per il desiderio, per la gioventù. Praticamente privo di trama è opera destinata a un pubblico caopace di apprezzare il percorso del regista franco-tunisino, privo di inibizioni, carnale e fisico. Piaciuto a EightAndHalf, è invece stato duramente criticato da Port Cros, molto negativo sulla totale assenza di trama: "Soprattutto nella seconda maxi-scena, della durata di almeno due ore, Kechiche sembra voler testare i limiti di resistenza dello spettatore, esponendo lo ad ogni singolo minuto di una banale serata, tra l'altro con inquadrature molto simili ad un'ambientazione analoga già vista nel primo capitolo."

 

Elia Suleiman

It Must Be Heaven (2019): Elia Suleiman

 

Siamo arrivati così alla giornata di ieri, con gli ultimi due titoli dei 21 in concorso: quello dell'israelo-palestinese Elia Suleiman, It must be Heaven, e quello della francese Justine Triet, Sibyl

Sarebbe bello che qualcuno si incaricasse di uan ricerca: nei grandi festival internazionali quanti dei film presentati l'ultimo giorno hanno avuto accesso al podio? La domanda è sincera: la sensazione è che per far sì che la giuria non debba rivedere all'ultimo i pareri e gli equilibri che si sono formati, alla fine si programminio opere che hanno minori chance. non sarebbe belllo sapere che funziona così (e che quindi ci sia una osrta di pre-giudizio), ma le possibilità sono alte. fatto sta che né il lavoro di Suleiman né quello della Triet sono sembrati dai più all'altezza delle migliori opere del concorso.

Il primo è una commedia particolare. Diretto e sceneggiato da Elia Suleiman, It Must Be Heaven racconta la storia di ES, un uomo che è scappato dalla Palestina alla ricerca di una nuova patria, prima di rendersi conto che il Paese d'origine continua a perseguitarlo come se fosse un'ombra. La promessa di una nuova vita, per ES si trasforma rapidamente in commedia dell'assurdo. Per quanto viaggi, da Parigi a New York, ci sarà sempre qualcosa che gli ricordi la terra natale. Come ci ricorda EightAnd half nella sua recensione, quella di Suleiman è una risata che copre il malessere: tuttavia la sua aspirazione a svelare il nonsense e candidarsi come lo Jacques Tati del Ventunesimo secolo fallisce contro la bbarriera ddgli stereotipi. "Il viaggio del regista palestinese (non di Israele, ma della Palestina, tiene a dire Gael Garcia Bernal) è un mutissimo tour di stramberie delle più svariate che ci ricordino un po' dei luoghi comuni di Francia e USA, luoghi comuni che sembrano impedire a Suleiman di diventare un vero cosmopolita, bloccato dalle ovvietà e dalle ingenuità del mondo. Dunque ne ride su: a che pro, ci chiediamo?"

 

Adèle Exarchopoulos

Sibyl (2019): Adèle Exarchopoulos

 

Si entra a due piedi nel mondo della psicologia invece con la storia raccontata da Justin Triet. La protagonista Sibyl è infatti una psicoterapeuta che avrebbe bisogno a sua volta di cure. La soluzione se la dà da sola, riavvicinandosi alla sua antica passione: la scrittura. Peccato che ad esserle fonte d'ispirazione sia una sua paziente: una giovane attrice emergente con una valanga di problemi. Oltre ad essere cosa poco onorevole dal punto di vista deontologico, la cosa prende una piega a sé quando Sibyl si trova inaspettamente a far i conti con il suo stesso passato. È quindi una materia umana quindi viva e femminile quella cui attinge la regista. Un duello di personalità affidato alla prova delle due attrici interpreti principali: Virginie Efira e Adéle Exarchopoulos. Anche in questo caso l'accoglienza della critica è stata avara, e le due stelle che accompagnano la piuttosto dura recensione presente sul sito si rispecchiano nei voti bassi che si possono trovare un po' ovunque.

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