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Figli di una serie minore (6) - Monk
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Perché non esistono solo le grandi, quelle che “sono meglio del cinema” e avvinghiano gli spettatori a personaggi e situazioni indimenticabili. Perché ci sono anche quelle che, giornalmente, fanno il lavoro sporco di riempire i palinsesti delle tv generaliste (a pagamento e non), mediani di vecchia scuola (ne cantava Ligabue) che non segneranno mai, gregari che non vinceranno mai una gara (mal gliene incoglierebbe !) e sparring partners contiani a vita. Che sgomitano a metà classifica per un posto in una graduatoria Emmy e offrono rifugio ad attori snobbati o bolliti dallo “show business” cinematografico (a torto o a ragione). Che sono mediocri e felici di esserlo, creano dipendenza nel seriofilo accanito, siano esse autoconclusive o lostiane nell’intreccio, procedurali o gialli classici, comedy o fantascientifiche. Che si possono guardare con un occhio solo (l’altro puntato sullo smartphone) e pochi neuroni collegati, mentre si prepara o si consuma la cena.

Ma delle quali, spesso, non si può fare a meno.

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“Monk” (“Detective Monk” nel titolo italiano) è una serie tv mistery-comedy-drama trasmessa dal canale “USA Network” dal 2002 al 2009 (in Italia dal 2005 al 2010), prodotta tra gli altri dalla “NBC Universal Television Studio” e dalla “Touchstone Television”, per un totale di 8 stagioni e 125 episodi. 

Protagonista assoluto è l’ex detective della polizia di San Francisco Adrian Monk (interpretato dal grande caratterista Tony Shalhoub), riciclatosi come investigatore privato dopo la sua cacciata per un esaurimento nervoso susseguente all’omicidio dell’amata moglie Trudy, geniale risolutore dei casi più disparati ma affetto da numeros(sissim)e fobie e perciò seguito costantemente dall’infermiera/assistente Sharona (l’attrice Bitty Schram).

Fobie, psicosi e comportamenti compulsivi che affliggono il nostro eroe in numero variante da 100 a 312, lista in divenire che comprende nella top ten sia i funghi (10° posto), che il latte (4° posto) e gli aghi (2° posto). Ma anche, nelle posizioni di rincalzo, l’altezza, la claustrofobia, la folla, gli ascensori e la paura di volare (tra le più comuni). E, tra le più strambe, il caffè decaffeinato, la chiara dell’uovo, le coperte, i frullatori e la natura. Con all’apice il timore dei germi e l’ossessione per l’ordine e la pulizia.

Da contraltare ufficiale all’irregolarità investigativa di Monk vi sono il Cap. Leland Stottlemeyer (il bravo Ted levine) ed il Ten. Randy Disher (il simpatico Jason Gray-Stanford) della Polizia di San Francisco. Coppia d’attori dall’insospettabile verve comica (soprattutto per Levine, che fu l’interprete del serial killer Buffalo Bill ne “Il silenzio degli innocenti” di Jonathan Demme del 1991) che acquisisce autonomia col progredire delle stagioni, giocando sulle differenze caratteriali dei personaggi (il più rude Stottlemeyer e lo svampito Disher) e sulla brillantezza di situazioni slapstick.

E poi le assistenti di Monk, la già citata Sharona (Betty Schram)  fino alla 3^ stagione, poi sostituita (per disaccordi con la produzione sui compensi) da Natalie Teeger (interpretata dall’attrice Taylor Howard). Tra le due (che lo sceneggiatore argutamente riappacificherà nell’episodio 8x10 “Mr. Monk and Sharona”, “Monk e le due  assistenti” il titolo italiano), devo dire di aver sempre preferito la prima: personaggio ben scritto, più impetuoso e fisicamente cozzante con la legnosità caratteriale del nostro eroe, l’ottima interazione con quest’ultimo amplificava maggiormente la brillantezza dei numerosi siparietti che li vedevano protagonisti. Al contrario della seconda, con l’aspetto di una maestrina seppur sufficientemente incisiva  nell’economia ”di coppia” con Monk.

Ma il vero valore aggiunto è senz’altro dato dalla completa adesione al personaggio di Tony Shaloub, nel ruolo della vita; la sua straordinaria capacità di adeguarsi sia al registro comico che a quello drammatico nello spazio di poche sequenze, arricchisce di sfumature inedite un personaggio apparentemente derivativo (uno Sherlock Holmes privo di ogni fascino) ma a tratti commovente ed emozionante. Una recitazione misurata e nervosa allo stesso tempo, come un vulcano (di tic) in procinto di esplodere ma che poi non lo fa (quasi) mai. Un’effige frustrata di un uomo incatenato alle sue paure ed ai sensi di colpa, colpevole di avere le capacità di risolvere enigmi apparentemente insolubili ma di non riuscire a venire a capo di quello per lui più importante: scoprire chi abbia ucciso la propria moglie e perché. Questa è infatti la trama orizzontale che percorre tutta la serie (con richiami episodici) oltre ai casi di “giornata”, fino all’epilogo dell’8^ annata dove tutti i nodi vengono al pettine.  

Ma come dimenticare anche comprimari di prim’ordine quali lo psichiatra Dr. Charles Kruger (interpretato dallo sfortunato Stanley Kamel, morto per attacco cardiaco durante la produzione delle stagioni 6 e 7), “stalkerizzato” da Monk al limite dell’esaurimento, o Harold  Krenshaw (l’attore Tim Bagley), un altro paziente di Kroger antagonista di Monk nell’angariare il povero dottore. E poi le numerose e gustose guest-star, la principale delle quali è rappresentata da John Turturro (che interpreta Ambrose, il fratello agorafobico di Monk), che appare in due strepitose puntate  (“Mr. Monk e le tre torte” e “Mr. Monk torna a casa”), seguito poi da Scott Glen, Casper Van Dien, Danny Trejo, Meat Loaf, Sean Astin, Snoop Dogg, Stanley Tucci (nella commovente e “stanislavskiana” puntata 5x01, “Mr Monk e l’attore”), Willie Nelson, Vincent Curatola, Tim Curry e tanti altri.

Un perfetto lavoro d’insieme, amplificato da una sceneggiatura precisa e curata al dettaglio (senza sbavature visibili sulla lunga distanza delle oltre 100 puntate) e dialoghi ben scritti. Perfino il tema musicale è ottimo: se nella prima stagione era solamente strumentale (eccone una versione estesa),

nella seconda viene sostituito dalla canzone “It’s a jungle out there” di Randy Newman, 

perfettamente calzante con le tematiche della serie.

 

Una squadra vincente per una serie strepitosa, seppur generalista, del quale mi sento di consigliare la (ri)visione nelle numerose repliche (purtroppo prevalentemente pomeridiane) proposte in TV.

“Poi mi ringrazierete” (cit.)

 

Voto:             ****

 

 

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