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La Compagnia del Cigno: recensione
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La “Compagnia del Cigno” è una Fiction Rai che mi ha finora appassionato e che ha attirato l’attenzione di milioni di spettatori (i dati sull’audience della scorsa settimana parlano di più di 5 milioni di telespettatori, riuscendo, da inizio gennaio, a vincere la concorrenza di film quali Titanic e, lunedì scorso, il programma su canale 5 di Celentano).

Nonostante, perciò, le critiche subite sin dall’inizio provenienti da diversi soggetti (in particolare dai diversi conservatori italiani dicendo che la storia è mediocre e piena di stereotipi), “La compagnia del Cigno” sta appassionando diverse persone, merito delle sue tante qualità positive, di una regia accurata, attenta e dalle interpretazioni molto buone degli attori protagonisti.

Due puntate per sera (in tutto dodici episodi) che scorrono via molto velocemente. Non c’è proprio tempo per annoiarsi, in quanto alternando le problematiche e le vicende giornaliere di sette ragazzi, più la vita del professor Marioni e della moglie, lo spazio per la noia è prossimo allo zero. Infatti, la fiction riesce, attraverso le vite di queste persone, ad affrontare un’enorme quantità di tematiche: amore, malattia, superamento di un lutto (pensiamo alle vicende di Matteo e del Professor Marioni), le difficoltà per i più giovani di affrontare la separazione dei propri genitori, il distacco dalla propria madre, il drammatico terremoto di Amatrice, e, infine, l’amicizia, che trova nella “Compagnia del cigno” un punto di forza per affrontare tutte le difficoltà.

La regia, infatti, guidata dallo scrittore e regista Ivan Cotroneo, è stata perfetta finora nel far capire allo spettatore l’importanza dell’amicizia, del farsi forza l’un con l’altro… di avere a disposizione un salvagente quando tutto intorno a te sta affondando. Proprio quando c’è un problema i ragazzi si incontrano, ne parlano, si danno consigli e, soprattutto, si sfogano riuscendo così a provare quella sensazione di essere tornati leggeri, senza sentire di avere un peso sullo stomaco, di essere liberi. Secondo me, infatti, due sono i temi fondamentali che sono trattati: uno è, appunto, l’amicizia, l’altro è il metodo di insegnamento (e quest’ultimo punto vede come protagonista il Professor Marioni interpretato molto bene da Alessio Boni).

Sul tema dell’amicizia credo che di più fosse difficile trasmettere agli spettatori. Partendo dalle problematiche di ognuno di questi ragazzi (forse sì, un po’ eccessive e stereotipate lo sono, ma non è questo il problema, si tratta pur sempre di un’opera di fiction, come ha giustamente sottolineato il regista) si è perfettamente riusciti a mostrare che non ci sono problemi irrisolvibili o meglio, se anche ci fossero, si possono sempre accettare e alleviare il dolore, poiché tutto ha un termine e sta a ciascuno di noi vivere al meglio il presente, essendo se stessi e condividendo momenti belli e brutti.

 

Sul tema dell’insegnamento, invece, molto ci sarebbe da dire e sulle tecniche del Maestro Marioni e molti pedagogisti potrebbero dissentire. La regia, anche in questo caso, forse con posizioni un po’ eccessive ha voluto far capire che dietro la cattiveria, i modi duri dell’insegnante ci sta dietro un desiderio di vederli felici e veramente realizzati. Si era già intuito nelle prime puntate (e più va avanti la fiction e più ne abbiamo la certezza) che Marioni vuole fin da subito abituare i ragazzi alle difficoltà che la vita li porterà davanti, vuole far capire loro se suonare è davvero quello che vogliono, se ne hanno la forza, abituarli a resistere alla tensione, alla paura e all’agitazione.

E i ragazzi si accorgono di questo, con il tempo si accorgono che l’insegnamento di Marioni li rende più forti… capiscono che tiene a loro e al loro futuro e perciò si crea un legame di attaccamento (pensiamo a Matteo che prima viene salvato, e poi a sua volta salva il Maestro) tra i giovani e l’insegnante, che da “bastardo”(così viene chiamato dai giovani) diventa un saldo punto di riferimento.

