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Io sto con i piccoli
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Mi sbaglierò. Eppure sono convinto che chi ama il cinema deve essersi immaginato almeno qualche volta nella vita, nei panni del gestore di uno spazio dove il cinema viene consumato. Sia esso un cineclub, una vecchia fumosa sala d'essai, un grande salone dove invitare gli amici e gli amici di amici, un ex cinema porno, un tetto. Magari non proprio un multiplex, ecco, quelli non li sogna nessuno. Strano, verrebbe da pensare che se dobbiamo sognare allora tanto vale sognare in grande, eppure se si deve sognare di avere un cinema, non sarà un enorme cinemone con schermo imax che sogneremo, no. Sarà una roba sui 50/70 posti, con una programmazione molto pensata, non per forza cinefila radicale, magari anche con qualche film di prima visione insomma, di quelli che non trovano molti spazi per emergere, magari film in lingua originale, sì, giusto, esatto, quel tipo di cinema lì.

Poi succede che tra quelli che ci pensano, che lo immaginano, che lo sognano, c'è qualcuno che dice proviamoci, mettiamoci insieme, facciamo un'associazione culturale, dai, su, coraggio, sarà bellissimo, cerchiamo un posto, un piccolo posto, magari con un bar che fa cose buone, un posto per presentare anche dei libri, per invitare i registi, per fare tutte quelle cose che in un multisala diciamolo, non accadono. E magari alle pareti ci mettiamo una carta da parati che riprede la moquette di Shining! E così che, a inizio febbraio 2018, è iniziata l'avventura del Cinemino a Milano. Da un sogno, un sogno fumoso che è rimasto per troppo tempo impresso sullo schermo mentale di una decina di persone che poi non hanno potuto fare a meno di cercare di realizzarlo.

Poi, un giorno, dopo 9 mesi di attività, dopo 900 film proiettati, 14000 tessere di associati emesse, dopo incontri con registi e presentazioni di libri, dopo essersi affermati come un nuovo spazio culturale della città, arriva la doccia fredda. Come riportato dai quotidiani, a seguito di un intervento della polizia municipale unitamente ai figili del fuoco(!), alludendo alla possibilità che qualche tessera - contrariamente alle regole che prevedono che le richieste per le tessere annuali di tutte le associazioni debbano essere fatte con almeno 24 ore di anticipo (cosa sulla quale tornerò più avanti) - sia stata emessa il giorno stesso dell'evento, viene contestata al Cinemino una gestione troppo imprenditoriale(!), cosa che farebbe decadere lo status di associazione. Quindi la squadra di forze dell'ordine mette i sigilli. Tutti a casa, locale chiuso. Non si è trattato semplicemente di un controllo, i controlli sono sempre i benvenuti, i controlli sono anzi necessari per distinguere chi fa davvero un lavoro legato alla promozione di cultura e chi usa certe semplificazioni che lo status di associazione assicura come copertura per mettere in piedi, ad esempio, un club per scambisti che fattura centinaia di migliaia di euro all'anno. Quello che ha portato alla chiusura del Cinemino a Milano non è stato un semplice controllo, è stato un vero e proprio blitz, quasi un'imboscata, a mio parere, basata, per quel che si legge nei comunicati stampa e nei comunicati delle agenzie del giorno, sulla presunzione che la gestione sia stata troppo imprenditoriale.

Non mi è chiaro perché mai la gestione di una associazione debba essere raffazzonata e approssimativa pena il decadimento dello status associativo. E la questione delle tessere richieste con anticipo di 24 ore rispetto alla partecipazione ad un evento culturale per me è ridicola, come se richiedere una tessera in anticipo sia la discriminante che determina se una associazione è davvero culturale o meno, se uno spazio è gestito da una associazione o se non lo è. Invece di esercitare controlli reali sulle attività dell'associazione si obbligano i gestori e, soprattutto, chi vuole partecipare ad un evento culturale a sottoporsi ad una complicata procedura da eseguire in anticipo, che ha l'unica reale conseguenza di fungere da disincentivo; come se non bastasse che la cultura, soprattutto nello scenario politico attuale, venga bistrattata, maltrattata, tacciata di elitarismo, quando non derisa. Possibile che non ci siano delle vie di mezzo prima dei sigilli? Un richiamo, una multa, una verifica reale e strutturata delle attività condotte fino a quel momento. I sigilli si dovrebbero mettere a chi compie azioni potenzialmente criminose, non virtuose. Odio l'esercizio del potere cieco e indiscriminato, non tollero che le istituzioni si dimostrino aggressive e violente. Con i piccoli, poi. Con chi cerca di sperimentare nuovi modelli sostenibili che non siano perfettamente allineati al mercato. Non è la prima volta che capitano cose del genere, un paio di anni fa il Filmstudio 90, storico cineclub di Varese con 23 anni di attività alle spalle, fu chiuso perché la polizia municipale gli contestò che comunicava i suoi eventi come se fosse un'attività commerciale; una sottigliezza che però costò all'associazione uno stop di quattro mesi.

Guardo la pagina Facebook de il Cinemino e avverto un discreto ottimismo: lo spazio dedicato alle proiezioni è ancora sigillato in attesa che l'iter legale e burocratico faccia il suo corso, ma intanto alcune iniziative proseguono al bar (e la carta da parati che richiama la moquette di Shining ce l'hanno messa davvero), piccole (grandi) cose, come l'incontro con Serena Grandizzi, la regista di Un paese di Calabria, il documentario su Riace. E non è un caso. Tra piccoli che sfidano il sistema, che testano modelli diversi, ci si capisce subito. Questo filo teso tra una piccola associazione milanese che ha subito un sopruso e il caso Riace, attraversa l'Italia da nord a sud; io sto con loro, prendo questo filo, lo tengo teso e ve lo passo. Se c'è qualcuno di voi che vuole stare con loro, può farlo condividendo questo post sui social e aggiungendo al testo di condivisione #iostocolcinemino.

Io, intanto, mi faccio un giro in triciclo e sto con i piccoli.

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