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Il grande scherno
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Le parole usate dalle associazioni di autori ed esercenti che in questi giorni hanno stigmatizzato la decisione di Netflix di non distribuire Roma, il film di Alfonso Cuarón vincitore del Leone d'oro, nelle sale cinematografiche del nostro paese ma direttamente sulla piattaforma streaming, suonano alle mie orecchie di un populismo sfrenato e completamente fuori luogo. Dove erano queste associazioni quando i film premiati ai festival di Cannes, Berlino e anche Venezia sono stati ignorati dai distributori? O quando sono stati distribuiti in un numero di copie risibile o comunque difficilmente in sintonia con il populistico concetto cavalcato oggi e sintetizzato in "Alla portata di tutti"? Meno di 100 copie sul territorio nazionale per un periodo di una settimana, se va bene, significa alla portata di tutti? Un prezzo di 8 euro e mezzo a cranio significa alla portata di tutti? Essere taglieggiati per comprare un gelato o una bottiglietta d'acqua significa alla portata di tutti? Per me sono più vicini al concetto di "tutti" 125.000.000 di abbonati che pagano 13 euro al mese per avere accesso ad un catalogo sterminato e in crescita esponenziale. Senza contare che con una mail ed una password ci si può iscrivere per un mese gratis se proprio si vuol vedere solo ed esclusivamente quel film. Non tutti hanno accesso a internet, okay, ma Adsl e fibra ottica sono ben più presenti sul territorio di quanto non lo sarebbero state le sale cinematografiche qualora avessero potuto inserire in programmazione Roma; un film molto intimo, in bianco e nero, girato con lunghi piani sequenza, non esattamente Sole a catinelle, insomma.

Populismo puro unito a cecità, nel migliore dei casi. Perché oltre ad uno sballato concetto di "tutti" c'è un passaggio del comunicato che grida vendetta: Anac, Fice e Acec ritengono iniquo che il marchio della Biennale sia veicolo di marketing della piattaforma Netflix. Quindi se il produttore di un film è la Fox, la Paramount o la Medusa va tutto bene? Se ad essere veicolati dalla Biennale sono i marchi delle solite case di produzione non abbiamo problemi ma se è Netflix è iniquo? A me sembra incredibile che ci sia ancora qualcuno che ragiona in questi termini pseudo ideologici. Perché a ragionare così si rischia di non considerare ad esempio che Netflix immetterà nell'industria cinema, nel solo 2018, circa 7 miliardi di dollari. Soldi che servono per pagare autori, sceneggiatori, attori, comparse, montatori, doppiatori, tecnici di vario genere, o piccole e medie aziende che a loro volta sono messe nella condizione di crescere e acquisire nuove competenze. So che tra di voi ci sono molti detrattori della piattaforma, all'interno di uno spettro che va dai semplici difensori del binomio grande cinema/grande schermo agli anticapitalisti. Netflix è attaccabile per molti motivi e anche su queste pagine l'abbiamo criticata in più occasioni, ma onestamente non condivido una riga di quanto scritto dalle associazioni di categoria e sono in totale sintonia con l'orientamento di Venezia, sulla partecipazione dei film prodotti da Netflix e Amazon, rispetto a Cannes. E una volta che i film partecipano, ovviamente, devono anche poter vincere.
Sulla validità del binomio invece ho un'opinione più fluida.

Quello che vedete nella foto è uno dei televisori più venduti nei primi anni '70. Era anche il televisore di mio nonno ed era posizionato su una libreria ad una distanza di circa 2/3 metri dalla larga poltrona di velluto marrone a coste larghe nella quale sprofondava per fumare le sue Kent e dalla quale guardava tutti i film che passavano sulla Rai. Quando riteneva che ci fosse un film adatto a me (era di manica larga) mi veniva a SVEGLIARE e io mi accomodavo su uno dei due larghissimi braccioli di velluto della sua poltrona. Ed è così che ho fatto la conoscenza di Hitchcock, Wilder, Kubrick, Aldrich, Risi, Fellini, Leone, Truffaut e tanti altri. Mio nonno amava anche la sala ma la maggior parte del cinema che è passato attraverso i suoi occhi arrivava da quel Sony Trinitron.
Se non fosse stato per quei fantastici cicli televisivi e, più avanti, per programmi come Fuori Orario o per i canali televisivi tematici, tutti quelli della mia generazione (e successive) avrebbero dovuto attendere l'epoca (recente) dei restauri e delle rimasterizzazioni per vedere certi film nelle sale. A chi dice oggi che le visioni domestiche non sono cinema, voglio solo ricordare che noi abbiamo guardato centinaia di film su elettrodomestici che erano più simili a forni a microonde che a televisori (altro che schermi Full Hd, 4k, da 40 pollici in su). Se il cinema, e noi!, siamo sopravvissuti ai microonde, non vedo come ad ucciderlo dovrebbero essere le piattaforme streaming.

Vedere un film in sala, su uno schermo grande, in condizioni ottimali, vicino a casa, è il massimo, ma stiamo parlando di visioni che sono gradualmente diventate un lusso e quindi un'eccezione. L'altro giorno sono andato a vedere una commedia spagnola proiettata su uno schermo gigantesco. Si trattava di un film medio, ben girato, ben recitato, una commedia non stupida, non becera. Durava due ore e dieci ed ero terrorizzato dall'idea che mia figlia di 13 anni, abituata ai formati brevi degli episodi delle serie tv, avrebbe cominciato a guardare nervosamente l'ora sul suo cellulare al primo calo di ritmo. Non è successo. Parziale merito del film ma soprattutto della qualità dello schermo e dell'audio. Eppure non so cosa mi rimarrà attaccato di questa visione, una volta svanita l'euforia dello spettacolo. Quando vidi Dunkirk, nella medesima sala, l'anno scorso mi accadde la stessa cosa. Se ripenso al film di Nolan oggi, mi sento come se fossi rimasto vittima di un incantesimo. Forse dovrei rivederlo sul Sony Trinitron di mio nonno, per capire se è davvero cinema.

In questi giorni, infine, guarderò con attenzione ai risultati di Sulla mia pelle, il film di Cremonini che esce in contemporanea nelle sale italiane e su Netflix. Praticamente in tutto il mondo. Perché bisogna anche guardare al coté nascosto di questa entità globale: Sulla mia pelle è, dal 12 settembre, visibile per svariate decine di milioni di persone, al di fuori dell'Italia. E non è una cosa che capita proprio tutti i giorni.

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