Parlando di storie di insegnanti e metodi/tecniche di insegnamento, i titoli che mi vengono subito in mente sono “Freedom writers” (pellicola del 2007 con Hilary Swank), “Mona Lisa Smile” (film con Julia Roberts) e “l’attimo fuggente”. Proprio quest’ultima pellicola aveva presentato un ottimo scambio di battute tra Robin Williams e Leon Pownall sui rispettivi metodi di insegnamento. Infatti, in una scena, il Professor Keating (interpretato da Robin Williams) e il Professor McAllister (interpretato da Leon Pownall) hanno un confronto di idee in merito all'educazione dei ragazzi e le loro aspettative per il futuro. Il Professor McAllister dice: “Mostratemi un cuore non contaminato da folli sogni e io vi mostrerò un uomo felice”, mentre la risposta di John Keating fu: “Ma solo nei sogni gli uomini sono davvero liberi. E' da sempre così e così sarà per sempre”.

Anche nella “Compagnia del cigno” si assiste a ciò e, se si adotta la posizione del Maestro Marioni, si capisce come sia meglio essere esigenti, intransigenti sin da subito per evitare agli studenti delusioni future o per far capire loro che magari la strada che hanno scelto non è quella giusta. A mio avviso, perciò, una visione più simile a quella del Prof. McAllister nell’”attimo fuggente”.

Va detto, inoltre, che nella “Compagnia del cigno”, rispetto alle pellicole sopra citate, l’insegnante appare più severo, più rigido, talvolta anche sprezzante e malvagio. Ma, come dicevo prima, è solo apparenza e lo fa a fin di bene. Come anche da Marioni sottolineato, infatti, lui vuole bene ai suoi ragazzi e tutto ciò lo fa per rafforzare il loro carattere ed abituarli alle difficoltà che la vita potrà loro riservare: “nessuno vi compatirà fuori da qui”... “dovete essere forti, credere in voi stessi e metterci l’anima, l’amore”.

 

Occorre sottolineare anche l’ottimo cast. Molto bravi tutti e sette i giovani attori (molti di essi a quanto ho letto sono alle prime armi se non addirittura alla loro prima prova), così come occorre sottolineare le ottime interpretazioni di Alessio Boni, Anna Valle e Alessandro Roja… di quest’ultimo voglio spendere due parole. Alessandro Roja è un attore che avevo molto apprezzato nelle due stagioni di Romanzo Criminale, e qui riveste tutto un altro ruolo, a dimostrazione che è veramente un buon attore. Non è facile e non è da tutti, infatti, riuscire ad interpretare bene ruoli differenti ma qui ci è proprio riuscito. Molti, infatti, prendono parte a pellicole nelle quali rivestono spesso i panni di persone con comportamenti e caratteri simili, nonché in generi di film uguali. Roja, invece, è stato uno dei tre protagonisti di Romanzo Criminale, ha preso parte ad altre fiction Rai e, nel 2017, protagonista del film horror/thriller “The end? L’inferno fuori”. Ebbene, riuscire a passare dal rivestire il ruolo del criminale, passando ad un horror nel quale rimane intrappolato nell’ascensore, alle fiction dove, come in questo caso, deve mostrarsi divertente ma allo stesso tempo preoccupato per il nipote Matteo, è davvero difficile ma ci riesce perfettamente. Per questo è tra gli attori italiani che più apprezzo.

Infine, nel cast, da ricordare Dino Abbrescia, Giovanna Mezzogiorno, Giorgio Pasotti e la presenza di cantanti quali Mika e Michele Bravi.

 

Infine?... Beh, se le buone interpretazioni degli attori e una trama interessante non sono ancora sufficienti a dare un giudizio positivo alla pellicola, ci vengono in soccorso le ottime melodie e canzoni che accompagnano la fiction. Davvero molto belle, coinvolgenti, che permettono alla storia di prendere fiato e intrattenere (e bene) lo spettatore. Tra le canzoni apparse quelle che più mi sono piaciute finora, oltre alla colonna sonora, sono: “Origin of Love”, “Stand by Me”, “Creep”, “Could it be Magic”.

 

Perciò che aggiungere?... beh, sicuramente ricordo che lunedì sarà l’ultima puntata e consiglio fortemente a chi non l’avesse vista di darci un’occhiata… secondo me è una fiction di buon livello e ben realizzata. Visione, perciò, più che consigliata!

 

A tutti auguro un buon proseguimento e un buon cinema!

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