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Cannes 2018 - Capitolo 4
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Il 71mo Festival di Cannes si avvia alla conclusione. Rimangono in cartellone gli ultimi quattro titoli del concorso e, come le statistiche e la psicologia ci insegnano, bisogna prestare loro molta attenzione: solitamente, gli ultimi giorni sono quelli che presentano i titoli destinati a far man bassa nel palmares.

 

18. CAPHARNAUM (Nadine Labaki) - EXCL.

Diretto da Nadine Labaki e sceneggiato dalla stessa con Jihad Hojeily e Michelle Kesrouani, Capharnaum racconta la storia di Zain, un bambino di dodici anni che porta i genitori davanti a un giudice. Il motivo? Gli hanno dato la vita ma non sono in grado di garantirgli dignità e amore.

«Per me, il cinema è un mezzo per porsi domande su se stessi e sul sistema in atto, presentando il mio punto di vista sul mondo in cui vivo. Sono un'idealista: credo che il compito del cinema sia quello, se non di cambiare il mondo, di creare discussione e aiutare la gente a pensare, ad aprire gli occhi. Citando i genitori, Zain dà avvio al suo percorso iniziatico di ragazzino senza documenti. Non possedendo pezzi di carta che certifichino chi è, legalmente è come se non esistesse. Il suo caso è sintomatico di un problema più grande che è inerente alla legittimazione dell'individuo. Attraverso le ricerche fatte per il film, mi sono imbattuta in molti casi di bambini nati senza documenti per varie ragioni (spesso perché i genitori non potevano permettersi di registrare le loro nascite) e finiti con il divenire invisibili agli occhi della legge e della società. Dal momento che sono senza documenti, molti finiscono per morire, spesso per negligenza, malnutrizione o semplicemente perché non hanno accesso ai trattamenti sanitari. Muoiono senza che nessuno si sia accorto di loro dato che non esistono. Dicono tutti che non sono felici di essere nati.

Per certi versi, Capharnaum potrebbe essere un documentario: sebbene sia frutto di fantasia, parla di circostanze ed eventi che ho testimoniato in prima persona visitando le zone più povere di Beirut, i centri di detenzione, le prigioni minorili e i centri di accoglienza. Ha per protagonisti attori non professionisti, gente presa per la strada a cui certe situazioni sono occorse veramente e che ha vissuto sulla propria pelle il dolore che è chiamata a rappresentare sullo schermo. La storia, però, non è solo libanese: è la storia di chi non ha accesso ai diritti più elementari, dall'educazione alla salute all'amore».

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19. UN COUTEAU DANS LE COEUR (Yann Gonzalez) - EXCL.

Diretto da Yann Gonzalez e scritto dallo stesso con Cristiano Mangione, Un couteau dans le coeur è ambientato nella Parigi del 1979 e racconta la storia di Anne, una produttrice di film porno gay a buon mercato. Quando Lois, la sua montatrice e compagna, l'abbandona, Anne tenta di riconquistarla girando il film più ambizioso della sua carriera con la collaborazione del suo complice di sempre, l'esuberante Archibald. Uno degli attori coinvolti nel progetto viene però trovato assassinato: Anne sarà così trascinata in una strana inchiesta che sconvolgerà per sempre la sua vita.

«L'idea di Un couteau dans le coeur nasce soprattutto da un personaggio. Grazie al dizionario della pornografia curato da Christophe Bier, ho scoperto la figura di una produttrice francese di porno gay degli anni Settanta: una donna dal carattere irruento, alcolizzata, lesbica e innamorata della sua montatrice. Era famosa per essere dura, imprevedibile e capace di umiliare i suoi attori o aspiranti tali. 

Disastri, omicidi, violenza, sesso, passione, atmosfere gore: volevo divertirmi con i codici cinematografici, con gli elementi del fantastico, dell'horror e del giallo, senza dimenticare le emozioni. Per me, i thriller e gli horror più belli sono quelli che presentano tematiche legate agli affetti. Si pensi a L'esorcista, che racconta la storia di una madre che rischia di perdere la figlia, o a Un lupo mannaro americano a Londra, un film sull'amicizia perduta. Sono titoli che fanno molta paura ma che ogni volta che li vedo mi fanno commuovere. Di questo genere, per me, il maestro era ed è Brian De Palma».

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20. AYKA (Sergey Dvortsevoy) - EXCL.

Diretto da Sergey Dvortsevoy e sceneggiato dallo stesso con Gennadij Ostrowskij, Ayka racconta la storia di una giovane ragazza kirghisa di nome Ayka, che vive e lavora clandestinamente a Mosca, dà alla luce un bambino e lo abbandona in ospedale. Qualche tempo dopo, il forte istinto materno la riporta a cercare disperatamente quel bambino che ha abbandonato.

«La storia ha preso il via da una fredda statistica. Nel 2010, 248 bambini sono stati abbandonati dalle madri kirghise negli ospedali della capitale russa. Quale potrebbe essere la ragione che spinge queste donne a rinunciare volontariamente ai loro figli in una terra straniera? Cosa potrebbe spingerle a commettere un atto del genere, innaturale per qualsiasi donna? Mi sono reso conto di non poter fare a meno di realizzare un film sull'argomento. Ayka riguarda tutti noi e ci parla delle relazioni tra le persone e l'ambiente che le circonda, un ambiente che spesso porta l'individuo a un punto così estremo da deterioralo moralmente e costringerlo a rivalutare la propria esistenza e a volte persino a cambiarla contro il suo stesso volere».

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21. THE WILD PEAR TREE (Nuri Bilge Ceylan) - EXCL.

Diretto da Nuri Bilge Ceylan e sceneggiato dallo stesso con Akin Aksu ed Ebru Ceylan, The Wild Pear Tree racconta la storia di Sinan che, da appassionato di letteratura, vuole da sempre diventare uno scrittore. Ritornando al villaggio in cui è nato, Sinan si impegna corpo e anima a raccoglier ei soldi di cui ha bisogno per vedersi finalmente pubblicato ma i debiti accumulati da suo padre finiscono per raggiungerlo.

«Per entrare in contatto con gli altri, ogni persona deve abbandonare il proprio guscio e correre una certa quantità di pericoli. Se ci si allontana troppo, si rischia però di perdere il proprio orientamento e la propria identità. Se si teme troppo che ciò avvenga, ci si rifiuterà di uscire, ci si frenerà e ci si ritirerà, facendo sì che si blocchino di conseguenza la propria crescita e il proprio percorso. Se uno sente di essere differente dagli altri ma non viene apprezzato dalla società che lo circonda, la sua volontà sarà inevitabilmente danneggiata dal punto di vista morale. La persona avrà difficoltà a comprendere le contraddizioni provocate dalla loro esistenza costantemente e inevitabilmente alienata, cominciando a vacillare per l'impossibilità di trasformarle in sbocchi creativi e negarle.

The Wild Pear Tree racconta la storia di un giovane uomo che, con senso di colpa, sente di essere differente dal resto del mondo ed è incapace di ammetterlo.. di un giovane uomo che viene trascinato verso un destino che non riesce ad abbracciare. Ho voluto descrivere lui e coloro che lo circondano restituendo un vasto mosaico di personaggi che, senza alcun favoritismo, ho cercato di dipingere con una certa equidistanza. Come recita un modo di dire, le colpe dei padri ricadono sui figli. Il protagonista non può fare a meno di ereditare determinati tratti dal proprio padre: debolezze, abitudini, tic e tante altre cose. The Wild Pear Tree racconta la storia di un ragazzo che viene inevitabilmente trascinato nello stesso destino del padre, in un percorso carico di esperienze dolorose».

Dogu Demirkol

The Wild Pear Tree (2018): Dogu Demirkol

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4. FINE

 

* Si ringrazia per i materiali WildBunch Film Sales, Gaumont Distribution, Memento Film, Match Factory

 

*Cannes 2018 - Capitolo 1

*Cannes 2018 - Capitolo 2

*Cannes 2018 - Capitolo 3

 

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